dei racconti di Sacks sembra sottintendere che "qui non si sta affatto scherzando": abbiamo a che fare con dei paziehti veri alle prese cori sofferenze reali, tutt'altra cosa dalle ubbie ideologiche di personaggi di cartapesta. Per quanto affascinante e comica, la sindrome di Tourette è una faccenda ben più concreta e fastidiosa della Crisi dell'Uomo Moderno. Se "gli Dei sono diventati malattie" (Jung), i malati sono i santuari del divino. I personaggi di Sacks appassionano, divertono e spesso commuovono per lamaniera in cui ciascuno di loro impersona la malattia, subisce ed elabora la dimora del divino, lo combatte e ne patteggia, se tion la guarigione, almeno un ·margine di profano, fuori dal tempio, un periodico respiro di sollievo che gli consenta di percepite il profumo dell'umano. Ma soprattutto, ciò che rende possibile il loro essere narrati è l'amaro riconoscersi sovrastati da una legge, il loro muoversi inscatolati in un destino. "Tutto ci porta a pensare che il cielo più favorevole al pronunciarsi di un'epica sia un cielo a cupola, lungo le curvature della quale i destini dei personaggi si iscrivono e prendono disegno"8 • Nuovi orizzanti in libreria Ci sono dei casi in cui forse il concetto di orizzonte d'attesa può valere, per quanto riguarda noi lettori contemporanei, anche nei confronti dei classici. Leggendoli non si colma semplicemente una lacuna, perché a volte succede che qualcuno ci invita a farlo come se si trattasse di qualcosa di inedito, in grado di ridefinire il nostro atteggiamento verso il futuro ancora meglio di quanto possa fare una novità. Tre anni fa è uscito un libro che faceva sei proposte per il prossimo millennio, la sesta delle quali avrebbe dovuto consistere nel prendere in considerazione un racconto di quasi un secolo e mezzo fa. Nella nota di presentazione alle Lezioni americane, Esther Calvino informava che la sesta lezione mai scritta, "Consistency", si sarebbe dovuta riferire a Bartleby9. È vero che le biblioteche hanno la memoria lunga, e i loro schedari sono a disposizione di tutti: ma per il mercato editoriale la situazione è diversa. La riattivazione di un'orizzonte . d'attesa nei lettori può trasformarsi, letteralmente, inuna lunga serie di aspettative frustrate dai cataloghi e dai librai. Tre anni fa, quando sono _uscitele Lezioni, chi voleva accedere a Bartleby in italiano doveva cercarlo in qualche raccolta di opere complete melvilliane, o sperare di rintracciarlo da qualche parte nell'ormai esaurita "Biblioteca di Babele", la collana diretta da Borges per Franco Maria Ricci 10 • Comunque, era pur sempre una buona scusa per procurarsi un'edizione americana di The Piazza Tales, e, con un vocabolario al fianco, passare qualche ora in compagnia della cordiale e ·gessosa sintassi dell'avvocato di Wall Street, l'io narrante alle prese con le scarne peripezie del suo stralunato scrivano. Chi. Preferirei non azzardare l'ennesima interpretazione di Bartleby. Sarebbe perlomeno l'ottantanovesima, secondo quante ne ha elencate e in gran parte spassosamente liquidate I CONFRONTI Broadway vista da Berenice Abbatt (Aperture Faundation_198'8) • Gianni Celati in appendice alla.sua nuova traduzione": o meglio, la novan-tunesima, tenendo conto dell'introduzione di Celati, stesso, e delle pagine recentemente dedicate a Bartleby da Giorgio Agamben 12, Mi limito ad accennare che gli atti linguistici con cui l'avvocato narrante ci rivolge a Bartleby sono quasi esclusivamente declinazioni del comando o della domanda. Vocativi perentori, richiami simili a evocazioni di fantasma, ordini; commissioni, ingiunzioni, intimazioni, implorazioni, proposte, interrogatori, stupefatte pretese di chiarimento e richieste d'infor-mazioni: le frasi che l'avvocato rivolge allo scrivano sono datrici ed esattrici di lavoro, strutturano il dialogo al modo imperativo o in forma interrogativa. Il rapporto col tu qui avviene sempre avvolgendo l'interlocutore in un recinto impegnativo, è per così dire una presa di. contatto cava che esige implemen-tazione corporea o linguistica, azioni o risposte soddisfacenti, pacificatrici. Di volta in volta, Bartleby si sottrae a quei comandi e a quelle domande con la sua tassativa mansuetudine: "Preferirei di no". Negli altri luoghi del racconto, per lo più l'avvocato analizza e definisce se stesso in prima persona, come io, descrive con molta accuratezza tutti gli ondeggiamenti della propria coscienza, oppure pensaBartleby in terza persona, come egli, cerca di spiegarne il comportamento e prevederne le mosse: ma sempre mettendo in gioco con onestà tutte le risorse e i limiti del proprio strumentario · retorico, immancabilmente smentito da ogni nuova apparizione in scena di Bartleby, dalla sua pura presenza fatta di mancanze. Di fronte a un inaudito preferire di congedarsi dal linguaggio, tutta la retorica, nella sua forma avvocatesca, estremamente conscia dei suoi mezzi e a tratti proprio per questo un po' patetica e grottesca, si mobilita a rappresentare l'irrappresenfabile, quel confine del linguaggio dove le parole non fanno più presa. Se tutto questo è plausibile, mi sembra un po' forzato rendere la frase di Bartleby in italiano con "avrei preferenza di no": ma non sono uno studioso di anglo-americano, e devo fidarmi di Celati quando afferma che/ wouldprefe r not to suona come "un modo un po' manierato di declinare un invito". Nell'introduzione al racconto, questa traduzione della frase più ricorrente dello scrivano consente a Celati di scorporare dalle parole stesse di Bartleby una categoria, la preferenza: in sede ermeneutica, un sostantivo è più semplice da maneggiare di un predicato verbale, assurge più facilmente a emblema interpretativo. Nel testo originale, significativamente, questa è un'operazione fatta dal!' avvocato interpretante: "egli era un uomo di preferenze più che di assunti". Inoltre, mettendo inbocca aBartleby un arabesco affettato, Celati pone léJ frase dell'ascetico e sobrio serivano sullo stesso tono della manfrina leziosa dell'io narrante, di cui la sua traduzione dà conto puntigliosamente: ma a me sembra che la qu~stione essenziale sia proprio che l'avvocato e lo scrivano non parlano lo stesso linguaggio. Preferirei insistere anche sul fatto che Bartleby non smette semplicemente di scrivere: è uno scrivano che smette di copiare. Il suo rifiuto concerne l'indisponibilità a farsi luogo di
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