Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

CONFRONTI modo ingenuo gli aborigeni australiani o i popoli africani per una loro presunta e probabile vicinanza con la Natura ma li osserva con una distanza che non è superiorità, né implica sempre un giudizio etico. Esemplare a questo proposito è l'episodio della cruenta caccia al canguro descritta in Le vie dei Canti : dopo l'uccisione dell'animale da parte degli aborigeni che Chatwin ha accompagnato, uno di questi gli chiede se vuole tornare a cacciare insieme a loro il giorno successivo e Chatwin risponde semplicemente "No" (Le vie dei canti, pp. 274-281). · La tecnica narrativa di cui Chatwin si serve per comunicare queste 11luminazioni, che hanno carattere poco astratto e sono invece ben fondate sui sensi, è quella delle microstorie. Ali' interno del filo generale della narrazione fanno la loro comparsa digressioni, ricordi, incontri, vite rapidamente tratteggiate, storie che hanno quasi il ritmo del viaggio, dell'immagine intravista che chiede di essere fermata per non essere dimenticata. "Martin Sheffield morì nel 1936 a Arroyo Norquinco, che credeva essere il suo Klondike privato, di febbre dell'oro, inedia e delirium tremens. Una croce di legno con le iniziali M.S. indicava la sua tomba, ma un cacciatore di souvenir di Buenos Aires l'ha rubata. Il figlio che ebbe da una donna indiana vive a El Bols6n e beve; si crede uno sceriffo texano per eredità e porta la stella di suo padre" (In Patagonia, pp. 41-42). Oppure, in Il viceré di Ouidah (1980, traduzione italiana Milano, Adelphi, 19912 , ): "Una notte, una faccia si profilò rossa nella luce del fuoco: fu sorpreso dalla facilità con la quale il suo coltello si infilò nella pancia dell'uomo. Un'altra volta, bivaccando sul Raso da Catarina, divise la carne con un vagabondo che girava per la boscaglia vestito di pezzi di seta verde cuciti insieme e aveva le dita irrigidite da molti anelli d'oro. (... ) Per mesi Francisco Manoel non si rese conto che quello era il bandito Cobra Verde, che derubava solo le donne ricche e le derubava solo dei loro gioielli" (Il viceré di Ouidah, p. 61). In Vtz (1988, traduzione italiana Milano, Adelphi, 1989, ), l'ultimo romanzo scritto da Chatwin prima di morire e ambientato a Praga, si accenna a tranvieri esperti di teatro elisabettiano e a spazzini che hanno scritto un commentario filosofico sul frammento di Anassimandro che "col loro silenzio ( ... ) infliggono allo Stato un estremo insulto, fingendo che non esista" (Utz, p. 16). · A fianco di queste digressioni, l'ibridazione struttura anche la costruzione stessa dei romanzi di Chatwin, tanto che risulta difficile definirli tali, almeno nel senso tradizionale del termine, per la mistura di narrazione, digressione, saggio, confessione diaristica, autobiografia che li caratterizza. In Il viceré di Ouidah l'ibridazione si manifesta sul piano dello stile più che della forma: il linguaggio di Chatwin è qui sincretista, unisce immagini e parole di struggente dolcezza e di terribile crudezza nella stessa frase, introduce elementi incongrui, che uniti al gusto tipico di Chatwin per l'accumulazione di frasi, oggetti, immagini, storie, danno un tono particolare alla narrazione: carillon svizzeri sistemati insieme a "divani di jacaranda, un servizio da toilette di opalina, un letto goanese", un pianoforte e un biliardo (Il viceré di Ouidah, p. 117); "cibo, sangue, piume e Gordon's Gin" sparsi sul letto di un morto (Il viceré di Ouidah, p. 25); l'altarino "con Cristo e gli Apostoli che sedevano a tavola con davanti un pollo di gesso. Gli occhi del Signore erano color turchese e la testa era irta di veri capelli rossi" (Il viceré di Ouidah, p. 48). In Le vie dei Canti, invece, la struttura stessa del romanzo si trasforma in una forma "bridae nomadica che attraversa i rigidi confini tra romanzo, saggio, autobiografia e diario, riprendendo e sviluppando il metodo delle lunghe digressioni già usato in In Patagonia. In Le vie dei Canti viene narrato un viaggio in Australia del narratore, ma in esso l'autore presenta, anche se in modo frammentario, le sue teorie sul nomadismo e sulle società sedentarie. E Le vie dei Canti può essere letto anche come un diario di viaggio, come un'autobiografia e perfino come un esempio dell'impossibilità di scrivere il libro che si vorrebbe scrivere: '"Inutile chiedere a un vagabondo / consiglio su come costruire una casa./ Il lavoro non arriverà mai alla fine'. Dopo aver letto questo brano del Libro delle odi cinesi, mi resi conto che cercare di scrivere un libro sui nomadi era insensato" (Le vie dei Canti, pp. 238-239). Ma nonostante tutto quel libro esiste anche se in forma ibrida, contaminato da frasi e'teorie di altri autori, frammentato e sofferto, pieno di digressioni, di dubbi e di incontri soprendenti edè il libro che ha per titolo Le vie dei Canti. Il nomadismo di cui il narratore è acceso sostenitore trova così un'equivalenza nella ricerca da parte dello scrittore di una forma o di un genere che non esiste allo stato puro, ma che deve essere cercato di volta in volta nella incessante interrelazione di forme e generi. In Vtz ritroviamo un libro che non può essere scritto e che invece viene scritto, anche se la sua forma non sarà quella progettata dall'autore: come il libro sul nomadismo che Chatwin avrebbe voluto scrivere diventa un romanzo ibrido dal titolo Le vie dei Canti, così Vtz è quello studio che il narratore vorrebbe scrivere "sulla psicologia- o psicopatologia - del collezionista coatto" che "un po' per pigrizia, un po' per la mia ignoranza delle lingue finì nel nulla" (Utz, p. 14). Neanche il narratore di Vtz è un narratore tradizionale dato che ha perduto quell'onniscienza che caratterizzava i narratori di Ii viceré di Ouidah e Sulla collina nera (1982, traduzione italiana Milano, Adelphi, 1986), e deve farsi strada a fatica nella propria storia, sempre attratto dalla digressione almèno quanto dalla storia che sta raccontando, riempiendo i vuoti, inventando, sorpreso egli stesso da quello che racconta. In Che cifaccio qui? 1' autore sembra invece preoccupato di tracciare rigidi confini tra realtà e immaginazione, come se non volesse assolutamente mischiare i due campi: "La parola 'racconto' serve ad avvertire il lettore che, per quanto la narrazione possa avvicinarsi ai fatti, c'è stato un intervento della fantasia" ( Che cifaccio qui?, p. 13). Poi però scopriamo che i brani più sorprendenti, quelli in cui dovrebbe essere maggiormente evidente l'intervento dell'immaginazione (come ad esempio la storia del viaggio di Chatwin lungo il Volga in un battello pieno di tedeschi, la sua ricerca dello yeti e del ragazzo lupo o l'incontro con il geomante cinese) non sono classificati come racconti mentre sono definiti tali brani indubbiamente più realistici, come due strazianti pezzi sulla malattia di Chatwin e sull'infermiera che si occupa di lui, scritti in uno stile spezzato e febbrile, il resoconto di un colpo di stato in un paese africano e la visita a una comunità di Boston guidata da un predicatore folle. In realtà il rapporto fra arte e vita, fra letteratura e realtà, fra autobiografia e invenzione narrativa è sempre complesso in Chatwin: le due facce del problema non si contrappongono ma tendono a fondersi, a confondersi, creando un effetto di spaesamento che risulta infine fertile. Un altro aspetto caratteristico dello stile di Chatwin, come si è già accennato, è il suo gusto per l'accumulazione di frasi, oggetti, immagini e storie. Si tratta di una tecnica che si ritrova spesso nei libri di viaggi, quasi a indicare lo spaesamento che il narratore prova di fronte a situazioni che lo colpiscono con la loro novità, come se mancasse il tempo o la voglia di soffermarsi a scegliere fra gli oggetti che colpiscono lo sguardo e si preferisca invece lasciarsi andare al flusso delle sensazioni. La tecnica dell'accumulazione è ormai diventata talmente comune che si presta facilmente alla parodia, come avviene nel film Fifa e arena in cui Patrici a, la ricca ereditiera, dice a Totò: "Io ho visto tutto nella mia vita, dal Tamigi allo Yang-tze. Ho visto i laghi svizzeri, il Circolo Polare Artico, ma una faccia come la vostra non l'ho mai vista". Chatwin usa invece questa tecnica in modo originale, inserendo in un contesto ormai stereotipato elementi incongrui, che disturbano la consuetudine e aprono squarci imprevisti. In Le vie dei Canti possiamo trovare un esempio significativo della tecnica di Chatwin, che mostra come un mondo apparentemente ordinato nasconda possibilità infinite: "Vide i templi buddhisti di Giava, sedette coi sadhu sui ghat di Benares, fumò hascisch a Kabul e lavorò in un kibbutz. Sull'acro-

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