Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

CONFRONTI Quel caro Bartleby. Note sul ritorno dei personaggi Tiziano Scarpa Fili di paglia e fili di barba Da parecchio tempo, ormai, una folla di nuovi_personaggi è tornata a farci visita nei romanzi italiani. All'inizio è stato un po' imbarazzante accoglierli. Sappiamo tutti com'è andata: non c'era più un salotto di ricevimento, si era persa l'abitudine al tè delle cinque, dopo che la fatidica marchesa dibattuta nei convegni letterari era uscita proprio a quell'ora abbandonandoci una volta per tutte. Ricomprare il servizio di porcellana per gli ospiti: chi ci pensava più? "Libri su niente, praticamente senza soggetto, sbarazzati dei personaggi, degli intrecci e di tutti i vecchi accessori, ridotti a un puro movimento che li avvicini ali' arte astratta: non è questa la strada verso cui tende il romanzo moderno?" 1 • Invece, abbiamo beneducatamente ricominciato ad aprire la porta e ricevere personaggi nuovi, squadrandoli con l'ironica affettuosità postmoderna con cui stavamo imparando a trattare le cose posticce. E. M. Forster, proprio perché ai personaggi ci credeva, nel 1927aveva irriso i romanzi di Meredith: "I sarti non sono sarti, le partite a cricket non sono partite a cricket, i treni non sembrano neppure treni, le famiglie di provincia hanno l'aria di essere state appena sballate, di non essersi ancora messe in azione quando l'azione ha inizio, con i fili di paglia ancora attaccati alla barba"2 • Ci siamo accorti che, a furia di studiare i fili di paglia della narratologia, avevamo finito per saperne di più sulle tecniche d'imballaggio che sulla plausibilità delle barbe. Sagome Che cos'è un personaggio? Di un individuo strano, buffo, originale, si dice comunemente "che personaggio!". Si tratta di persone gradevolmente eccessive, amabilmente invadenti: simpatiche canaglie. La loro interiorità migra in superficie, hanno un carattere che si affaccia senza riserve sui loro volti e sporge volentieri dai loro gesti. Si dice anche "Che sagoma!", intendendo che, a coglierne anche solo la silhouette, a delinearne soltanto il contorno, non gli si farebbe un gran torto. Sono loro stessi a spronare la manifestazione della propria indole, a caricare la propria espressività, candidandosi come caricature. Questo tipo di persone offre generosamente se stessa in pasto alla rappresentazione. Ne parliamo volentieri, e raccontandoli a qualcuno, spesso li imitiamo: di loro portiamo sempre in giro con noi un gesto da impersonare, una battuta da ripetere, una riserva di buonumore a cui attingere. Cavallaggio Potremmo domandarlo direttamente alle parole. Fa un viaggio chi pratica una via, chi investe del tempo in un itinerario. Con lo stesso metodo, a dar credito ai suffissi un formaggio è ciò che ottiene chi si prende cura di una forma e ne regola il mutamento, in modo da non abbandonarla alla decomposizione. Potremmo seriamente chiederci se il rapporto fra i personaggi e le persone è lo stesso che intercorre fra il viaggio e la via, fra il formaggio e la forma. Ci si può mettere in viaggio senza essere geografi, si possono stagionare formaggi senza · essere morfologi. D'altronde, saperla lunga in fatto di persone non è decisivo per creare personaggi convincenti. In un racconto di Queneau, un cavallo è seduto al banco di un bar, chiacchiera con gli altri clienti, fuma una sigaretta. Tutto accade come se niente fosse! Dopo l'incontro fra Gulliver e gli Houyhnhnm nessuno nel bar si stupisce che il cavallo si comporti come un essere umano. Il racconto si intitola Il cavallo troiano3 , e la città conquistata fin da subito e il lettore che, per sete di personaggi, è disposto ad allargare le porte Scee della propria incredulità pur di lasciar entrare questo strano tipo con gli zoccoli e la sigaretta in bocca che cerca inutilmente di offrire da bere dall'inizio alla fine del racconto, dandola a bere un po' a tutti. Esperimenti pronominali Fa impressione, leggendo L'arte del romanzo•, la fiducia riposta da Milan Kundera nel personaggio come veicolo euristico della narrazione: "ho dovuto inventare Tereza, un 'io sperimentale', per capire questa possibilità [dell'esistenza], per capire la vertigine" (p. 53). Per Kundera, il romanzo è "la grande forma della prosa in cui l'autore, attraverso degli io sperimentali (i personaggi), esamina fino in fondo alcuni grandi temi dell'esistenza" (p. 205). Riguardo ad alcuni dei suoi, afferma con sicurezza: "tutti questi personaggi portano a compimento non soltanto la loro storia personale, ma anche la storia sovrapersonale delle avventure europee" (p. 66). Ma se proviamo a sostituire "io sperimentali" con "altri sperimentali", tutto diventa µn po' più complicato e sinistro: come piegare l'irriducibile a cavia? Come fare dell'inconoscibile stesso uno strumento di conoscenza? Che tempo fa, che corpo parla _Di recente, si sono potuti leggere alcuni frammenti inediti di Musi! sulla Tecnica della narrazione5, "Le riflessioni sono sempre pensieri dei singoli personaggi. Così nasce la forte impressione del rimanere una accanto all'altra delle diverse immagini del mondo, senza che ciò sia forzato in qualche modo". Anziché pensare per categorie, il romanziere pensa per personaggi. Questa plurivocità dialogica, bachtiniana, oltre a rappresentare efficacemente la compresenza nel mondo delle sue discordanti immagini, stringe con il lettore un patto di comune diffidenza nei confronti delle categorie. Henri Michaux (pensatore? poeta? narratore?) ha esteso questa personificazione sistematicaa regola difensiva del pensiero: "Quando dal fuori un'idea ti colpisce, qualunque sia la sua reputazione nascente chiedi a te stesso: che corpo c'è, là sotto?Di che cosa mi ingombrerà? O sgombrerà?" 6 Applicata fino alle sue ultime conseguenze, questa radicale ermeneutica del sospetto farebbe sì che, anziché semplicemente discutere con qualcuno, dovremmo descriverlo_in continuazione per saggiare la tenuta e il supporto esistenziale delle sue asserzioni. Qualsiasi "oggi pioverà" buttato lì da un occasionale compagno di viaggio d'ascensore, basterebbe a trasformare immediatamente noi in narratori, e lui in personaggio. Ci sono più personaggi fra cielo e terra... Finito di leggere, a libro chiuso, la storia . non si conclude: per i personaggi ha inizio la prolissa vicissitudine della critica. Dopo aver attraversato una vicenda di predicati verbaii, devono rassegnarsi a intraprendere queste nuove avventure fatte di predicati nominali. Ci sono molti modi per sbarazzarci ermeneuticamente di un personaggio. Nella maggioranza dei casi, si possono ricondurre a due figure della retorica: l'antonomasia e la prosopopea. Si tratta di due movimenti paralogici verticali; sostanzialmente equivalenti: dal basso in alto, e viceversa. Con l'interpretazione per antonomasia, un personaggio viene assunto nel cielo delle categorie, diventa il rappresentante per eccellenza di una qualità. Campione di pigrizia, Oblomov è l'Indolente. I poeti antichi praticavano qualcosa di simile anche col catasterismo: per risarcirsi di una perdita, ne proiettavano il senso in cielo, fra le stelle, e additavano la chioma tagliata di Berenice riconoscendola in una nuova costellazione semantica. Con l'interpretazione attraverso prosopopea, un personaggio personifica un'idea, non è niente di più che l'incarnazione di una realtà concettuale scesa sulla terra. Don Giovanni è la Seduzione. In questo modo, stare ermeneuticamente in compagnia di un personaggio si riso!ve in una fuga dall'ambiguità della sua presènza. mancante, delle ridondanze descrittive che fanno di tutto per dare densità e compattezza alla sua irrimediabile latitanza corporea. La letteratura è una riserva di pesca che pullula di personaggi-concetti, un vivaio mortificato dalle reti della tradizione interpretativa che tende a immortalarli. · Divine disgrazie Probabilmente, le creature più amabili apparse nei libri in questi ultimi anni sono le persone-personaggi di Oliver Sacks. A differenza di "una neurologia senz'anima e una psicologia senza corpo"7 , la neuropsicologia di Sacks sembra fatta apposta per condurre a esiti narrativi. A metà fra casi clinici ed exempla filosofici, questi esseri fanno i conti con la versione forte dell'interpretazione: la diagnosi. Anche quando è pregno di umorismo, il tono 27

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