Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

No, come ho scritto nella prefazione al primo volume c'è un rapporto con la Metafora viva che è dato dalla creatività.· L'idea di produzione di un senso nuovo, che io chiamo "innovazione semantica". È questo il problema che mi ha occupato fin dall'inizio. Ritrovare ciò che vi è di vivo. La metafora è visibilmente una reazione, poiché non esiste se non quando è prodotta e compresa, soprattutto compresa dal lettore, recepita. Quindi riunire insieme due campi semantici è produrre un nuovo senso. E mi è sembrato che nel racconto l'intreccio (ritengo che la migliore traduzione italiana sia "intreccio", pari al nostro francese "intrigue") è una creazione di senso, poiché nella vita ordinaria non esiste questo intrecciarsi equilibrato, composto. Come autore non credo però di poter rispondere a questa domanda anche per un'altra ragione, perché ciascuno dei miei libri è determinato da una domanda e io sono molto sensibile alla discontinuità delle domande. La metafora viva. rispondeva alla domanda: come funzionano i tropi? Sono semplicemente retorici, un ornamento del linguaggio, o piuttosto la vita stessa del linguaggio? Da questo lato sarei d'accordo e non d'accordo con Derrida. Derrida ha visto che il linguaggio è costituito di tropi, ma si è poi interessato ai tropi morti, mostrando çome il linguaggio filosofico sia un cimitero di metafore morte. Questo c'era già in Nietzsche. lo sono invece interessato alle metafore vive, alle creazioni nuove, non solamente quelle del discorso filosofico, ma quelle èhe sono anche dei poeti. Come vede c'è nelle domande una discontinuità. E io non so dirle perché a un certo momento una domanda si impone sulle altre. So dire solo, forse, che ogni libro è nato da un residuo di ciò che il precedente non aveva affrontato. Ma questa è la storia che io mi racconto su di me. Alcuni critici vedono svolte, dispersioni, altri una linea continua ... lo non sono il lettore di me stesso, e se 1o sono, sono un lettore tra altri, quindi ... Questo suo affrontare ora il tema dell'etica di fronte al tragico dell'azione non significa un abbandono del tema dell'identità narrativa? No, certo che no. Nel problema dell'identità narrativa c'è il lato narrativo, ed è questo che mi ha interessato. Ma c'è anche il lato dell'identità. In Tempo e racconto non ho affatto discusso cosa significa identità. Dico che è narrativa. Ma qual è il problema dell'identità? Tale problema supera di molto il problema narrativo, è il medesimo posto da Hume, da Locke. Vi è un soggetto permanente? È l'identità nel tempo. La soluzione narrativa è un'ipotesi risolutiva, ma non è che una ipotesi. Direi che il summit della nostra identità è di ordine morale, nel senso che io mi rendo identico a me stesso mantenendo le mie promesse. In ciò sono stato molto segnato dalle analisi della promessa fatte da Gabriel Marcel ed anche da Heidegger, che non parla di promessa ma piuttosto di Selbsti:indigkeit. Non è una persistenza di un me attraverso il cambiamento, che può essere introvabile, ma è per la volontà di rispondere all'attesa di un altro che "conta" che io manterrò la mia promessa. Qui si introduce il problema del rapporto con altri nella costituzione della identità personale. Poiché la mia identità è anche quella che gli altri si attendono da me. INCONTRI/RICOEUR Ieri le ho detto che sarei stato qui alle ore 15.00. La mia identità consisteva nel suo far conto che io sarei stato qui oggi. Se non avessi creduto che lei contava su di me, forse sarei andato a passeggio ... Quindi, vede, rispondere a un'attesa è anche costituire la propria identità. L'identità non è data. È in costruzione. Nel lavoro che attualmente faccio sul Sé, io cerco di seguire il problema dell'identità partendo dall'identità linguistica, poiché "lo sono colui che dice molte frasi". Qual è il polo che permane identico nella molteplicità dei discorsi? Che cosa è un locutore? È il problema deÌl'identità posto mediante l'identità di un locutore. Nel rapporto interlocutore/locutore, la pragmatica del linguaggio permette di porre la questione dell'identità, seguendola attraverso le strutture del linguaggio che comportano l'uso di pronomi personali; deittici, e nomi propri per giungere al problema dell'azione, dell'agente di tutte queste azioni. Già Husserl aveva incontrato questo problema, ma è ricaduto nell'uso.delle metafore. Egli afferma che il soggetto è il polo identico di una molteplicità di atti, o che è il maestro o ancora il padre dei suoi atti. Curioso notare come si trovi questo anche in Aristotele. Forse possiamo parlare solo metaforicamente di questo rapporto. Identità narrativa è per me una catena in cui si parte dal soggetto dell'azione, del discorso, del racconto, dove sono il personaggio e l'autore del mio proprio racconto. E poi continuare attraversoil problema etico del soggetto responsabile, del soggetto di imputazione. Il tema della responsabilità è molto interessante,· poiché vuol dire che atti commessi nel passato hanno il medesimo autore, colui che oggi è chiamato a renderne conto. Nella nozione di colpa, difficile da tradurre, è racchiusa la nozione di essere in debito. Esiste un certo rapporto tra il fatto che gli altri fanno conto su di me e il fatto che io sia tènuto a render contò delle mie azioni. Vi è tutto un campo semantico interessantissimo. In Tempo e racconto avevo posto il tema dell'identità narrativa come una sorta di appendice. Ora ne faccio un momento intermedio. Lo stesso problema può essere ripreso in modi molteplici. Se io dovessi tentare un parallelo tra la sua nozione di identità narrativa e una nozione di identità invece più antropologica o autobiografica, affermerei che è molto vicina alla nozione di idl!ntità come autobiografia. Sì. Ho sempre il progetto di lavorare sull'autobiografia. Ho già raccolto una grande bibliografia sul tema. Ho insegnato per due anni a Chicago su questo argomento. Ciò che mi interessa è questo: auto-bio-grafia, scrivere la vita di sé. È un genere letterario molto interessante. Bisogna stare attenti a non cadere in una sorta di soggettivismo. La maggior parte dei racco il ti sono alla terza persona, l'eroe, il protagonista dell'azione è detto sempre "egli, ella';. In teatro i personaggi parlano in un dialogo. Èil dialogo che fa l'azione. Nel teatro si ha, in parte, l'unione tra il racconto alla terza persona e l'autobiografia, che è in prima persona. In vero, abbiamo delle false autobiografie. Prendiamo Proust. È tutto scritto alla prima persona, ma non è l'autobiografia di Proust, è un romanzo alla prima persona. Ciò prova come si possa passare da un romanzo alla terza persona, metterlo in prima e renderlo, apparentemente, un'autobiografia. Ma di un

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