CONFRONTI Koudelkae Strand,due racconti Diego Mormorio "Se dovessi rendere l'idea che mi sono fatto di lui con una sola immagine, direi: 'Egli vive in un sacco a pelo"'. Così, in Entre vues (Edition Nathan), l'americano Frank Horvat dice di un altro grande fotografo, il cecoslovacco Josef Koudelka. Questa considerazione di Horvat nasce da una leggenda - come tutte le leggende in parte vera e in parte infondata. O meglio, come tutte le leggende perfettamente riuscite, fatta di una sorta di ricamo di cose immaginarie intorno a un nucleo di verità. Una leggenda confermata dallo stesso Koudelka: "Quando io viaggio non so dove andrò a dormire. Non penso al posto in cui mi coricherò che al momento di piazzare il mio sacco a pelo". Ma tutto ciò sarebbe soltanto una leggenda marginale, un po' folkloristica, se non avesse rispondenza nelle fotografie di questo fotografo cecoslovacco. Sono le fotografie di Koudelka a dare rilevanza a questa diceria, a volgerla in leggenda. E non potrebbe essere altrimenti, perché è sempre e soltanto l'opera che dà senso storico ali' autore e-che in certi casi estremi genera la necessità di una leggenda. È nelle sue fotografie che Josef Koudelka rivela interamente la leggenda di un uomo che non ha luogo. Di un uomo che vive radicalmente la catastrofe dello smarrimento e il tentativo di contrapporle una risposta. Che si trova cioè di fronte a quello che è sempre stato il fondamento dell'opera tragica: essere in un luogo e non esserci interamente, essere e al tempo Ragazza egiziana in una fato di Paul Strand del 1959. stesso sentirsi preèipitare nel nulla, sapersi, con le parole di Eraclito, "vivo e morto, sveglio e dormente, giovane e vecchio". In questa prospettiva Koudelka è il più grande autore tragico della modernità con Holderlin e Kafka. Egli evidenzia in modo cristallino il fondo da cui sorge la fotografia, il suotentativo di creare un frammento di eternità, senza dovere o potere rinunciare alla convinzione che niente è eterno. Nelle fotografie di Koudelka esegui te dopo il '68 sembra che tutto sia già avvenuto e che niente debba più avvenire, pur rimanendo la fine solo annunciata. Dopo il '68, che è l'anno in cui i carri armati russi invasero le vie di Praga, intorno ai quali Koudelka si mosse con un impeto che qualcuno definì quasi dettato da un istinto di morte, le sue immagini divengono parti di un labirintò della "nientità", l'annuncio di uno sfacelo in attuazione, tanto evidente perché sorretto da una perfezione fotografica incantevole, attraverso la quale il piacere della bellezza si fonde col richiamo della fine. E . viene da pensare: siamo qui, dentro uno smisurato destino, come Edipo nella sua tragedia. Nella tragedia dell'esilio, vista non nell'accezione che riguarda un uomo lontano da una patria, ma l'uomo preso in una rete, per l'appunto smisurata, che lo tiene lontano da tutto. Exiles è, infatti, il titolo del volume in cui Koudelka ha raccolto le sue immagini più significative, in occasione della grande mostra organizzata dal Centre National de la Photographie di Parigi nel 1988 e che recentemente è stata presentata ali' Accademia di Francia a Roma. "L'esilio - scrive nell'introduzione di questo libro il poeta e scrittore Czeslam Milosz - è una prova di libertà interiore, terrificante. Tutto dipende dalle riostre proprie risorse, delle quali noi siamo essenzialmente inconsapevoli, e tuttavia prendiamo decisioni presumendo che la nostra forza sia sufficiente. [...] Vincere o perdere appare in una luce netta, perché siamo soli e la solitudine è un'afflizione permanente dell'esilio. Una volta Friedrich Nietzsche esaltò la libertà dell'altezza e del deserto. La libertà dell't:;silio è di quel tipo, anche se priva di pathos perché imposta dalle circostanze". Ma a ben pensare, occorre riconoscere che l'esilio è sempre e ·soltanto, per chi lo vive e comunque lo viva, un calice da cui non ci si può allontanare. È, sia che avven1p per imposizione _che per scelta, inevitabile. E un segno del desti.no: spiegabile, ma al contempo misterioso. Perché, infatti, ci si chiederà, altri, pur partecipando agli stessi avvenimenti e ai medesimi sentimenti non si sono ritrovati sulla via dell'esilio? La· risposta che ci viene dall'antica Grecia è: perché l'esilio è il destino estremo dell'uomo; al quale solo i migliori pervengono. Romeo Martinez ha scritto che " il primo apprendistato della solitudine e della libertà" Koudelka lo ha avuto da bambino, portando a pascolare le due capre della famiglia sµlle colline e nei boschi intorno aBoskovice, il piccolissimo paese della Moravia in cui nel 1938 è nato. Nello stesso periodo, attraverso il fornaio che una volta a settimana passava a portare il pane e che aveva fama di abile fotografo dilettante, ebbe il suo primo incontro con la fotografia.
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