Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

parte perché era stato sequestrato, appropriato dalla scuola critica di F. R. Leavis, che era molto potente quando io studiavo e per la quale non ho mai avuto molta simpatia. In parte credo sapessi già che semai avessi scritto romanzi, questi sarebbero stati condannati dagli standard "alla Leavis". Vi è una sorta di seriosità e di solennità puritana che per me si associa al termine "morale" all'interno della critica del romanzo che respingo. D'altro canto non ho difficoltà ad ammettere che la narrativa, soprattutto quella realistica, ha inevitabilmente e continuamente a che fare con istanze morali. Credo che il comico sia un modo di esplorare istanze morali forse senza essere troppo solenni, senza far prediche e senza imporsi o dominare il pubblico e, forse, senza esser~ costretti a giudicare. Certamente la tradizione del romanzo inglese, ·risalendo, diciamo, sino a Fielding e comprendendo Jane Austen, Thackeray, Dickens, George Eliot, aveva grandi preoccupazioni per le istanze morali, ma tutti questi romanzieri sapevano anche far ridere molto bene, avevano un genio comico. Non vi è mai stata quindi antitesi tra preoccupazione morale e comico nella tradizione narrativa inglese e in questo senso io, come scrittore, appartengo certamente a quella tradizione di romanzo inglese a cui non sembra contraddittorio usare il comico per trattare di istanze serie. No, non credo ci sia contraddizione. Vorrei ora chiederle: si è naturalmente tentati di legare il suo lavoro di narratore ed il suo lavoro di critico, domanda che può portare lontano dal mio intento iniziale, ma vorrei che dicesse qualcosa al proposito. Professionalmente per tutta la mia vita adulta, ho cercato di combinare queste due carriere quella dello scrivere, pubblicare ed insegnare critica letteraria da accademico a quella del romanziere. In realtà credo di aver sempre alternato un libro creativo a uno di critica. Questa è stata in parte una decisione pragmatica: quando ho cominciato a scrivere narrativa, non ho mai pensato che avrei potuto mantenermi come romanziere. La vedevo come una seconda occupazione; ne avevo bisogno di un'altra e la critica e l'insegnamento li trovavo congeniali. Ma naturalmente le due attività hanno interagito e spero che il mio lavoro critico sia stato esaltato dal fatto che ho qualche conoscenza pratica dello scrivere, e viceversa. Ho trovato molta ispirazione, nello scrivere narrativa, sia nella critica sia nella vita a cui la critica mi ha condotto. Ma non scrivo romanzi per portare a termine un qualche programma critico. In un certo senso, ho dovuto operare una divisione psicologica artificiale tra il me stesso critico e quello creativo. A proposito di queste due anime - critica e creativa- quanto inglese si sente nell'un caso e nell'altro? Di nuovo mi è molto difficile rispondere a questa domanda, ma come scrittore mi sento molto inglese. Geneticamente, etnicamente, ho in me una bella mescolanza di geni, nel senso che oltre ali' ascendenza inglese, la nonna patema era per metà ebrea, la bisnonna era ebrea; dall'altra parte, il padre di mia madre era irlandese e sua madre era belga. lo penso di essere inglese, ma al tempo stesso sento di potermi mettere in relazione con culture non inglesi a causa di questa famiglia. Certamente avverto un'.affinità INCONTRI/LODGE con la cultura e con l'umorismo ebraico-americano ed anche con i modi e la parlata irlandese e celtica, e così via. Il che è tutto molto utile per un romanziere. E quando lei dice di sentirsi inglese come scrittore, intende come autore di narrativa o di critica? Tutti e due. Come autore di narrativa penso che mi definirei un narratore d'arte piuttosto che un romanziere di intrattenimento; tuttavia, per esempio, in Sud America o in Germania o in Francia uno scrittore che fosse anche un professore universitario forse scriverebbe qualcosa di più solenne o di più sperimentale di quanto faccia io; voglio dire, i miei romanzi sono d'arte, ma sono anche abbastanza popolari ed accessibili. Questa penso appartenga alla tradizione inglese, che risale al romanzo dell'Ottocento che desiderava raggiungere un pubblico vasto - e quindi in questo senso entra il discorso del comico. A proposito della critica, di nuovo penso di aver tentato di assimilare molto della teoria europea continentale, ma anche di addomesticarla e volgarizzarla o di semplificarla - alcuni dicono che l'ho semplificata ad eccesso o che ne ho fatto la caricatura. Ma penso che, come critico, sebbene tra i miei colleghi inglesi io passi per una persona interessata alla teoria ed allo strutturalismo - o al post strutturalismo - e così via, ad uno strutturalista o poststrutturalista europeo o americano io appaio, credo, molto inglese ed insulare ed empirico e radicato nella storia. Foto Hulyon Picture Library, dalla rivista "Granta".

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