che quella mattina doveva rendere noti i risultàti delle domande presentate molti giorni prima, e sembrava che ve ne fossero state abbastanza per soddisfare le sue richieste. Ma un'altra occhiata a me e al certificato di Cambridge che timidamente srotolavo sotto i suoi occhi gli fecero improvvisamente cambiare idea. "Dove è stato tutto questo tempo?", disse con fare piacevolmente sorpreso. '.'Ecco!", e riempì immediatamente un modulo. Mi si offriva un contratto annuale, rinnovabile, per insegnare nelle cosiddette scuole superiori di Bagdad- cioè in un college. Quell'uomo, seppi più tardi, non era aJtri che Abdul Aziz Duri, un famoso storico iracheno che l'anno dopo doveva diventare Direttore del Collegio di Arti e Scienze, di cui io facevo parte, e dieci o dodici anni più tardi il primo Presidente della nuova Università di Bagdad. Mi fu dato immediatamente un visto iracheno. Lo stesso giorno tornai ad Amman - il mio visto per passare in Transgiordania era a posto - e la mattina seguente ero con altri quattro passeggeri in una vecchia automobile traballante che si arrampicava lungo la tortuosa, erosa, sconnessa strada verso la Palestina, verso Betlemme. Solo per nove mesi, dissi ai miei fratelli. Come potevo sapere che una parentesi di nove mesi si sarebbe prolungata per tutta una vita? Quando Balzac arrivò a Parigi per la prima volta, disse che voleva amore e fama. Quando io arrivai a Bagdad, difficilmente potevo aspettarmi amore o fama: vi andai come un esule in un STORIE/ JABRA terreno ignoto, vergine. Abitavo negli alberghi più poveri, mangiavo nei ristoranti più poveri. Le prime settimane (il mio college apriva in ritardo) furono lunghe e tristi: come tutti gli esuli prima di me, oziavo, scrivevo lunghissime lettere agli altri e lunghissime poesie a me stesso. Lessi Frazer e Schopenauer seduto su un traballante balcone in via Rashid, pensando a casa, alle vie di Gerusalemme. Cosa poteva offrirmi questa città strana e polvero- . sa? Volevo lavorare, serivere, parlare. E questo, abbastanza stranamente, fu proprio ciò che la città ben presto mi offrì. (...) Nel giro di tre o quattro anni ero stupito di quanto ero riuscito a fare, a dispetto di tutto: seminari, insegnamento, pittura, viaggi, un labirinto di rapporti diversi. Ricordavo ancora Balzac. Bagdad non era certo Parigi. Ma la vecchia e famosa città, un tempo vittima di secoli di abbandono, attraversava ora l'agonia e i brividi di una strana rinascita e poteva ancora offrire i suoi doni di amore e fama in tutto il loro valore per un uomo che rimaneva, da tutti i punti di vista e malgrado tutte le intenzioni, un esule errante. Nell'agosto del 1952 sposai una ragazza irakena e un mese dopo salpammo per gli Stati Uniti. Andavo a Harvard con una borsa di studio di ricerca. Meno di due anni dopo ero di ritorno a Bagdad. . La casbah di Hebron (foto di Dino Fracchia/Contraslo) 53
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