IL CONTESTO Vassileostrovskaja. A prima vista, non si direbbe che questo sia un "giorno speciale", c'è la stessa agitazione frenetica e imbronciata attorno a negozi invisibili per l'occhio occidentale, abituato a vedere le merci bene esposte invece che nascoste dietro pesanti tendaggi coprirniserie come qui accade. In questo giorno zerouno del dopo Gorbaciov, il cittadino sovietico si presenta ai miei occhi del tutto conforme alla prima immagine che me ne ero fatta: un tipo un po' brontolone con una borsa, che vi spinge e serra lungo i passaggi pedonali, salendo sull'autobus, all'entrata del metrò ... fermi sul marciapiede, guardiamo passare tram traballanti e sovraccarichi ed entriamo nella folle spirale della dialettica degli sguardi: questi volti impassibili, questi occhi indifferenti che sfilano davanti a noi senza batter ciglio sanno benissimo che oggi è uno .-'spezialny dien", e sanno altrettanto bene che ogni sguardo che incrociano lo saquanto loro, pur fingendo di non aver notato niente di eccezionale, in questa giornata ... Cosa significa questo gioco di maschere in cui ognuno prende il suo posto fingendo l'assenza, la stanchezza, la distrazione di un luriedì mattina normale? È il riflesso condizionato di un "homo sovieticus" abituato a far calare sul suo volto la tenda o l'uniforme quando le circostanze lo richiedono? Che sotto questo torpore, sotto il "business as usual" simulati, covi una rabbia immensa, pronta a far saltare il coperchio dello stato d'emergenza? Oppure, chissà che l'arcigno portatore di borsa non si disinteressi davvero della deposizione in dolcezza di un Gorbaciov ampiamente screditato da molto tempo (e a un punto che in Occidente non si riesce neanche a immaginare) in vasti settori della popolazione sovietica a causa dei suoi repentini e continui mutamenti, della sua indecisione, del suoi numeri da giocoliere? Per quanto si cerchi di allungare le nostre antenne, la strada non ci dà risposte ... Indizio comunque inquietante, in assenza di giornali code si formano comunque davanti alle edicole per comprare giornaletti imitati su modelli occidentali, tipo cronaca vera e poliziesca. Compriamo del pane a 64 copechi e rientriamo in casa. Da Mosca ci telefona Lala, un'arnica: "Avvertite il consolato francese che siete a Leningrado". Valera è il sosia•perfetto di Nicola II, sembra uno zar in jeans. Vuol dimostrarsi un protettore efficace ("no problem" ...) ma l'agitazione febbrile delle dita o le sigarette che fuma in continuazione contrasta comicamente con i suoi sforzi di convincerci che non stiamo seduti sulla cima di un vulcano. È evidente che si sente responsabile personalmente, di fronte a noi, ospiti stranieri, dell'imprevisto incasinamento della politica sovietica che minaccia di turbare il nostro programma turistico. Sulla cerata del tavolo di cucina, le sue mani disegnano agitatissime il diagramma del complotto aiutandosi con la scatola dei fiammiferi: qui "at the top", Lukianov, poi Kruckov, il KGB e tutta la lista dei cattivi di cui ci si esercita a pronunciare i detestabili nomi ... "Non si tratterà di Stalin né di Hitler", dice cupamente Valera, "ma di J aruzelski probabilmente sì..." Davanti all'edificio del Soviet di Leningrado (ex Palazzo Maria, dice la guida, diventato un massiccio bunker in stile stalinista), una piccola folla innalza i colori della Russia eltsiniana e aspetta il ritorno di Anatolij Sobcak, il popolarissimo sindaco democratico della città. Allegoria: alcune centinaia di lillipuziani raccolti attorno alle loro bandiere tricolori sul sagrato del municipio fronteggiano i monumenti dei Giganti, l'imponente statua equestre di Nicola I e l'obesa cattedrale di Sant'Isacco, in stoica attesa di venir schiacciati dal furore blindato dei nuovi padroni. (Che importa: aspettano il ritorno del loro sindaco che è a Mosca) e, nell'attesa, non si piegano al verdetto della forza. Quale che sia la piega che prenderanno gli avvenimenti, questi trecento, raccolti attorno alle loro bandiere confezionate in fretta e furia, rispediscono nel cimitero delle domande poste male la discussione sul "ritorno al tempo di Breznev". Sono il nucleo indistruttibile di qualcosa che è ormai irreversibile. Le grandi prove storiche sono fatte di attesa prima che di azione. Ma la nostra, di attesa, di qualcuno che non è di qui, è di una stoffa diversa da quella dei Giusti che aspettano pazienti l'orsa del destino; ci rinvia, che lo si voglia o no, alla nostra condizione di turisti, cioè di estranei a questa storia che, al1'improvviso, si tinge di violenti colori hegeliani, ridà corso alle formule svalutate sotto i nostri cieli della dialettica del padrone e del servo ... Mentre, dunque, Valera se ne va con passo svelto a far dono della sua persona alla Democrazia, prendiamo posto in un battello che percorre i canali della città. Sentimento di irrealtà, di disagio: mentre succede quel che succede, famiglie numerose e sposini sovietici, turisti autoctoni venuti ai quattro lati dell'Unione si ammucchiano indifferenti e seguono con molto impegno le spiegazioni della guida - qui i cavalli di Glodt, lì la casa di Anna Achmatova, e laggiù i celebri lampioni di Leningrado ... Di ritorno sulla terra ferma, ecco ancora la duplicità della realtà leningradese: davanti alla boutique "LanCOO'.Jle d Paris" una fitta coda di gente certamente più conseguente di quella dei protestatari davanti al municipio indica già ora il trionfo della alleanza senza principi tra normalizzatori e aspiranti consumatori all'occidentale. I venditori abusivi e altri piccoli trafficanti accerchiano instancabilmente i turisti occidentali nonostante che già questa mattina i nuovi padroni li abbiano stigmatizzati. Ma a pochi metri di lì i gruppetti che si formano per leggere l' ukase di Boris Eltsin affisso al muro senza permesso - Eltsin chiama alla resistenza al golpe, ne denuncia gli istigatori come criminali e dichiara la loro azione illegale e anticostituzionale - indicano forse che si sta formando un terreno di resistenza ... Torniamo di fronte al palazzo Maria per sentirci in pace con la nostra coscienza, e lì, in poche ore, il tono è davvero cambiato: camion e autobus sistemati a zig-zag bloccano gli accessi alla piazza e dei giovani stanno innalzando barricate tipo "maggio '68", dimostrando più determinazione simbolica (e storica) che conoscenze militari. Martedì 20 agosto Parossismo dello sdoppiamento leningradese: davanti al Palazzo d'Inverno, sul lato della piazza che potremmo definire come lato Ejzenstejn o John Reed, ecco centocinquantamila persone, quante la piazza ne può contenere, accorse all'appello di Sobciak, operai delle officine Kirov ex-Putilov venuti in delegazione, massaie con fazzolettoni e borse della spesa, impiegati con cartelle che qui vengono chiamate "'diplomatiche" in cartone pressato, giovani arrabbiati tipo punk, militari che si suppone dissidenti in uniforme ufficiale, milizia sempre banari e bighelloni, giornalisti febbrili, turisti occidentali coperti di Reebok e di Nikon... Si direbbe che il sindaco che si spolmona davanti a un impianto sonoro imperfetto non abbia perso tempo nella notte, le "masse" eccole qui, e tutti gli emblemi, i simboli del Palazzo d'Inverno possono così venire ironicamente mobilitati contro i conservatori delle anticaglie comuniste. Fioriscono cartelli che associano la burocrazia comunista alla croce uncinata, e fiorisce
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