Masalapercorrewplagedesenfantsperdus,uno dei film più bellj in concorso e ovviamente dimenticato dalla giuria. Il cinema del Marocco, di cui si è parlato in questi anni a proposito di Badis di M. Tazi e La bataille des trois rois di S. B. Barka, può vantare anche questo nuovo titolo di Gillali Ferhati, già autore di Unebrèche dans le mur (1977) e Poupées de roseau (1981), prodotti con qualche difficoltà in patria. Ferhati ha impiegato nove anni a mettere assieme i soldi per questa nuova opera e ha utilizzato un cast quasi interamente non professionista: la sorella del regista, un maestro di scuola e una giornalista hanno i ruoli principali. Come in Poupées de roseau, Ferhati si occupa della sorte riservata alle donne in una società patriarcale: Mina sedotta e abbandonata, uccide il seduttore, ne seppellisce il corpo nelle saline e non rinuncia al frutto del.peccato, rivendicando la propria maternità di fronte al padre, alla matrigna e ai benpensanti del paese. Ferhati unisce un rigore quasi etnologico al rifiuto della prolissità di un certo cinema arabo. Ha fatto un film antiesotico, girato nel mese di marzo, quando sul Maghreb non splende il sole dei poster turistici. Le spiagge e il deserto alla Berto lucci non sono gli unici possibili. Proprio il fastidio verso l'ultimo Bertolucci accalora Randa Sahal Sabbag, debuttante regista libanese di Écrans de sable, che ripropone la Maria Schneider di Ultimo tangoa Parigi nelle vesti di protagonista: "Voi siete abituati ai deserti cartolina di Bertolucci - dice Ja regista -. Quel Bertolucci che, per girare il Té nel deserto, ha portato nella sabbia due milioni di mosche. E non sa neppure che non ci sono mosche tra le dune. È tutto falso quel mondo di Tuareg". La Sabbag filma la storia di due donne che si scontrano perennemente con le leggi di quel mondo che i viaggiatori occidentali di Berto lucci non sanno vedere: Sarah e Mariame, apparentemente padr_one di se stesse, sono .in realtà prigioniere di costumi retrogradi; e infatti la loro amicizia viene sconvolta dalla comparsa di un uomo in odore di integralismo religioso. li film, girato in Tunisia, è un feroce atto d'accusa contro "la modernità della Coca-Cola" che impera nei paesi del petrodollaro; eppure rimane un'opera sottile ed elegante, che si snoda tra situazioni e sentimenti contradditori e complessi (parte del merito va al direttore della fotografia Yorgos Arvanitis): I drammi del mondo arabo, e in particolare il conflitto israeliano-palestinese, si dissolvono improvvisamente di fronte al televisore che trasmette la finale di Spagna '82 in Gmar gavia (Finale di coppa), dell'israeliano Eran Riklis. Un sergente con la stella di David viene catturato da un gruppo di soldati dell'OLP durante l'operazione Pace in Galilea e si trova a tifare Italia insieme ai suoi carcerieri. Film ben fatto, riesce addirittura a far dimenticare l'ingenuità di fondo della storia. Alla fine, naturalmente, l'israeliano si salva e i palestinesi muoiono tutti. Molto meno improbabili gli episodi raccontati da tre registi arabi nell'opera collettiva Harb el Khalij... wabaad, ovvero La guerra del Golfo... e dopo, prodotto da Ahmed B. Eddine Attia e Francesca Noè. La regista tunisina Nejia Ben Mabrouk, entrata clandestinamente a Baghdad CONFRONTI nel 1991, mette in fila 16 minuti di denuncia anti-Usa in un viaggio tra morti e feriti nel quartiere di El-Amyria dopo un bombardamento; l'episodio di Nouri Bouzid, "Sheherazade ha tenuto il silenzio sul proibito", è invece un unico, emozionante piano sequenza. "Saddam - dice un personaggio del film - con pochi mezzi ha sfidato il mondo e ci ha fatto riscoprire I'.onore". Sheherazade, che fino a quel momento ha mantenuto il silenzio sul tema proibito, ribatte: "Perché continuiamo a ragionare in termini di virilità?" Molto lucido il produttore di La guerra del Golfo, che ha ricordato come nel film si parli di una disfatta che non è cominciata quest'anno, ma in Andalusia sette secoli fa: "La nostra disfatta è di fronte alla modernità. Viviamo in paesi pieni di ricchezze e siarrio tragicamente poveri, costretti a subire dinastie feudali come l'Arabia Saudita e il Kuwait". Sembra ormai chiaro che la guerra del Golfo è stata perduta dai fautori della modernità, occidentali e arabi. E qui - è il caso di dirlo - il cinema è fatto col carbone ma parla d{ sangue. In alto: Sarita Choudhury nel film di Mira Noir MississippiMaso/a. Sotto: Una scena di Razulcnica, il film kazako di Amir Karakulov *** Incontro con Gillali Ferhati Innanzitutto una domanda sul "contesto": quantifilm vengonoprodotti ali' anno inMarocco? La produzione è mediocre: in media un film all'anno. A volte si può arrivare a quattro o cinque, ma si può stare quattro anni senza film. Si tratta come nel caso del suo ultimofilm, di coproduzioni? E l'unico film prodotto annualmente è interamente marocchino? Le produzioni marocchine al 100% sono film che non escono dal paese. Il Centro cinematografico nazionale ha una commissione per le sovvenzioni che dà una somma sulla base dell'esame del progetto: una somma poco più che simbolica, che permette di bussare ad altre porte. A me ha permesso di chiedere la collaborazione di Paris Plage Production e di presentare al Ministero degli Esteri francese, che mi ha dato una sovvenzione, come pure il Forid d' Action Sociale in Francia. La seconda rete TV marocchina ha preacquistato La plage des enfants perdus·.
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