Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

IL CONTESTO La sinistra italiana e l'Urss Una bruHa storia Lospecchiosovietico Marcello Flores Ancora una volta gli avvenimenti sovietici hanno evidenziato come l'opinione pubblica italiana, e in particolare quella di sinistra, non riesca a volare più alto di un palmo da terra anche in occasione di eventi che scuotono il mondo. Da un punto di vista sociologico e psicologico, a dir la verità, sarebbe più interessante ricostruire i giudizi e gli atteggiamenti degli opinionisti conservatori, che amano in genere autoraffigurarsi come dei tolleranti illuministi, temperati nelle valutazioni e distaccati nelle argomentazioni. In realtà essi si comportano come dei rozzi piazzisti di se stessi, disinteressati a ciò di cui parlano e preoccupati soprattutto di alzare polvere e aizzare polemiche. Su che cosa? Sui massimi sistemi, sulle grandi idee e sui valori sommi, da filosofi della domenica quali tutti gli italiani aspirano ad essere (alla stessa stregua di allenatori calcistici). I nostri filosofi, però, hanno una strana esperienza che è comune al 90% di loro: sono tutti stati comunisti, ed anche abbastanza influenti; ora che sono anticomunisti sono ancora più influenti (perlomeno sul mercato dei media). Non vorrei sbagliarmi, ma la stragrande maggioranza di chi ha scritto a proposito degli avvenimenti sovietici sui tre grandi quotidiani nazionali ("La Repubblica", "Il Corriere della Sera", "La Stampa") è stato in passato comunista e iscritto al Pci. Gli altri - con la lodevole eccezione di qualche corrispondente e di un opinionista anomalo come il nostro ex-ambasciatore Sergio Romano - hanno perso l'occasione per potersi distinguere. Il "credo" del passato, e cioè il togliattismo, si è coniugato col "credo" del presente, una sorta di crocianesimo da liceo, di liberalismo mutuato dal Bignami. Tra questi due "credi", del resto, anche nelle versioni alte, c'è sempre stato un legame tutt'altro che estemporaneo, dello stesso tipo di quello che correva tra il nostro miglior filosofo e il nostro politico più realista. La storia, per costoro, è solo o soprattutto storia delle idee, essendo queste ultime a stabilire il corso che prenderà il mondo, nel benè e nel male. Che interessi esistano ci viene ricordato solo per svillaneggiare chi ha ancora qualche rigurgito di utopismo, rammentandoci che l'Uomo è cinico ed egoista per natura. Per il resto è Libertà che ha forgiato la storia degli ultimi due secoli e che trionfa sullo scorcio di questo millennio, malgrado il lungo e tenebroso tentativo messo in atto da Comunismo per opprimerla ed ucciderla per sempre. Le fiabe, ricordava Propp, hanno elementi compositivi che si fondano nella storia lunga delle società umane. -L'appiattimento totale della storia e dell'esperienza di un paese sulla sua ideologia dominante coincide con l'appiattimento dell'ideologia stessa, che viene selezionata e manipolata, di cui si ignorano le scansioni temporali e le varianti storiche. Non c'è da stare allegri a pensare che questo, in fondo, è "il" modo con cui ci si rappresenta anche la realtà d'oggi. Se poi questa schiera agguerrita si ostina a voler trovare nell'azione di Lenin la causa di tutto quanto è successo per settant'anni, dimenticando però di dirci come mai militava nel Pci negli anni Cinquanta o addirittura negli anni Trenta, si può comprendere lo scatto d'ira di qualcuno: il tradimento va bene, ma l'irrisione ... Molto più preoccupante, tuttavia, per chi ha a cuore le sorti di una sinistra che deve necessariamente rifondarsi, è stato l'atteg·- giamento degli intellettuali "comunisti", sia interni che esterni al PdS. Qui si è davvero avuta la misura di quanto conservatrice sia l'ideologia da essi sbandierata, come ha ben puntualizzato Luigi Manconi ('-'Linead'ombra", n. scorso). Prima di esaminare più in dettaglio queste posizioni (meglio: questo atteggiamento politicopsicologico), bisognerà spendere due parole sui dirigenti del PdS, che hanno salutato con entusiasmo la fine del Pcus e hanno sanzionato l'esaurimento storico non più della spinta propulsiva dell'Ottobre, ma dell'esperimento comunista in generale. È certamente apprezzabile che nelle parole di Occhetto e dei suoi colonnelli non vi sia più stato spazio per i cauti "distinguo" della tradizione comunista. Minor soddisfazione procura l'assoluta mancanza di dibattito sulle cause, i modi, i perché di una così rapida disintegrazione del sistema sovietico. Tirarsi fuori da uqa storia non più considerata eroica ed esaltante può essere comprensibile per questioni d'immagine. Far finta di non aver mai fatto parte di quella storia è invece un errore politico (oltre che una codardia culturale e morale) che prima o poi si dovrà scontare. Le coordinate intellettuali in cui si inseriscono le schematiche affermazioni dei dirigenti ex-comunisti sembrano essere rappresentate da Togliatti e da Croce. Il cinico realismo del primo e l'astratto idealismo del secondo trovano il momento di fusione in uno storicismo giustificazionista che evita di fare i conti con le ambiguità e le difficoltà della storia, della propria in particolare. Vi è stato, infine, chi ha applaudito senza troppa convinzione e assolutamente senza entusiasmo al fallimento del golpe, preoccupato che lo scioglimento del Pcus rendesse ormai improbabile qualsiasi ipotesi di rinnovamento "interno". Il paradosso è che una simile posizione ha trovato spazio anche laddove- "Il Manifesto" ad esempio - la critica all 'Urss, per quanto parziale, aveva radici antiche. Perché un simile atteggiamento? Principalmente, credo, per un vizio che risale al togliattismo comune a tutta la sinistra. Il criterio di analisi, infatti, non è mai dato- neppure da chi si ostina a dichiararsi marxista - da quello che succede, dalla realtà in gioco. Deriva invece dalla reazione che di fronte a quella realtà hanno gli "altri", incasellati già da tempo fra amici o nemici. Il proprio atteggiamento, allora, nasce da una rifrazione non da una riflessione. In un gioco di specchi in cui ·la realtà rappresenta lo sfondo lontano ed opaco ci si domanda con chi schierarsi, e soprattutto contro chi. Non si tratta solo di persone o di gruppi, ma anche di idee, più spesso di ideologie, a volte perfino di pregiudizi. La giustificazione per questo atteggiamento, in passato, era quello di stare dalla parte della Storia, del Movimento Operaio, del Progresso. Il modo materialista di porsi di fronte alla realtà, che significa innanzitutto non farsi condizionare dalle idee e immagini che di quella realtà vengono costruite, ha avuto scarsa fortuna dappertutto: quasi nessuna da noi dove l'influenza di Croce e Gentile si è sommata a quella del materialismo dialettico di scuola sovietica. La soppressione del Pcus, allora, spaventa in nome della democrazia (anche se si difende con orgoglio la proibizione del partito fascista in Italia); la vittoria di Elts'in perché è favorevole

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