IL CONTESTO terminazione- ha il coraggio di rischiare, e non solo fisicamente ma soprattutto politicamente: di rischiare, cioè, anche la sconfitta e l'arretramento. La sinistra è chi vuole più libertà e più democrazia di quella che il sistema è in grado di offrire e forse di sopportare. Non per irresponsabilità o avventurismo, ma per l'equilibrata coerenza rispetto ai valori in cui crede. Questo è precisamente avvenuto in Urss, anche con le pesanti ambiguità che la figura di Eltsin perfettamente incarna. Ma insomma, ambiguità o no, a me l'idea che la sinistra è quella che si oppone ai carri armati mi sembra entusiasmante - e quasi immeritata, a essere sinceri. Un'idea necessaria anche se non sufficiente, si potrebbe dire; ma forse, se sapesse vedere anche i carri armati meno visibili che riducono la libertà a Est e altrove, questa potrebbe essere persino un'immagine esaustiva della sinistra, del suo spazio e delle sue qualità. Se così non è - e nulla infatti di quell'entusiamo circonda in Italia le sorti della sinistra, fuori e dentro i suoi partiti - è per molte ragioni profonde, storiche, politiche, culturali. Ma anche per la pigrizia, la stanchezza, la mancanza di immaginazione, di coraggio, di fantasia, della gente che ancora è o si sente di sinistra; che vive - e perfino diffonde- l'idea della disfatta quando a cadere è ora quello che nei nostri sogni doveva cadere. Non meno diffuso e ancora più pericoloso è un altro sentimento che in questi giorni circola in questa parte del paese; per capirci possiamo chiamarlo rancore. Con approssimazione, certo, ma non troppo, giacché questa reazione una sua espressione pubblica, quasi programmatica, l'ha già trovata. Sta in un articolo di Luigi Pintor apparso sul "Manifesto" sabato 24 agosto, alla fine della lunga settimana russa. È un testo che mi sembra esemplare: con l'icastica espressività dello stile di Pintor vi è rovesciata tutta la rabbia di chi non si riconosce nella "bella festa" per la fine del comunismo e non ha più nulla da contrapporvi. Se non la ferocia della propria maledizione contro "il sogno, l'ansia, l'incubo occidentale": "Abbandonatevi pure a questa danza macabra e divertitevi. Ma attenti, ne vedremo ancora delle belle, anzi delle brutte ..." Letto e riletto, trovo questo testo straordinario perché riesce a dar voce al più oscuro, forse al più basso, certo al più resistente dei sentimenti che si aggirano nella sinistra: il puro rancore. Il rancore di chi è sconfitto senza appello e, come una cambiale eternamente rinviata, vede presentarsi il conto dei propri errori. Il sentimento paralizzante di chi non ha più la voglia, il coraggio, la fantasia di cercare vie d'uscita epreferisce affondare lanciando l'ultima maledizione contro "l'Olgiata occidentale". Forse mi confonde l'antica ammirazione per Pintor e il suo giornale, ma c'è qualcosa di grandioso in questo spettacolo. Io non penso che sia sbagliato provare sentimenti del genere: credo anzi che sia inevitabile e "sano" sentire rancore per le idee e i personaggi oggi trionfanti. È giusto provare scontentezza, insoddisfazione, rabbia per come le cose vanno e promettono per chissà quanto tempo ancora di andare. È insopportabile pensare che, comunismo o capitalismo, i deboli, i poveri, gli sfortunati continueranno a pagare, qui o in qualche continente apparentemente lontano. E credo che la sinistra, prima ancora che in un programma, nasca da un nodo di sentimenti non lontani da questi, di resistenza e ribellione a un destino che, proprio come un carro armato più o meno visibile, schiaccia le persone. E dunque non ha senso la "serenità di sinistra", quell'ottimismo un po' fatuoche pure circola contrapposto al catastrofismo disfattista, e tende a rimuovere le difficoltà tragiche che viviamo. Però è terribile che questo sentimento di orgoglioso rancore diventi oggi il riparo da una sconfitta o la consolazione di un fallimento, fino a ridurre o cancellare una responsabilità: quella che abbiamo avuto tutti noi accreditando a una ideologia valori che le sono estranei. E non è un caso, dunque, se quel rancore· un po' diabolico si salda a volte con una sorta di angelico innocentismo: quello di chi pensa che ridotti o marginali o in qualche modo storicamente giustificati siano i propri errori (ancora sul "Manifesto" è facile rintracciare echi di questa reazione per esempio nella chiusa di un articolo di Rossana Rossanda: "chi è comunista ha motivo di molto dolore, di molta fatica, ma di nessun rimpianto"!). Quello che in queste espressioni mi sembra più grave è l'assoluta mancanza di una qualità che considero fondamentale per la sinistra: la generosità, ossia la disponibilità a mettersi totalmente in discussione quando le proprie previsioni, leproprie idee e le proprie teorie si rivelano sbagliate. Qui invece emerge ancora la difesa, tenace e avara, di una storia e di una identità, anche se questo può provocare la caduta di credibilità e di "fascino" dei valori in cui si afferma di credere. E invece a me sembra che non ci sia oggi altra strada che quella di sacrificare tutto alla necessità di ridare voce a quei valori, di provare a rifondare non un'ideologia o un'utopia irriformabili, ma i valori di una sinistra possibile. E siccome l'unico sogno che vale la pena di sognare è quello di far vivere quei valori, non è in questa fine secolo morto un sogno: è finito un incubo. Ma che cos'è stata la Russia per noi? Piergiorgio Giacché La Russia? Era già finita da un pezzo. Già da prima c'era imbarazzo a difenderla, e non era per gli errori e gli orrori commessi, ma perché comunque non ci credeva nessuno. Figuriamoci adesso, che nuove generazioni di non più giovani "comunisti", sono nate nella abitudine di un oblìo assoluto, se non di un relativo disprezzo! Sì, è vero, la Russia aveva la stessa bandiera rossa, la stella e la falce e il martello, ma, a guardar bene, le emozioni e le relazioni erano al massimo quelle del tifoso: anzi, di un tifo tenue e indiretto, come si trattasse di una specie di gemellaggio calcistico, come se in Cina vincesse il campionato una squadra con la stessa maglia del Milan ... Il Milan, quello sì! La Cina anche, tutto sommato ci si ricorda, non senza vergogna, di averle voluto bene. Cuba, e il Vietnam e persino l'Albania, con quelle campagne di una volta e le virtuose biciclette delle rare fotografie; o forse l'Albania era nel conto proprio per il fatto che le fotografie erano poche, per quel silenzio assoluto che sembrava atavica riservatezza, invece che prigionia ... In generale, come Immagine (si direbbe oggi) oppure dal punto di vista cieco del Sentimento (che valeva ieri), il Comunismo, senza mai divenire astratto, pure è sembrato sempre consistere in quel fantasma che si aggira per il mondo: non c'era realizzazione che tenesse, non contava nessuna amministrazione che lo praticasse, al limite nessun partito - neanche il proprio - che lo rappresentasse o auspicasse davvero. Era più facile riconoscerlo come anima delle rivolte, piuttosto che come Organizzazione o addirittura come Stato della rivoluzione: il comunismo appariva sogno concreto, soltanto fuori da ogni vincolo territoriale, come diluita e impalpabile patria del "mondo intero", che poteva servire a fuggire dalle lusinghe dei valori nostrani e democristiani, e a fugare la tentazione dell'America. Ma per carità, senza operare confronti in positivo, senza opporre modelli a modelli.
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