IL CONTESTO . L'estate del '91 la fine del comunismo Goffredo Fofi Dovunque un partito comunista è andato al potere-e, almeno in Europa, lo ha fatto sempre con i mezzi più brutali della politica, dal colpo di stato all'interno di una rivoluzione di cui era piccola componente all'invasione militare di un altro stato in periodi di rivolgimenti internazionali - ha portato nuova oppressione poliziesca, potere e corruzione di apparati e ceti burocratici; inquisizione e controllo delle coscienze, e insomma dittatura, con i suoi correlati di ingiustizia e di morte. Non possiamo dunque che esultare per la fine del comunismo in Urss e nelle nazioni che in quell'unione sono state a forza raggruppate. Le contraddizioni che si aprono saranno comunque migliori delle non-contraddizioni apparenti del dominio di una casta di funzionari e militari, di un partito che ha preteso alla totalità e alla totale identificazione di sé con lo stato. Nei paesi dove il partito comunista, per quanto forte, non è andato al potere, come è accaduto in Italia, si è assistito a una mescolanza di atteggiamenti che sono passati sotto il nome di comunismo: spinta sincera alla emancipazione delle masse, difesa transitoria - ma non sempre ambigua - delle forme e dei valori della democrazia, tatticismo e politica delle alleanze, gestione parziale (certo non "socialista") del potere in zone non marginali del paese e spartizione del potere dentro enti e apparati nazionali · ("clientelismo"), formazione di una "borghesia comunista" e di una intellighenzia di marcata falsa coscienza e spesso particolarmente arrogante, supinità per lunghi anni al partito-guida (anche economica) e comunque l'accettazione del modello del partitotutto, con particolare settarismo nei confronti di tutto quanto avesse, fuori di esso, ideali sociali e politici potenzialmente concorrenziali, ideali di autonomia delle coscienze e di potere dal basso non totalizzanti e non totalitari. · Ma si è assistito anche, sempre in Italia, all'adesione a questo partito di vasti strati sociali, che vedevano in esso lo strumento del proprio riscatto, e attribuivano a esso ideali di libertà, di giustizia, di eguaglianza. Come in molte parti del mondo, milioni di persone hanno visto nella bandiera comunista la loro bandiera, hanno chiamato la loro utopia comunismo e hanno lottato per una idea di comunismo che non si è mai, in alcun luogo, inverata. La loro storia fa parte dell'immensa e tragica storia della lotta della parte migliore dell'umanità per una società giusta, ma ciò nonostante non abbiamo alèun dubbio sul fatto che la struttura e l'ideologia dei partiti comunisti, compreso quello italiano, fossero "totalitari". Questo, in Italia, anche nelle frange di esso apparentemente più aperte, rimaste sempre nell'orbita mentale del partito, della sua ideologia, e che furono inerti di fronte all'evidenza del terrore sovietico e di esso, dunque, moralmente complici, forse non meno di quanto furono complici del nazismo quei tedeschi che dicevano di "non sapere" (i funzionari e gli intellettuali del Pci hanno sempre saputo e hanno sempre avuto a disposizione i mezzi per sapere). Inerti e complici, perfino di fronte alla tragedia del '56. Non abbiamo simpatia o pietà per costoro, mentre ne abbiamo - ed è ovvio - per tutti coloro che, alla base e dal basso, hanno creduto negli ideali che la bandiera rossa simboleggiava. Di certi resti del passato bisognerebbe tuttavia non più curarsi, se non si è degli storici, abbandonando ai salti mortali dei loro ideologismi gli uni, al loro trasformismo o ai loro ennesimi tradimenti gli altri. 4 Così come dei resti di quell'intellighenzia iperdialettica e iperidealistica (dicendosi marxista e materialista) che ha definito comunismo un'astrazione che non ha mai corrisposto,- e quell'intellighenzia lo sapeva e lo sa - ad alcuna realtà. Non ci siamo mai identificati con loro, né mai li abbiamo considerati come "la vera sinistra". Anche quando abbiamo, sbagliando, creduto possibile contribuire a edificare, sulle ceneri del movimento, una "casa comune", foss' anche transitoria, per la sinistra rimasta. Ci siamo invece identificati e continuiamo a identificarci con un'altra storia: quella delle minoranze libertarie, socialiste, radicali, ereticali, religiose perfino, che hanno creduto fortemente al rapporto inscindibile tra fini e mezzi, all'organizzazione e al controllo dal basso, alla immediata realizzazione di comportamenti morali diversi, al rifiuto delle doppie e triple verità. La colpa maggiore dei comunisti, di cui ancor oggi essi non sembrano rendersi conto, almeno in Italia, è sempre stata quella che Capitini definì del dopoguerra · come "'la pretesa di voler lavare con l'acqua sporca". Quelle minoranze hanno perduto? Certo. Ma guardate cosa ha prodotto la vittoria degli altri, dei furbi. Ma forse è soprattutto da ridiscutere oggi il concetto di "avanguardia politica" come gruppo di militanti professionisti della politica tesi alla presa del potere, poiché il modo in cui una minoranza motivata e persuasa può diventare "avanguardia" e farsi tatticamente manipolatrice di basi, opportunistica cavalcatrice del tempo o trafficatrice di alleanze per la sua scalata, resta uno -dei pericoli costanti in ogni gruppo di intervento sociale. Come dimostrano a iosa gruppi italiani recenti, dai radicali ai verdi. L'Unione sovietica ha visto in queste settimane e vedrà ancora rivolgimenti profondissimi. Li seguiremo con attenzione e con passione, ma ce.rtamente senza mai rimpiangere cosa l'Unione sovietica è stata per più di settant'anni. E che Eltsin possa anche farci paura, nulla toglie alle responsabilità del Pcus. Se all'Est e dovunque vince il capitalismo vuol semplicemente dire, cercando di assumere il punto di vista di chi è stato soggetto al comunismo, che il comunismo si è rivelato una truffa pari o maggiore di quella rappresentata dal capitalismo e ha prodotto sistemi sociali ancora più oppressivi di quelli sviluppatisi nel capitalismo. Nel nostro piccolo, continueremo dunque a lottare secondo quei principi dei quali non abbiamo trovato rispondenza tra i dirigenti e intellettuali comunisti di ieri e ne troviamo assai poca anche tra i dirigenti e intellettuali del Pds (forse perché figli incerti, mediocri e mal cresciuti dei primi). Contro il capitalismo, dunque, per tutto ciò che esso continua concretamente a rappresentare nel senso dell'ingiustizia sociale e, ancor più, della sperequazione tra mondo ricco e Sud del mondo, e nel senso della distruzione della natura e del futuro. Ma anche contro ogni oppressione militare o religiosa o economica dovunque essa si manifesti. E contro ogni falsa coscienza e contro ogni prnposta totalitaria, sia essa laica o religiosa, in stati ricchi o in stati poveri, dovunque essa si manifesti. Fedeli in questo, peraltro, a quell' "internazionalismo proletario" che è stato alla base della storia dei movimenti socialisti e che furono tanto le socialdemocrazie che il comunismo sovietico a rinnegare, con tragiche conseguenze. Il comunismo è morto - e in questo noi vediamo il risultato, della sua vocazione autoritaria, del suo "assoluto" del partito e dello stato". Altri nemici restano in giro altrettanto pericolosi, spesso più subdoli. Non mancherà il da fare.L'orrore del comunismo là dove esso ha realizzato il suo potere ha portato alla sua fine e ha lasciato libero campo ali' orrore del capitalismo. Anche questo noi dobbiamo imputargli.
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