INCONTRI/RICOEUR personaggio fittizio. L'autobiografia fittizia è forse la pm interessante. Non sono mai stato molto affascinato dai diari; spesso sono una somma di cose ininteressanti. La mia diffidenza nei loro confronti deriva dalla domanda: Cosa mi si nasconde? Si pubblica ciò che è stato scelto e di questa scelta non si conoscono le regole ..In un romanzo, invece, si può arrivare a conoscere la struttura che lo tiene insieme. Ma cos'è che tiene insieme un diario? L'arbitrarietà del suo autore. È anche vero che ci sono dei diari che sono stati scritti per essere pubblicati ... Sì, e questa è la complicazione. L'autore finge di scrivere per se stesso sapendo che vi è qualcuno, alle sue spalle, che legge . . Credo sia un rapporto un po' perverso con il pubblico. Parlando del!' autobiografia mi viene in mente l'epigrafe che Walter Benjamin volle sulla propria tomba: "Il suo talento è la sua vita; la sua dignità quella di saperla narrare fino infondo". Bella. Molto. Conosce lo scritto di Benjamin Il narratore? Lo trovo magnifico. Nel secondo volume di Tempo e racconto vi è un riferimento ben preciso, a Il narratore, ovvero Der Erzahler, aproposito de Ila crisi dell'arte di raccontare, cifra di noi moderni. Lei ne auspica un recupero. Nell'arte del racconto cercheremo, dice, nuove forme di narrazione. Inseriamo questo tentativo nel più vasto progetto di affidare all'ermeneutica il compito di fornire una nuova Koiné, una lingua comune alla cultura filosofica? Sì, può essere intesa così, certo. Ma avevo in mente un altro aspetto quando scrivevo quelle parole. Un'opera non è mai finita. Dipende solo dai lettori farne un'opera completa. Tutte le opere del passato possono allora divenire contemporanee, attraverso un nuovo atto di lettura. Forse Benjamin ci dice che non possiamo creare opere nuove, ma che in ogni caso tutte le opere del passato ci sono accessibili. Il problema è di non trasformarle in un museo, un museo narrativo. E necessario ritrovare il carattere potenziale di un'opera, il carattere incompiuto, il fatto che il suo senso è ancora in sospeso e che sono le nuove letture che gli daranno un senso nuovo. Non credo alla morte del raccontare. Der Erziihler è l'esperienza di un tedesco negli anni Quaranta. È molto specifica. Guardi l'enorme successo del romanzo sudamericano. Trovo sia altrettanto importante del romanzo russo. Forse molti popoli oppressi ritrovano nella sofferenza le fonti di un'esperienza da scambiare, nel senso di Benjamin. Ad esempio, attualmente in Francia, non so in Italia, vi è un enorme successo di autori russi contemporanei. Ma anche di giovani tedeschi che sono stati segnati da Auschwitz. È nato il problema di come raccontare Auschwitz e come raccontare dopo Auschwitz. Credo siano delle fonti creative, non solo fonti di inibizione. È uno dei punti su cui resisto all'opposizione tra moderno e post-moderno, come se vivessimo in una età talmente nuova che ciò che è stato fatto prima non è più possibile. Sono molto scettico a questo riguardo. Prenda l'opera di Solgenicyn Arcipelago Gulag ... Anche il gulag è una enorme sorgente di racconto. C'è anche una sofferenza muta che reclama il silenzio. È vero, la sofferenza richiede il silenzio quando non possiamo o sappiamo spiegarla. Il silenzio o la finzione. Penso a un autore come Elie Wiesel. Direi che è un "canteur" piuttosto che un "raconteur". Mi chiedo se in questo bisogno fondamentale di raccontare e di raccontarsi, tutti i contenuti di racconto, poi, si equivalgono. Il racconto di un ladro che mi narra le sue azioni e la sua condotta di ladro, ha lo stesso statuto di un qualsiasi altro racconto, poiché storia di vita? L'unità di una vita è l'unità di un racconto o di molti racconti che iò faccio di me stesso. Il caso di un ladro... Ho appena terminato di leggere un romanzo francese di una nuova scrittrice. Si impernia sulla finzione di qualcuno che riceve le confidenze di una donna che è in prigione. Si ha l'impressione che questa donna, che è una criminale, un'infanticida, sia riscattata dal racconto. Il racconto non è solamente conservare la gloria dell'eroe. È anche dare un senso a ciò che senso non aveva. C'è uno scambio tra il narratore e il personaggio. Il narratore dà la parola a colui che non è che un atto senza parola. Così l'atto viene accresciuto dalla dimensione linguistica. È forse la base della confessione, nel senso religioso e non della parola; comunicare l'esperienza, condividerla, è certo darle il senso che le manca. O un senso nuovo ... Certo. Anche comunicare il non-senso è il senso del non. Il non senso comunicato è già strappato al suo non-senso. Penso alla nozione di non-personaggio, al richiamo da lei fatto a L'uomo senza qualità di Musi!. Un non-personaggio, un non-soggetto continua a esistere come personaggio, come soggetto nella categoria del Non. Mi sono molto interessato alla distinzione tra i due sensi del Sé, all'identità sostanziale, che è un'identità che sfugge al tempo, eall'identitàchenel tempo si crea. Ilcasodel'uomosenza qualità di Musi! è quello di un'identità ipse che ha perduto il supporto dell'identità idem. È un'identità che è riportata alla nudità della domanda "Chi sono io?". La domanda "Chi?'' permane anche nella sparizione della domanda "Cosa?". Il me è come scomposto nel Sé che domanda. Ma c'è il Sé domandante che permane. Non mi sarei interessato a quell'opera se la perdita di ciò che si cerca non fosse la costituzione di un soggetto che racconta tale perdita, il Sé. Possiamo parlare di identità {larrativa come funzione piuttosto che come categoria ontologica? Quale ontologia? Ciò che è escluso è un'ontologia di tipo sostanzialistico, nel senso sia di Aristotele che di Kant. Kant ritiene la categoria di sostanza come la prima categoria di relaziÒne. Si può parlare di ciò che cambia solo rapportandoci a ciò che non cambia. Forse c'è un'altra ontologia, anche in Aristotele. Penso a quando parla della molteplicità dei sensi
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