più primario di un confronto radicale in un campo di forze storico, di classi, e perché non cercarne esempi, non tanto nelle storia del Padrino, quanto in quella più cruciale delle guerre sanguinosissime contro gli indiani, diretto precedente del genocidio vietnamita? Parlerò di tre films profondamente legati per quanto detto sopra, anche se apparentemente molto diversi: Balla coi lupi di Costner, Il silenzio degli innocenti di Demme e Misery non deve morire di Reiner. Cominciamo dall'ultimo, notevole esempio del filone 'gotico' alla Stephen King (suo il romanzo da cui il film è tratto): è una variazione astuta sul tema già di Shining: in ambedue i casi, il contenuto è il blocco dello scrittore, che si porta dietro - secondo l'analisi freudiana dell"'inibizione" patita anche da uno scrittore che, come l'autore di Misery, in qualche modo scribacchia anche se 'amputato' - fantasie trasgressive associate alla madre e a chi la rappresenta. Certo, il rapporto coatto dello scrittore infortunato con la sua . rabida fan-infermiera che gli detta il contenuto della sua narrativa dozzinale ma di successo rimanda a tutta.una casistica ·•profonda' iq cui hanno gioco temi di auto-cannibalismo, narcisismo ferito,silenzio, che Reiner articolaabilmente in contrappunto col testo di King (uno dei suoi migliori davvero): il blocco patito è più che verosimile, più che una finzione il contatto 'ricercato con quella ,che King descrive come "quell'insano pozzo dei sogni", indenne da inquinamenti, cui lo scrittore febbrilmente si abbevera sprofondandovi attraverso un provvidenziale buco nella carta da scrivere - realistico, anche in termini filmici, lo sgorgo del pozzo nell'aridità del blocco in seguito alla sanguinaria accetta della fan carceriera. Il sangue schizza orribilmente dalla carne del protagonista immobilizzato e sensoriamente presentissimo a se stesso e investe la donna dei "colori di guerra" di un indiano. Una delle intuizioni più preziose del testo cumulativo romanzo/film di Misery è il profondo bisogno di drammatizzazione simbolica al livello del rapporto fra scrittore e lettore: una molla invincibile di un antagonismo che è soprattutto di classe, anche se qui la violenza 'gotica' non ha niente di rivoluzionario e sembra invece provenire da frustrazione impotenza sessuale (vedi, fra l'altro, la bruttezza della 'pazza' protagonista). Il legame fra deviazione creativa e impersonamento simbolico dell'animalità biologicamente malata di un supposto (ma forse anche vero) uomo contemporaneo stimola il film di Demme, tratto da un romanzo notevole di Thomas Harris. Demme, di cui basterà ricordare Una volta ho incontrato un miliardario e Una vedova allegra ma non troppo entra qui interritorio De Palma e non sempre con esiti felici- ma già illustrare in maniera efficiente la trama del testo di Harris (che vede una caccia a un omicida psicopatico soprannominato Buffalo Bill, tetro cacciatore di scalpi, e· uno psichiatra geniale internato per cannibalismo praticato sui propri pazienti) porta Demme, e i suoi bravissimi attori, a bordeggiare su quel nocciolo marcio che è il motore della mappa cognitiva del discorso. postmoderno sulla Natura, in cui l'accento cade 38 CONFRONTI ancor più tetramente, se si può, sul simbolismo designato a portare lo spettatore americano a contatto viscerale con le radici dei propri disagi civilizzati. Balla coi lupi condensa quanto detto più sopra in una parabola mossa dal mito centrale del "Grande Cacciatore Americano" ma intesa a rovesciare il mito stesso in una riscrittura dall'interno dell'Altro (il pellerossa) di un passato che oggi, più che mai, turba la coscienza americana. Anche questo film, che vuole congegnare un· discorso cinematografico che coniughi ecumenicamente le origini storiche griffithiane del cinema americano e certi trasalimenti di camera più appropriati all'oggi, è tratto da un testo, anche se modesto e già atteggiato a sceneggiatura cinematografica. Il testo del film porta inscritta una fantasia di retrogressione culturale al succo di un messaggio che ha movimentato la cultura soprattutto letteraria amer.icana fino dagli anni settanta - il messaggio emanante dal fiato di un lupo morto ("solo aria morta dalle interiora morte, ma fiato rauco ...fiato folle") che è la lettura maileriana di una Natura rabbiosa ma essenzialmente impotente in Perché siamo in Vietnam?. Gli indiani di Costner, temo; sono questa dimensione della Natura pur nella cura di ricostruzione etnografica che indubbiamente muove il film, a volte spettacolarmente intenso. Ma non restano quelle cariche di bisonti, trasversali alla pagina del grande schermo, l'intensità totemica, le stesse sequenze di soffer~ to risarcimento dell'Altro, come segni di riferimento su tino schermo ,dei sogno tuttavia da tradurre in discorso praticabile nella storia che viviamo e che ancora cerca un eroe positivo Altro 'articolato' come un bianco? Tutto sommato, la ricostruzione di Costner, la cercata 'verosimiglianza' ai costumi indiani, non è che una chiosa alla citazione epigrafica che introduce il primo capitolo ("Annie"; I'Altro di Misery) del romanzo di Stephen King: "Quando guardi l'abisso, l'abisso guarda te" - Nietsche. Provate a rivedere il film avendo bene in mente la guida del Kafka di Voler essere un pellerossa: "Ah, se uno fosse un pellerossa, immediatamente ali' erta, se curvo nel vento sul proprio cavallo galoppante uno andasse vibrando, velocemente, sulla pianura ondeggiante, più e più volte fino a ce_ssaredi usare gli speroni, non essendoci più speroni, fino a buttare via le redini, non essendoci più redini, e uno potesse appena vedere il terreno davanti a sé come un ben tenuto tratto di bru- ·ghiera senza più nemmeno il collo di un cavallo né una testa di cavallo". Forse le cose collimano, in una finale cancellazione di dialettica storica ottenuta per una saturazione di visione, un eccesso di spirito della frontiera. Forse Costner avrebbe potuto spiegare, al posto del bildungsroman troppo bello per esser vero del suo protagonista illuminato, il perché di due cose straordinarie che per caso il suo film ci ricorda senza tuttavia che si traggano le conclusioni del caso: gli Stati Uniti non fecero niente di serio per impedire il flusso dei bianchi verso i territori indiani durante tutto il corso dell'ottocento, ma appena le guerre indiane furono terminate, si passò subito a istituire un sistema di parchi nazionali inteso a escludere ogni forma di insediamento in vaste aree riservate di ogni stato americano: lo stesso Roosevelt estese le aree riservate di oltre 40.000.000 acri! . Così il racconto, per quanto suggestivo, si chiude anche qui con una domanda - e dirlo non significa peccare di alterigia. Primadei padrie dopo i figli. ThomasBrasche i suoi padrinie madrine Roberto Menin . Novembre 1989, nelle piazze tedescoorientali risuona una frase. Dal palco lapronuncia Christa Wolf, in uno dei comizi della svolta del muro: "Il primo maggio, il popolo prende posto sulla tribuna d'onore della Marx-Engels-Platz e assiste alla parata di regime". Un desiderio che - è una sfida. A scriverla fu Thomas Brasch, attorno al '77, nel romanzo Prima dei padri muoiono i figli, pub,blicato ora da Moretti & Vitali (a cura di P. Ciro e G. Piccinini, L. 16.000), che propongono· anche un dramma, Rotter, una favola dalla Germania (trad. di G. Piccinini, L. 14.000).(DiBrasch "Linea d'ombra" pubblicò già nel suo n. 2 del 1983 il racconto lungo Sopra il cielo d'acciaio.) · Sia nel romanzo che nel dramma, Brasch riusciva ancora ad afferrare la storia per un lembo, nel suo caso prettamente adolescenziale: il tormentodi chi, crescendo, si vede letteralmente abbandonato dagli adulti. Prima dei padri è il romanzo della rivolta generazionale contro la burocrazia socialista. Rotter il dramma della continuità della storia tedesca, dal nazismo fino a socialismo costruito, nell'ottica straniata di un giovane un po' psicopatico. Entrambi questi testi, che risalgono a oltre dieci anni fa, sono diventati due dei tanti manifesti simbolici degli scrittori dell'est - del!' opposizione "pacifica" alla degenerazione del socialismo. Non è un caso che Christa Wolf e Heiner Mi.illerabbiano fatto di Brasch un loro beniamino. Addirittura la vicenda personale di Brasch, l'essersene andato a ovest per pubblicare il suo romanzo, pur restando anche oltre muro un "nostalgico" dell'ordine possibile nella amata Ddr viene indicato da Mi.illere dalla Wolf come un evento significativo di svolta per tutti. Procediamo per ordine. Brasch arrivò a ovest dalla Ddr (permesso di espatriosenza ritorno) per poter pubblicare Prima dei padri senza finire in prigione. Dov'era in · effetti stato rinchiuso per aver distribuito volantini contro l'invasione della Cecoslovacchia nel '68. Ha anche subito espulsioni dall'università e
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