questo il privilegio a cui gli scrittori della Ddr non hanno voluto rinunciare. La mera sopravvivenza del simulacro-Stato bastava a questi autori come motore delle loro incursioni storiche. Privilegio che però ora li ha messi nei guai. Thomas Brasch è in effetti uno di quegli autori che guardano alla finestra lo spettacolo dell'occidente, e subito insorgono: "Non può andare avanti così!" Attitudine apprezzabile, ma che oggi è fonte di parecchi grattacapi nella narrativa (tedesca). Non rischia di essere uno sfogo da adolescente? Non che l'adolescente non funzioni, infatti Prima deipadri eRotterson·o testi pregevoli di tinadolescente in rivolta, contro il vuoto dei padri (socialisti reali. Il padre di Brasch è stato vice-ministro della cultura nella Ddr). Poi però Brasch ha ufficialmente fatto coincidere il passaggio a ovest con l'intenzione di crescere. E allora si scontra con un'ovvietà: lo sappiamo tutti che non si può andare avanti· così. Non sappiamo come andare avanti. E se la letteratura deve dirci come andare avanti, dovrà d9tarsi di modelli collettivi, necessariamente del passato. E in una nazione che non ha modelli positivi del passato come quella tedesca ((ormai neppure del presente, vista la caduta del muro), beh, i grattacapi sono proprio parecchi. Bisogna fare i conti con la storia, una storia tremenda. Bisogna scoprire come, al di là della storia, nei suoi interstizi, siano esistiti modelli di comportamento alternativi (i bambini di Grass, i normali out-siderdi Boli, i paralitici diBemhard, gli egoisti di Brecht, certo le donne di Christa Wolf, e se proprio necessario, anche la dignitosa borghesia di Thomas Mann ...) Ma Brasch, insorgendo di rabbia alla finestra, vuole acchiappare la storia per intero, e allora, oggi, nella sua narrativa più recente, è nelle tolle. Mentre nella lirica ci dà risposte illuminanti: Quello che ho, non voglio perdere, ma dove sono, non voglio restare, ma quella che amo; non voglio lasciare, ma quelli che conosco, non voglio più vedere, ma dove vivo non voglio morire, ma dove morirei, non voglio andare. Fermarmi voglio, dove non sono stato mai. La lirica non ha bisogno della storia come evento collettivo (se c'è non guasta, ma se non c'è, non c'è). Alla lirica basta che un soggetto la cerchi, ne evochi lanecessità, ne urli lamancanza. E allora, ha libero corso il pathos soggettivo, il senso di impotenza e lo slancio verso l'utopia. Lo stile, in cui Brasch sembra eccellere con una sicurezza spudorata, offre terreno ali' utopia del soggetto, la gabbia formale è un trampolino di lancio : la palla passa al lettore. Brasch ha sempre dichiarato, finché la Ddr era in vita, il suo grande affetto per quel paese, e il profondo disaccordo con le condizioni politiche che vi regnavano. Non ha mai voluto scrivere testi politici o ideologici, nonostante la più volte ripetuta simpatia per la generazione antifascista, quella che aveva costruito la Ddr. Anarchico di passione, figlio di ebrei, ha cercato di spiegare come, di fronte alle ideologie in stato di decomposizione, l'uomo non stesse morendo 40 l.UNFRONTI I affatto, e reclamasse i propri diritti. Le pulsioni reclamano la vita anche dentro la facciata socialista, .e portano la chiarezza al di là delle vuote parole: Brasch, col suo romanzo, fu il primo a tracciare un'immagine di una classe operaia alienata nel socialismo reale, della violenza, anche del razzismo montante, del carrierismo e dei meccanismi di sopraffazione nella Ddr. Rudi Dutschke, nel '77, parlò del suo romanzo così: "Che la situazione dei giovani nella Ddr non sia affatto diversa, come tentano di sbandierare i demagoghi da noi, risulta subito chiaro appena leggiamo libri come / nuovi dolori del giovane Werther, di U. Plenzdorf oppure Gli anni meravigliosi di R. Kunze, di recente espulso dalla Ddr. (...)E il testo di Brasch Prima dei padri muoiono i figli, acquistabile a ovest ma non nella Ddr, si differenzia molto a mio parere dai libri di Plenzdorf e di Kunze, comunque sia è come quelli il tentativo di afferrare letterariamente la realtà della Ddr. In questo romanzo, la realtà non viene offuscata dai cliché socialisti. Ho sentito che certa gente di sinistra si prendeva gioco del libro di. Brasch, perché era uscito dal Rotbuch Verlag (letteralmente: Casa editrice libro rosso): dicevano che non era un testo socialista. Non c'è bisogno di aggiungere alcunché. La miseria tedesca è una miseria della sinistra. Per me oon ci sono dubbi: nella Ddr tutto è reale, fuorché il socialismo; nella Repubblica federale tutto è reale, fuorché libertà, uguaglianza, fratellanza, noi non abbiamo una democrazia reale." Il "caso" Brasch, il caso di un espatriato che comunque ama la generazione socialista, adora il proprio paese e ad ogni occasione manifesta le sue inveterate simpatie getta luce su un dibattito furioso, eclatante e anche strambo, vissuto dagli intellettuali tedeschi l'anno scorso: il linciaggio di Christa Wolf, "rea" di non voler dire una parola chiara contro il socialismo. "Linea d'ombra" ha ospitato gli interventi di Biermann, che in altra occasione dichiarava teatralmente, alla sua maniera: "Chiunque oggi si definisca comunista è un delinquente o un pazzo". Affermazione sensata, ma anche sommaria. Nonostante l'attacco a Christa Wolf venisse da due giornalisti, della "Zeit" e di "Stern", intenzionati esclusivamente a togliere lo scettro agli intellettuali dell'est (del tipo: "Adesso che la Germania è una sola, vi facciamo vedere noi chi comanda in campo culturale"), nonostante questo, l'ambiguità di molti scrittori rimaneva, rimane, e oggi si è tramutata in silenzio. Ma perché tanto attaccamento da parte loro a un cadavere come quello del "socialismo reale"? Perché, dopo averlo criticato tanto, non essere contenti che il moloch sia morto? Sembrerà strano al lettore, ma la risposta dovremmo cercarla in un altro caso, quello di Kleist, scrittore del sette-ottocento. In quel Kleist conservatore e rivoluzion·ario, nemico di Napoleone e della Rivoluzione francese, legato alla Prussia di Federico II eppure grande drammaturgo della modernità. Lo spazio impone di essere sommario: nel Principe di Homburg, Kleist immagina un potere statale prussiano buono, cioè un ordine simbolico completo. È tanto il bisogno del singolo di essere accettato dall'ordine sociale nei suoi bisogni più puri, che è disposto ad accettare l'ordine sociale così com'è purché codesto, a sua volta, riconosca il singolo col suo bisogno di amore. Che la fantasia di Kleist rimanesse utopia, è dimostrato dall'assoluta impopolarità di questo autore oggi, destino riservato anche a Heine come a parecchi altri. Per gli autori dell'ex-Ddr(Christa Wolf, HeinerMtiller, etc), così ostinatamente nostalgici del socialismo, vale lo stesso: è tanto il bisogno di identificazione del singolo in una compagine collettivo-fantastica, che anche di un baraccone come quello "reale" ci si poteva accontentare, purché il pseudo-socialismo tollerasse l'esigenza fantasiosa degli scrittori. Ciò che aveva fatto Kleist col Principe di Homburg, l'hanno fatto Christa Wolf e Heiner Mtiller restando in Germania, non andandosene dalla Ddr: hanno identificato nello Stato.socialista il loro ordine simbolico. Ed ecco, per concludere, le parole dette da Christa Wolf nella laudatio di Brasch, proprio in occasione del conferimento del premio Kleist. La Wolf sta riferendosi alla politica repressiva dei principi tedeschi, a partire dalla Guerra dei contadini. Poi dice: "E i principi fecero ordine e leggi più severe, imponendo ubbidienza e sottomissione, e il Principe di Homburg infrange quelle regole e dovrà morire, ragione di Stato. Ma Nathalie, che lo ama, si presenta al Principe elettore, e in due righe concilia l'inconciliabile: La legge di guerra, so bene, deve regnare ma anche i cari sentimenti devono. Di nuovo utopia, reclamabile soltanto da bocca di donna. Una patria non necessita di questo legame, freddo e desolato. Che rinunci ali' ordine sacro, ma anche innaturale a vantaggio di un disordine a misura di uomo. Un sogno, che altro. "Un sogno, che altro", così termina Il principe di .Homburg: Kleist rimase sempre fedele prussiano, e Christa Wolf si guarda bene dal dirlo nella laudatio. Come del resto capiterà a lei, ad altri, di rimanere a loro modo fedeli. Anche la Bachmaon fu tormentata dal Principe di Homburg. Da questo straordinario potenziamento del desiderio nell'abbraccio simbolico col potere. Se il termine fosse positivo, dovremmo dire "prostituzione" del desiderio. Ma il sogno, per gli scrittori della ex-Ddr, è per il momento finito.
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