Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

IL CONTESTO L'altare di Vukovar Diario di guerra dalla. Croazia Mimmo Lombezzi "Distruggeremo Vukovar" Il cemento disabitato di Vukovar è sotto assedio da un mese. L'esercito continua a sgretolarlo con i tank, a farlo esplodere· con i mortai, a strappare i suoi nervi di ferro con gigantesche bombe da 250 kg. I sopravvissuti di Vukovar, quando escono dalle cantine dove passano la loro esistenza di spettri, ti mostrano pozze di sangue nell'asfalto e manciate di schegge taglienti. Ti guidano lungo itinerari di morte che fuori e dentro le loro case, in strada o in prima linea hanno raggiunto un figlio, un amico o un conoscente. Poche auto sfrecciano tra palazzi mutilati, che piangono cristalli ln frantumi, mentre l'acqua scorre sulle facciate dalle condutture mozze. La velocità del "traffico" è regolata dai cecchini, o dall'eco dell'ultima esplosione. Agli angoli delle strade cresce una nuova vegetazione .di veicoli contorti e incendiati, che segna la mappa degli scontri più recenti. Le date sono scritte con la ruggine, col sangue annerito o con l'erba che invade le rovine di ieri con uria vitalità che avevo visto solo a Beyrut. Si respira bruciato. Ogni istante echeggia del tuono dell'ultima granata e vibra già del fischio della successiva. Ogni tregua è solo una pausa per raffreddare i cannoni. Poi dall'altra parte del Danubio un tank starnutisce e a Vukovar si alza un gheiser di tegole rotte e un'altra casa sprofonda. Si ricomi~cia, o meglio non si è mai smesso. Eppure in questa città ostaggio del destino dove nulla accade per caso, non manca neppure chi muore per sbaglio, come tre camionisti finiti suUnamina per non aver frenato a un posto di blocco. Quando siamo arrivati l'unico corpo rimasto fumava ancora tra le lamiere. Gli altri erano scomparsi. Quel giorno non sparava nessuno. • · L'altare_di Vukovar . . Il punto più alto di Vukovar è la torre dell'acquedotto, un cono di cemento che si alza per 40 metri da un cerchio di vetri 'rotti. Domina il fiume e sfida la Serbia, è un osservatorio perfetto e anche un perfetto bersaglio. Salire sulla torre è un' asce.saverso la paura. La foresta dall'altra parte del Danubio sembra avanzare ogni giorno di più insieme ai tank federali. Mille occhi e cento cannoni sono puntati sulla torre, la cui testa di vetro e cemento è stata fatta scoppiare con una furia che sembra aver fatto a pezzi persino la luce. Da una scrivania, che un tempo era la tana di un tranquillo burocrate, un telefono intatto oscilla nella pioggia dei vetri in frantumi. I miliziani non amano salire quassù, la torre è indifendibile. Il vero bastione di Vukovar l'ultima trincea che cadrà in mano. ai Serbi e che nessuno può filmare, è il silos del grano, un diedro di cemento che domina il fiume e la pianura. Li combattono e muoiono gli uomini della Guardia Nazionale. ·Quando i cecchini Serbi li colpiscono precipitano giù per decine di metri nella foresta pietrificata che le bombe hanno scavato sotto di loro. Combattere al silos è un 'onore perché non c'è via di fuga. Gli ascensori sono da tempo impiccati senza energia agli ultimi piani, le scale sono sotto tiro. Si sale al silos come si sale a un altare, che ogni giorno pretende le sue vittime. Croazia '91 (foto di Filip Horvat/Saba-Rea/Contrasto). La gente del bunker Vukovar è una .città di assedi concentrici. Al.centro della piazza principale, vecchi e bambini pallidi escono a respirare dal rifugio maleodorante d9ve passano i loro giorni. Ci portano una donna con un bambino di otto mesi, la veste perforata da una scheggia che lo ha sfiorato mentre era in casa. Sua madre vorrebbe parlare ma riesce solo a piangere. La tregua dura poco. L'aria ricomincia a fischiare e tutti fuggono verso la porta d'acciaio, mentre uri soldato cerca invano nel cannocchiale del suo Mauser lo sconosciùto che da un momento all'altro potrebbe aprirgli la testa, sparando col silenziatore 800 metri più in là. All'interno del bunker una donna anziana senza più casa nè parenti ascolta la radio che ripete "Arrendetevi o spianeremo la città"'. La citta dei morti Alla periferia di Vuk;ovarc'è una zona incantata, un cerchio di silenzio che sembra imporsi anche alla guerra. È un edificio a un solo piano, immerso nel verde, con enormi crateri nel tetto, Dista ottocento metri dalle linee Serbe e dai tank bruciati dell'ultimo tentativo di invasione. Appena ci avviciniamo l'aria ci respinge, come un muro. Dobbiamo arretrare di molti passi, riprender fiato. Viene da vomitare Il miliziano che ci guida, con una benda nera intorno alla testa si è fermato prima. Conosce già questo luogo che una volta era il cimitero. La guerra è passata anche qui e i cadaveri nudi - di soldati, di civili giovani o vecchi, morti di infarto o di mitraglia - i corpi che aspettavano di essere composti e interrati, qui sono morti due volte, bombardati insieme a tutto il cimitero, e ora giacciono gonfi e abbandonati, fra bare scheggiate, calcinacci, polvere e una foto di Tito, comica in questo orrore. L'odore che emanano non si può descrivere. Ti entra dentro. Ti contagia, ti ingoia. Devi vomitare per ristabilire le distanze da questa orrenda intimità con "cose" che non sono "cose" Chiediamo ai soldati perché non li seppelliscono e ci rispondono

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==