Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

IL CONTESTO Dopo la battaglia (foto di Filip Horvat/Saba-Rea/Contrasto) che prima devono essere riconosciuti, ma che i parenti sono fuggiti, che nessuno vuol tornare a Vukovar a rischiar la vita per riconoscere dei morti. E intanto, ogni giorno che passa il cerchio di orrore si fa sempre più largo, le "cose" sono sempre più "cose", la carne senza nome sempre più senza volto, una specie di morte viva, oscena, dannata, senza dignità e senza pace, che sfasciandosi, gonfiandosi, trasformandosi in modo orribile, protesta contro l'abbandono dei vivi_Un incubo che va al di là della morte e che solo la guerra poteva creare. Osjek: non passeranno La sera della sconfitta ci chiamano all'ospedale, a filmare i morti di Bilje il sobborgo di Osjek caduto in mano ai Serbi che ora sono a un kilometro dalla città. Arrivano in un container, sono civili e militari, senza più nulla di umano. Sono fantocci di carne, caricature insanguinate insaccate nelle divise. Non li hanno uccisi degli uomini, ma macchine enormi e spietate: elicotteri, tank, probabilmente i caccia. Ogni colpo che ·sparano perfora un muro, quando incontra un soldato lo fa a brandelli. Quelli che filmiamo sul fondo viscido del camion sono stracci di uomini, tenutiinsiemedalledivise. Le luci dei fotografi li scoprono uno dopo l'altro come in un quadro di Goya. Le mitragliatrici da 20mm hanno scoperchiato crani, impastato facce e cervelli, staccato braccia e gambe, trasformato in maschere grottesche i volti che poche ore prima, scherzavano senza speranza sulle prime linee Croate: ' Una mano d'acciaio ha tagliato quasi pe/ gioco tutti i fili che facevano di questi burattini degli uomini. Tre di loro con i crani trapassati in verticale, stavano fuggendo in auto a un elicottero. Il giorno dopo le facce dei soldati sulle prime linee sono cambiate_ Sanno quello che li aspetta. Hanno in mano solo dei fucili e le foto dei figli. Quando ce le mostrano ci vien da piangere. Osjek: messaggio alla guerriglia Alla Morgue giace anche una bambina di 14 anni con la faccia vangata via dal proiettile di un tank. Ha delle belle mani che ora giacciono in .ordine lungp il busto ricucito attorno all'enorme cicatrice dell'autopsia. La parte alta del busto sembra giacere in una pozza di silenzio. Ci dicono che sua madre ha perso la parola. Guardava muta quell'orrore che la mattina era sua figlia, quel moncone annerito che non poteva neppure abbracciare. "Bombarderemo la città per dar tempo alla gente di andarsene" ha dichiarato Ilia Cesar il capo dei serbi" Ma se i corali resteranno scorrerà molto snague". Il bombardamento dunque era poco più che un messaggio. Ernestinovo: il figlio del soldato Torniamo da Laslovo, dopo la solita corsa indiavolata per evitare gli" Snaiperi", i cecchini Serbi, che qui in Slavonia hanno reso visibile la dimensione casuale della morte. . La città è stata bombardata per tutta la notte, ma stamattina è tranquilla. Quando torniamo nel villaggio successivo suona la banda. Suona per Stevo Pristic, un Croato di 28 anni che era nella Guardia ma che è morto da civile quasi per caso. Tornava dall' Ungheria dove era andato a portare in salvo la moglie e due bambini. L'ha ucciso un bomba. Il paese, a due km dai cannoni Serbi è vuoto. Il funerale ha risucchi:\tO tutti gli abitanti. Dietro i miliziani che portano la bara, c'è la moglie una donna giovane,· che avrà 25 anni e ne dimostra già 40 un bambino biondo di 5 ann~, portato in braccio da un parente. • E vestito di blu, non piange e ha capito tutto. Al cimitero mentre la campana contin1;1aa suonare, sua madre sviene. Stranamente dall'altra parte non arriva neppure un colpo di fucile. Su una folla del genere basterebbe una granata per fare un massacro, come è accaduto due giorni prima in un altro paese, durante un altro funerale. Amezzogiorno il corteo si scioglie, gli uomini ricominciano a parlare, ritornano alle case scheggiate. L'indomani saranno fuggiti tutti, scappando davanti ai tank. Lipick: una sparatoria Ci dirigiamo verso Pacraz. Ci hanno detto che all'ospedale lavorano insieme medici Croati Serbi e Musulmani, può essere una storia interessante. Ma non ci arriveremo mai. Otto kilometri prima del paese, mentre stiamo entrando sotto un ponte di cemento un uomo si sbraccia con grandi gesti concitati. Freniamo, invertiamo cominciamo a manovrare, l'uomo si mette a gridare agitando il kalashnikov. Ripartiamo sgommando verso il ponte, ci fa segno di passare in fretta, di metterci al riparo dietro il muro di cemento. La battaglia è appena incominciata. Una mitragliatrice pesante percuote i muri delle case due metri sopra di noi.L'uomo corre da una casa all'altra, scompare, si affaccia, spara, torna indietro, riparte, spara ancora. Grida qualcosa ai civili bloccati come noi nella strada incassata tra due muri. Non si può andare né avanti né indietro. A un tratto dalla curva sbuca a tutta velocità una vecchia Citroen. Ne scende un

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