Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

musica sperimentale cercavo di esserci, ci sono andato giusto per vedere chi era e che cosa faceva. Mi aspettavo un concerto, in effetti, magari di musica d'avanguardia, ma musica e di sicuro non quello che invece mi sono trovato di fronte." E Fabio Minotti, allora collaboratore di Canale 96: "La stragrande maggioranza non sapeva bene che cosa sarebbe andata ad ascoltare. Anche perché c'era stato un fraintendimento di · cui erano caduti vittime in molti: parlando con un po' di gente, mi accorsi che in tanti erano convinti che si trattasse di John Cale, quindi di un concerto rock". Ma certo gli equivoci non spiegano tutto: al Lirico, quella sera del fatidico '77, si raccolse una bella fetta del pubblico che gravitava intorno al movimento, alla sinistra e in gran parte all'estrema sinistra, molto interessato alla musica e abbondantemente suggestionato o almeno incuriosito da esperienze artistiche d'avanguardia. Ma davanti alle "parole vuote" di Cage la gran parte dei paganti riesce solo per pochi minuti a celare la propria insofferenza o la propria insicurezza. Seduto ad un tavolino Cage recita impassibile il proprio testo seguendo scrupolosamente la partitura. I dissensi via via crescono, la manifestazione della noia e della delusione si mischia a un volersi far sentire, a un voler prendere la parola di fronte a quelle parole vuote, per così dire a un non voler passare per fessi, atteggiamenti in cui si combinan_ouno spirito giocoso e una tendenza a contrapporsi drasticamente a ciò che non piace, molto tipici di quella seconda metà degli anni Settanta. È via via un montare di improperi, slogan, cori. L'aggressività, col passare del tempo, trascende l'ambito esclusivamente verbale e sonoro: qualcuno comincia a salire sul palco e a esibirsi, ma c'è chi osa di più Milano 1977: Jahn Cage al Lirico, alla fine di EmptyWords (foto di RobertoMasotti). CONFRONTI e pare arrivare alle soglie dell'intimidazione fisica spegnendo la lampada da tavolo di Cage, bevendo l'acqua che ha in un bicchiere, portandogli via gli occhiali. Cage, imperturbabile, continua. Scrisse Roberto Calasso in un articolo uscito su "Panorama" qualche settimana dopo: "Uno ha tentato di bendarlo con una fascia nera - e temo che non sapesse che in quel momento ripeteva il gesto antichissimo con cui il musico viene eletto a pharmakon, vittima fascinosa e miasmatica che deve essere espulsa dalla città, come ha raccontato Pll).tonenella Repubblica. Era il gesto simbolico del pestaggio. Non lo hanno pestato perché Cage-anche a pochi centimetri- nella sua inflessibile quiete ha continuato ad agire come l'Angelo Sterminatore. Ma i gesti simbolici, si sa, significano sempre un po' più dei fatti". Walter Marchetti, in quella occasione direttamente coinvolto come proiezionista delle diapositive, rievoca: "A diverse riprese nel corso della serata ci fu chi tentò di strapparmi il proiettore per buttarlo in platea. E poi prendevano della carta igienica, la impregnavano d'acqua e dalla balconata la tiravano come una bomba vicino a Cage". Nella testa di molti che sono ll c'è certamente quello che si ricava dall'appello grottesco e impietosamente rivelatore citato in apertura: l'idea avvilente che ci sia una posta in gioco, che sia in corso una sfida, e la fissazione di individuare una contrapposizione e un nemico. Ma sicuramente non è nemmeno possibile ridurre tutto a questo: "Io non sono salito sul palco", ricorda ancora Serafini, "Sono rimasto giù in platea perché c'era una discussione violentissima nelle poltrone vicine a me: con uno èhe diceva che Cage lo aveva mandato la Cia, ne era veramente convinto, e altri che cercavano di fargli cambiare opinione perché sapevano chi era Cage e conoscevano le éose.che aveva fatto. C'era da ridere, c'erano cose belle, e forse c'era anche tensione, ma sinceramente non ho avvertito un clima di violenza. Salire sul palco, ballare, bergli l'acqua , si vedeva che era un gioco: gli hanno portato via gli occhiali, .ma poi glieli hanno riportati. Non mi davano l'impressione di voler fermare il concerto, ma di voler partecipare". Marchetti: "Non credo molto alla spiegazione dell'equivoco: che può aver riguardato forse il 20 o il 30 per cento del pubblico, ma la stragrande maggioranza mi pare eccessivo. Più che altro si è trattato di mancanza di preparazione di fronte a certe forme di arte avanzata. Del resto con Cage in Italia è sempre la solita solfa. Fin dall'inizio, addirittura dal circolo Pirelli negli anni cinquanta, dove Cage venne con Tudor ed eseguì Sonatas and lnterludes. E c'erano musicisti scandalizzati dal fatto che quest'uomo avesse messo una pentola sulle corde del pianoforte" .2 Gianni Sassi, principale organizzatore della serata, commenta: "Non sono d'accordo con l'idea di una situazione italiana arretrata. Eravamo consapevoli in modo chiaro di quello che sarebbe successo. Posso confermare che uno dei microfoni era panoramico, perché se no non si sarebbero potuti sentire gli spettatori, ed era previsto. Cage stesso ci aveva detto che in realtà il grande protagonista del suo evento era il pubblico, e di conseguenza non ci siamo attrezzati. C'era quindi una certa 'premeditazione' molto precisa. Fui io a rifiutare l'offerta della Scala di gestire la serata del Lirico. Noi della Cramps decidemmo di promuoverla con una radio di movimento proprio per far reagire un'avanguardia politica con l'avanguardia culturale. Non ritengo traumatico", continua Sassi, "che qualcuno si comporti in maniera creativa, o comunque disomogenea rispetto a quanto è previsto come atteggiamento in un concerto. Evidentemente c'era una voglia di protagonismo e I' effetto del non capire, dell'essere abbandonati a se stessi, senza nessun appiglio. Per me è stato un grande gioco: ero in mezzo, e un paio di volte ho bloccato dei ragazzi che cercavano di sfondare il palco di Marchetti per impedirgli le proiezioni, e a un certo punto ci sono anche riusciti. Ma la violenza è un'altra cosa: è interrompere brutalmente la performance, e Cage non si è interrotto un attimo". "Incontrai Demetrio Stratos", ricorda Minotti, "e lui mi disse che in quel momento Cage era diventato una figura margin.alee che il vero protagonista era il pubblico: Cage aveva dato soltanto il la". Il parere di Marchetti è che "la volontà di Cage non sia fino a questo punto quella di voler implicare il pubblico. La natura di EmptyWords è poetica, quasi intima, ogni rul)lOre estraneo dà fastidio. Forse siamo abituati a pensare che Cage vuole divertirsi col pubblico, ma in quella sera e in quel pezzo non c'era niente di'questo';_ , "La mia percezione soggettiva di un'aria di violenza e di pestaggio, che ascoltando la registrazione non si può comprendere interamente, era forse eccessivamente drammatica", è disposto a concedere Paolo Petazzi, che recensì la serata per "l'Unità", "anche se oggettivamente alcuni fatti come quello dell'assalto al proiettore erano abbastanza impressionanti, e il Lirico uscì piuttosto malconcio da quell'esperienza. Devo

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