la bandiera tricolòre della Rossija riscoperta sotto l'asfalto dell'Unione sovietica. Più che mai, politica dei simboli, delle emozioni, degli emblemi. Dall'altro lato del Palazzo, lato Neva, lato Ermitage, c'è quella folla impassibile e sovietica al 95% che aspetta il suo turno d'ingresso al museo. È gente che ha programmato e organizzato il soggiorno di piacere nella capitale degli zar e non intende permettere alla giunta di distoglierla dal suo piano. Indifferenti a questa nuova giravolta della storia, fatalisti, disincantati? Va' a capire ... Senza dubbio è in parte la stessa gente che vediamo individuare con occhio infallibile i volantini, giornali proibiti, scritte anti-golpiste che simoltiplicano sopra i muri, accostarvisi, leggere rapidamente ma con molta cura e poi allontanarsi, senza una parola per il vicino, senza uno sguardo laterale, senza un batter di ciglio. Oggi, in questo silenzio, in questa finta indifferenza, in quest'arte di evitare le eventuali provocazioni senza perdere una briciola di ciò che circola, sentiamo distintamente che si sta formando un'opinione , che si sta delineando una corrente. Ci liberiamo poco a poco dell'illusione di trovarci "al centro degli avvenimenti" e scopriamo il carattere profondamente degradato della nostra condizione di "turisti" in circostanze di questo genere: mentre su uno scacchiere invisibile si sta giocando una partita in cui si affrontano dei titani (ieri il generale Samsonov annunciava virilmente alla radio il controllo della situazione a Leningrado, oggi si ritira nel suo guscio ...), noi restiamo assorbiti dall'ingannevole apparenza di una "vita come d'abitudine" (formule sacre della vita sovietica: "vsio normalno", "kak abovitcn" tradiscono la paura di un così frequente "nuovo" da cataclisma), IL CONTESTO un'esistenza mutila, dunque, in cui la principale preoccupazione del turista, dell'outsider, è e rimane quella di trovare un luogo non troppo disastrato per far pipì e di prender posto in una coda non troppo lunga per riempirsi provvisoriamente lo stomaco. Insomma, dopo pochi tentativi infruttuosi, rientriamo in casa e bagnamo il nostro pane nero nel tè. Ogni volta che ci caliamo in immersione profonda nell' Urss, si ridesta in me la sensazione della risibilità dei dibattiti occidentali sulla resistibile instaurazione della "democrazia" in Urss. Ci sono cose - che gli uomini sovietici imparino a lavare i piatti anche loro, che le donne sovietiche abbandonino il loro stato di degradante subalternità, che gli urbanisti rinuncino a quest'architettura ansiogena e post-gulag in cui si svolge la vita quotidiana di dozzine di milioni di nuovi cittadini - che mi appaiono delle premesse alla democrazia di peso infinitamente più pesante dell'insediamento di un regolamento istituzionale bicamerale. La televisione di Leningrado, decisamente antigolpista, funziona dalle 20 alle 21, dopo di che, una volta contrapposti i "fatti" (l'ora dedicata alle informazioni si chiama "Fakti") al "tempo" (Vremia) dei faziosi, cede loro !.'antenna senza protestare... L'ombra di Ubu regna un po' dovunque, in questo putsch. Così Sobciak, che ha già coscienziosamente vilipeso la giunta ("criminali", ex-ministri, ecc.) fa dichiarazioni curiosamente "d'ordine": niente scioperi, niente caos, assicurare la normalità quotidiana, gli approvvigionamenti della città. I nostri La paura è passata: a Mosca davanti alla Casa Bianca (foto di Roberto Koch/Contrasto)
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