INCONTRI/ JABRA Villaggio palestinese in Israele (foto di John Tardai/Camera Press/G.Neri). Assieme a un collega inglese abbiamo poi fondato il dipartimento di inglese della facoltà di lettere, dipartimento che esiste tutt'oggi. La vita naturalmente ha seguito il suo corso. Mi è piaciuto vivere aBagdad: ho amatola città e la suagente, ho amato soprattutto colei che poi ho scelto come moglie. Ho sposato un'irachena e sono rimasto in Iraq. Sono partito per un periodo di studi in America, a Harvard, ma poi sono tornato a Bagdad. E ancora ci sto adesso, e "deo gratias" ! Ha parlato di quella che gli arabi chiamano la nakba, la catastrofe per antonomasia, la sconfitta araba nel primo dei conflitti arabo-israeliani, che ha segnato nel 48 la nascita dello stato di Israele su parte di quella che era la Palestina sotto mandato britannico. Lei ha assistito a molti avvenimenti storici cruciali per la vicenda personale di ogni palestinese, e le sue opere ne sono testimone. Qual è.fra i tanti, ilfatto storico chepiù l'ha segnata? L'avvenimento più importante è naturalmente stata la nakba. Sono palestinese. Vivo in ogni istante la questione palestinese. Anche se da lontano, la vivo dall'interno. La mia famiglia è restata in Palestina, vive tuttora in Cisgiordania, a Betlemme. I miei fratelli, mia madre ... Ora l'ho persa, è morto anche uno dei miei fratelli. Il tempo scorre, è naturale, sono passati ormai più di quarant'anni. Quello che è certo è che è stato questo l' avvenimento fondamentale nella mia vita, il gigantesco disastro, la nakba. Cerco di capirla, di vedere come si relaziona con me. Cerco di capire il palestinese che ne fa ancora le spese, che resiste, e che al tempo stesso cerca, proprio a partire dalla nakba, di sentirsi il più intensamente possibile vivo. Anche se il destino gli è nemico, resta sulle sue gambe, forte, tenace, perché la sua causa non può morire così. E non morirà. È questo l'argomento che fa da sfondo ai miei romanzi. Ho scritto finorà 'circa trenta libri. Ne ho pubblicati in tutto 58, ma la metà sono delle traduzioni, il resto invece romanzi, poesie, critiche letteràrie. In quasi tutte le mie opere la questione palestinese, l"'oggetto" palestinese, è l'argomento centrale, direttamente o meno. In particolare nei miei romanzi. Ne ho scritti nove, e in ciascuno l'argomento palestinese trova il suo posto. 48 E dei tempi del protettorato inglese ha ricordo ?... della prima intifada, quella del '36, contro - per così dire - l' "Israele" di allora: l'Inghilterra delle colonie... Certo, certo ... Fin da piccoli abbiamo cominciato a ribellarci contro l'oppressione che ci veniva imposta. Lo ripeto sempre: il palestinese non ha iniziato a resistere nel 1948, ha cominciato fin dal 1917, più di settant'anni fa. Ho aperto i miei occhi e già ci era riservata l'ingiustizia. Bisognava in qualche modo circonvenirla, reagire, combatterla. Ricordo che lo sciopero era cosa per noi quotidiana. Di tutto ciò è rimasto il segno in tutti quelli che sono i miei scritti di allora. Nel 1937, subito dopo la rivolta del '36 ero ancora un ragazzino, frequentavo il liceo. Ho scritto una breve pièce teatrale, che si intitolava Jabal en-Nar, dal nome della regione di Naplusa, una delle più attive nella resistenza. Non ci è stato permesso di recitarla perché era una pièce politica. Come d'altronde era politico tutto quello che ho scritto quando ero giovane. Jabra Ibrahim Jabra: penso· che la domanda con lei si imponga: che cos'è per lei la me"!_oria? . La memoria, oh, la memoria ... E la parte principale, probabilmente la più importante dei miei libri. Però-c'è un però-per scrivere non mi appoggio soltanto sulla memoria. Dietro l'utilizzazione della memoria, c'è la volontà di ricostituire gli avvenimenti, i fatti della memoria, in modo che ogni dettaglio appaia con tutta la sua forza, e lasci un segno anche nella memoria del lettore. È su questo punto che fondo il mio modo di intendere la narrazione. Non basta ricordare. C'è molta gente che ricorda cose molto belle, ma quando fa per scriverle non ci riesce, oppure i suoi ricordi scritti diventano irrilevanti, perdono il loro colore. Mi sono reso conto che c'è da una parte la m~moria, e dall'altra una forza magica, chiamiamola così, che gioca con la memoria, che la trasforma in quella bella cosa che è la letteratura, i1 romanzo. Le dicevo prima che ho pubblicato la storia della mia infanzia, scritta così come me la ricordavo, i miei primi dodici anni di vita. Per questo libro non ho fatto capo a altro che la memoria, non ho spulciato né lettere né libri. Nulla. Solo la memoria. Mi sono apparsi franunenti di memoria, ricordi vivacissimi, che ho poi dovuto modellare in una costruzione che li rendesse particolari. Credo che sia proprio questa capacità di rendere unico un ricordo a distinguere uno scrittore da un altro. Lei vive da ormai più di quarant'anni a Bagdad. Cosa ha significato per lei l'esilio ? Lei non può sapere cosa voglia dire per un uomo non avere un luogo dove tornare, non poter contare al cento per cento su nessun punto di riferimento altro che lui stesso.L'esiliato poggia solo su se stesso. C'è una poesia che ho scritto all'inizio del mio esilio. Si intitola Monologo per un Faust contemporaneo. Allora avevo la sensazione che ogni resistente palestinese fosse un Faust! In questa poesia c'è un verso che dice: "mi sono a11ontanatodal mio paese - il mio sostegno: questa lingua e questa penna" Da esiliato non ho nulla. Non possiedo niente, solo la mia lingua e la mia penna. Certo il mio incredibile attaccamento alle cose, alla vita, alla gente, il mio modo di intendere la questione che mi concerne, la questione palestinese, sono tutti sentimenti che I
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