Linea d'ombra - anno IX - n. 64 - ottobre 1991

ILCONTESTO benessere, cioè la qualità della vita, che a due passi da loro veniva esibita; dunque dovevano sentirsi "altri", almeno in quanto sfortunati, se non esclusi da quella sensazione di centralità e di onnipotenza che ciascun occidentale può e deve provare, come una trasformazione, forse un aggiornamento e un rasserenamento, del vecchio agitato patriottismo. Se poi per noi l'alterità russa era una leggera minaccia, ma anche una grande consolazione, cosa siamo stati noi per loro? Una risposta estrema ma non esagerata è venuta in questi mesi dai "telespettatori" albanesi: noi per loro eravamo "il mondo". Chi mai,ha avuto conferme più gratificanti della propria chiusura narcisista? E i Russi? Se sono "fuori dal mondo" ci si può assolvere se per noi non è mai stato molto importante incuriosirsi, o addirittura conoscerli davvero. Siamo così riusciti a piazzarli, nel nostro immaginario, a metà fra i Mongoli e i Marziani: altrettanto numerosi altrettanto potenti, altrettanto ignoti, ma come possono esserlo figure pescate per un terzo nella storia e per due terzi nella fantasia. Anzi, si è fatto molto meno di questo; li si è potuti confinare - i Russi - nei limiti di una ridotta e rimasticata stereotipia, colpiti da tutti gli svantaggi della stigmatizzazione ma esclusi dal fascino del vero esotismo. Ed è stata anche colpa loro. In fondo, per anni, l'immagine occidentale della Russia è andata avanti con le comparsate cinematografiche dei nobili barbuti e barboni in esilio, né ha mai superato la fissità preziosa delle icone e quella legnosa della matrioska, l'ingenuità dei cartellonj neorealisti e il grigiore dei posters dei padri della rivoluzione. E mai possibile che un paese così grande e potente abbia avuto così poco da proporre? E i geni, e gli artisti, e gli scienziati? Per colpa del comunismo cattivo, ma anche per via del capitalismo ricco, sono da tempo per . lo più roba nostra. Qualcuno di noi può credere che esista, in Russia, un letterato o uno scienziato di valore - che non sia pazzo o prigioniero - al di fuori di quelli volta a volta segnalati, protetti e magari aiutati a fuggire verso la libertà? Può supporre che una invenzione di qualche importanza operfino una bazzecola interessante -che so, un' òrologione militare con stella rossa - possa sfuggire all'occhio e all'artiglio attento del nostro Mercato? E allora, chi li ha scoperti, chi ha dato loro la vera gloria, cioè quella della pubblicità? E si sa che, nel nostro immenso e democratico star system, il merito e la fatica vanno appunto "dal Produttore al consumatore": non c'è proprio un gran spazio per l'artista, figuriamoci per celebrarne la patria! E la Russia Patria del Comunismo? L'ultima volta che se ne sentiva parlare da ammiratori o da innamorati era nei racconti di Sciascia: quel ciabattino che negli Zii di Sicilia si sentiva perduto dopo la morte di Stalin. Ci si è allora immaginati - e si è conosciuto pure di persona - qualche artigiano bestemmiatore toscano, qualche mezzadro umbro o br~cciante pugliese, ancora .con la voglia di Russia o con la nostalgia del Baffone di là da venire. Ma anche allora, e comunque per tùtti dopo di allora, la Russa non era una speranza, ma soltanto una "potenza". Un punto fermo, granitico e per fortuna cattivo, che serviva non già come modello, ma come protezione matrigna del sogno di un avvenire diverso da quel destino clericale e democristiano, che già si sentiva e sapeva eterno; oppurda Russia era lo Stato Enorme, triste ma minaccioso, che si evocava vanamente come il Sordo Patrono delle cento piccole guerriglie del terzo mondo, e che era in uso agitare, come spauracchio nemmeno troppo efficace, nel momento in cui fossero intervenuti i marines. Una specie di "attenti che arrivano loro!" da opporre alla fastidiosa e orgogliosa retorica dell'Arrivano i Nostri Americani, che invece arrivavano sempre . per davvero, e con risultati per lo più poco entusiasmanti. Capovolgendo l'assioma anticomunista, tante volte ascoltato, .de "il pericolo del fattore K" (che poi era la Russia, sotto sotto), e introducendo al suo posto "il fastidio per il coefficente USA", si può dire che la Russia - buttandola in politica - ha avuto al massimo le funzioni di anticorpo; solo i più ingenui e i più chiassosi, quelli che si squilibravano nelle conversazioni da bar più accese, potevano trasformarla nell'enfasi, da medicina amara a speranza di guarigione. In realtà da parecchio la Russia Comunista non ha fatto altro che procurare grane ai comunisti occidentali, e soprattutto agli italiani. Ogni volta a doversi distinguere dalle sue scelte interne e a doversi scusare e dissociare da quelle di politica "armata" internazionale! Ma infine il semplice militante poteva manifestare la sua ebbrezza sportiva, il grande dirigente poteva spacciarsi per sovietologo e fingere di capirci qualcosa. La Russia è stata invece la vera jattura del funzionario medio: chissà quante volte ha dovuto ripescare qualche frase di Lenin, rileggere qualche passo di Marx, ripassare qualche annata de "L'Unità", per trovare le spiegazioni, gli appigli o appena le frasi fatte, utili a stilare un volantino o un discorso qualunque sulla Russia. Chissà quante volte ha sògnato che fosse un'altra la più grande potenza comunista: un paese più vicino per problemi e per carattere, un comportamento più facile da giustificare, una lingua più accessibile da comprendere!. .. Anche quello fa brodo: Russo è come dire Turco, o Arabo. Sta nel regno dell'assoluta indecifrabilità, e questo ha i suoi svantaggi. · E i vantaggi? Forse il fatto che "russo" suona simile a rosso? Una volta non erano pochi quelli che credevano che il rosso del comunismo venisse da lì, ma a essere precisi russo suona un po' rosso cupo, quasi marrone, davvero non un bel colore come indicazione del futuro; tanto più quando si è ormai tutti convinti di aver superato per sempre quegli anni in cui ci si vedeva dentro il marrone "fin qui". La Russia allora - che non è mai. stata il Comunismo, come affermano tutti i dirigenti viventi di tutti i partiti comunisti italiani - la. si può dunque considerare come parte del passato di ciascun comunista; la si può ricordare o ammettere al massimo fra le radici dell'albero; ma che c'entra questo con i frutti? Protesi verso i rami dell'albero, quelle radici più lontane e più velenose s'immagina·che siano già secche. Ed è vero: ritornano fuori soltanto quando si parla della Russia. E allora la chiacchiera televisiva ci ricorda che, certo, la Russia di Stalin è oggi inammissibile, ma la sua difesa nostalgica, se non la si può capire, si può almeno cercare di spiegare. Ma se la pacata generosità degli storici dei talk-show riconosce per esempio il credito della battaglia di Stalingrado (da non sottovalutare), allora - per gli ammiratori d 'antan, per gli irriducibili e clandestini nostalgici della Russia - si aggiunga almeno l'accredito di un qualche glamour al faccione di Stalin (un bell'uomo, almeno tra Nazzari e Peppone)! Da allora infatti, non ricorda più un volto, un personaggio, un messaggio o un manifesto convincente, che fosse valsa la pena importare n.elnostro mercato cultur~le e ideologico, perché potesse in qualche modo influenzare.le scelte e gli ideali degli italiani. Parliamo di "scelte" estetiche e di "tipi" ideali, certamente, ché contano non poco! E la Russia è diventata brutta, dopo essere stata cattiva, con quel Krusciov Nikita, sudato e pelato, che invano si teneva accoppiato - nelle figurine, francobolli e Souvenir della Speranza degli anni Sessanta - al Kennedy John Fitzgerald che, prima ancora di diventare martire, era bello come un divo (e pertanto amante di dive!).

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