INCONTRI/RICOEUR La crisi è forse una struttura, un fine immanente. Ancl{e la storia della filosofia è la storia di una serie di crisi. E una sorta di sfula: Avete ancora qualcosa da dire? dell'essere, quando parla di dynamis, energeia, di potertza e atto. Questi due sensi nell'opera di Aristotele si sovrappongono, poiché è nella ousia che vi è energeia. È possibile staccare le due ontologie, perché qui noi abbiamo delle guide storiche. Per me la principale è il conatus di Spinoza. Mi sembra estremamente importante: lo sforzo di essere tiene il posto della sostanza. Spinoza e Leibniz sono due guide che non sono prese seriamente dai contemporanei, perché sulle ontologie si parla sempre facendo riferimento esclusivamente all'ontologia della sostanza. Ma vi è forse un'altra ontologia nascente dai concetti di dynamis ed energeia di Aristotele perseguita dal dinamismo del XVIII secolo. Per noi francesi in questa tradizione rientra Maine de Biran, tutta la sua riflessione riguarda il Me come sforzo. C'è tutta una tradizione che proviene da Schelling, Schelling ha a sua volta alle spalle Spinoza e Leibniz ... Ci sono, insomma, molte ontologie ... Esito sempre quando mi chiedono se credo che si possa fare una ontologia. Se continuiamo un'ontologia della sostanza, forse no. Forse ousia ha delle risorse che non sono state esaurite dalla substantia latina. Si parla spesso di crisi d'identità, per noi moderni. È possibile rispondere con il recupero del racconto? Ciò che mi stupisce è il fatto che sempre vi è stata una crisi. Non è uno specifico di noi.moderni. Socrate risponde alla crisi dei sofisti; Descartes afferma: "La scolastica è morta. lo ricomincio tutto"; Kant nota: "La metafisica è in uno stato di totale disordine. Farò la critica ...". Ma la crisi non è una categoria per l'identità, poiché l'identità non può entrare in crisi, se noi la costruiamo non sulla permanenza della sostanza, ma sulla storia, sulle promesse mantenute o meno ... L'identità è sempre un eccesso di interrogazione. Vi è più nella domanda che nella risposta. È forse questa la crisi. Forse ora, con i mezzi di comunicazione, la crisi è pubblica. Perché un pittore ricomincia a dipingere, nonostante ci siano stati dei geni prima di lui, se non perché per lui tutto è nuovo? C'è una crisi della pittura senza la quale non affronterebbe la difficoltà di fare qualcosa di nuovo dopo i geni, dopo Leonardo da Vinci ... Perché creare ancora se non perché la soluzione apportata al problema della pittura non ha esaurito la questione intorno alla forma e al colore, etc ... ? La crisi è forse una struttura, un fine immanente. Penso al concetto aristotelico di praxis. È forse troppo lontano come paragone. Se un'azione ha la sua fine in se stessa - a differenza della poiesis che crea qualcosa per vedere che ha prodotto, che produce ancora azione - non entra in crisi, poiché non ha altre certezze che la permanenza della sua creatività, e quindi questo aspetto di certezza ansiosa che è allo stesso tempo dubbio. Resisto molto ali' idea.che vi sia qualcosa di radicalmente nuovo al giorno d'oggi. Il Medioevo era una crisi, i platonici sono stati eliminati dagli aristotelici, poi abbiamo i nominalisti ...Sono stato di recente a Tubinga. Mi sono recato allo Stift, il collegio ove sono stati educati insieme Hegel, Holderlin e Schelling. Sul retro di questo edificio ci sono due entrate. Nel XVI secolo entravano in una gli Antiqui, nell'altra i Moderni (gli aristotelici e i nominalisti) c'era un muro di separazione per impedire che si picchiassero. Vede? Anche allora c'era una crisi. Non ha senso, è una parola. Sono nomina, non hanno realtà. Anche la storia della filosofia è la storia di una serie di crisi. È una sorta di sfida: Avete ancora qualcosa da dire? E allo stesso tempo è un conforto, poiché si è nella situàzione di tutti gli altri, ·ciascuno ha dovuto rispondere a una domanda. E quando si è sottoposti a una domanda bisogna rispondere, avere il coraggio di affrontare una risposta, che non è che una tra tutte le altre risposte. Fare quindi parte di una comunità di ricercatori. Questa è la sola certezza, di essere una voce tra tante. Non si tratta di una sinfonia, ma di una cacofonia! Bisogna quindi osare porsi la questione, la domanda ... Assolutamente. Nell'articolo Che cos'è l'illuminismo Kant dice: Sapere aude. Osa sapere. Il vocabolo italiano è più esatto rispetto al francese savoir che vuol dire anche gustare. È il sapore. Osa gustare. Per concludere, vorrei porle un'ultima questione. Lei ha scritto in Tempo e racconto, che la questione più grave che possa scaturire dal testo è quella di sape refino a qual punto una riflessione filosofica sulla narratività possa aiutare a pensare insieme l'eternità e la morte. Pensa di esserci riuscito1 No, e mi rammarico di non esserci riuscito. Ci sono alcune pagine a proposito di tre autori che ho considerato, Proust, Thomas Manne Virginia Woolf, tre autori che si sono confrontati con la morte e l'eternità. Ma direi che eternità significa più cose. Per me idee forti di eternità sono più che esperienze transitorie. Sono esperienze che costituiscono .una sorta di faro, nella relazione di amore, di amicizia, di incontro. Sono momenti che durano anziché passare. Vi è eternità dove durare è più che passare. Durare è rimanere. Manere. Ma non ho risposto alla questione. Non l'ho affrontata tematicamente. Ed è forse questo il residuo, il vero residuo di Tempo e racconto. Diffido molto da un'idea di eternità che sia un'idea logica, di essere intemporale. Nel linguaggio religioso c'è una specie di confusione che si crea tra l'idea. della fedeltà di Dio e l'idea di impassibilità, di immutabilità. Come un Dio impassibile potrebbe divenire un Cristo sofferente? È necessario cambiare l'idea di eternità come impassibilità, riposo. Forse io ho avuto paura di affrontarla direttamente, perché tocca anche il problema dell'essere come qualcosa che è più della sostanza. C'è l'eternità sostanziale, che forse è solo lo schema per nascondere altre dimensioni di eternità. E forse ci sono altre esperienze di eternità, estetica, morale, in altre religioni, chissà ... Ma non sono giudice. Non abbiamo in noi il diritto di conservare il privilegio. Certo lei mi ha posto per ultima proprio la domanda più imbarazzante ... Intervista fatta a Napoli presso l'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici.
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