da Watergate) per nascondere la propria tattica di manipolazione (sorretta dall'invisibilità dello stile). Però: al loro meglio, i films portarono a riconoscere un fatto importante che spesso i formalisti ignorano: cioè, che lo 'stile' di un film sta non solo nella sintassi filmica ma anche - forse soprattutto- nelle aspettative create dalla fondamentale intertestualità del cinema popolare: capovolgendo come fanno, la maggior parte di quelle aspettative, i due Padrino avanzano una critica ( e un'autocritica all'interno del mezzo filmico stesso) che deriva la sua forza proprio dal serbatoio tradizionale cui si rifanno. Michael, non a caso, viene letterarizzato in una sorta di Grande Gatsby (alla cui sceneggiatura Coppola lavorerà fra il primo e il secondo Padrino) che, come nel romanzo di Fitzgerald, subisce il tormento di una ricerca d'amore e insieme cerca di disfare la logica di un crimine originale: una tragedia americana che, come tutte, risulterebbe dalla malintesa interpretazione di una promessa ancora possibile. In Il Padrino 3 Michael, visto al termine del film precedente come, in superficie, fedele agli attaccamenti rituali di vita, ma, in realtà, spietato manipolatore e proto-yuppie drammatizza la, morale su cui si chiude il recente Il falò delle vanità di De Palma: chi ha avuto "tutto" ambisce a riavere l'anima. Siamo, non a caso, nel 1979inizio di una crisi del dollaro che costringe anche gli Usa a perseguire politiche finanziarie pesantemente influenzate dal nuovo sistema finanziario internazionale: reinvestendo la fortuna am·- massata a livello internazionale gestendo case da gioco, Michael spera di legittimarsi completamente; si disfà dei gambling holdings dei . Corleone, investe nel Banco Vaticano e aspira a diventare partner della Chiesa in una corporazione finanziaria chiamata Immobiliare Internazionale. La sociologia e la politica dell'intera trilogia si ritrovano qui al punto di partenza: Michael §i dà daffare per impiantare una partnership Euro-Americana 'legale'. Com'è prevedibile, si accorge presto che più si sale nella società "più corrotta essa diventa". Sotto questo ombrello tematico Coppola e Puzo congegnano tutta una sottotrama criminale e familiare designata a suggerire avvenimenti dei films precedenti. La moralità da cadavereper-cadavere della vendetta mafiosa continua quando Michael torna in Sicilia a caccia dell' uomo che sta mandando in malora il suo progetto col Vaticano. E poi tutta una serie di ripetizioni per cui il film, a volte, sembra piuttosto una camera riverberante. Il montaggio del film è, in tal senso, particolarmente curato: si parte da vedute della villa recintata di Lake Tahoe e poi, in momenti culminanti, si intercalano brani dei films precedenti in modo da creare un tessuto doppio di azione al presente e di memoria. La coscienza di Michael è infatti la sua unica compagnia: non fa che passare davanti ai suoi occhi le sue malefatte passate in una visione continua. L'unico termine che si attagli a questo film è "deliberato": una volta che si siano viste le production stills in cui Al Pacino appare come un cadavere ambulante, gli occhi affondati nelle orbite come grani di pepe pigiati a forza in un'oliva, si è capito il tono del film: ruminativo, 36 I CONFRONTI I a volte perfino funereo, certo del tutto disaffine - malgrado occasionali sprazzi di violenza - ai precedenti Padrino o a quel a suo modo singolare classico recente dell'underworld americano che è Scarface (1983) di De Palma, con Pacino, estaticamente paranoico, il naso pieno di cocaina, il suo Tony Montana delirante nelle sue stanze oscurate in attesa che gli 'hit men' lo liquidino. Con i suoi quasi sessant'anni, questoMichael Corleone fa pensare più a un pensionato stremato che a un pezzo forse indelebile di una mitologia americana recente (lasciando stare la mafia), riassumibile in quello (tratto dal Padrino 1) che è diventato un po' uno slogan naz.ionale americano: "Gli farò un'offerta che non potrà rifiutare". Jack Weil, astuto mago delle carte a caccia del più grosso bottino delJa sua ;vita,si trova solo per un caso al centro (si fa per dire) della nuova epica della coppia Sidney Pollack-Robert Redford, Havana, ambientato a Cuba nella settimana finale del regime di Batista, e specialmente tra Natale 1958 e Capodanno 1959. Potrebbe essere con tutta probabilità uno dei personaggi americani arenati incontrati da Michael Corleone durante la sua visitaa_Cubaesattamente in quegli stessi giorni due Padrini fa, o, ancor più probabilmente, un sosia di Rick in Casablanca. Esattamente: Havana, che potrebbe anche chiamarsi Cubablanca, è un tentativo convenzionale di combinare l'agrodolce romanzo, con tinte· hard-boilled, di Casablanca con il fervore contemporaneo di films specificamente costruiti in margine alla rivoluzione latino-americana, come Sotto tiro di Spottiswoode. Mister Jack, come Mister Rick, è un affascinante cinico redento e fatto etico da un'ardente e bella rivoAndy Gorcio e Al Pocino nel Padrino lii. luzionaria, Bobby Duran, sposata a un ribelle aristocratico, Arturo Duran. Non è un caso che Pollack descriva la lotta per Castro come se fosse l'analogo della guerra giusta contro Hitler, così da dare alla nobile infatuazione di Jack la stessa toccante modalità di quella di Rick. Havana si rifà dunque alla formula vincente, qui prevedibilissima, di Casablanca, di cui condivide la stupidità politica, anche e soprattutto dove cerca di sfruttare automatiche simpatie di sinistra per infondere nella palingenetica capacità autoimmolatrice di Jack una politicamente corretta aura di passione attivistica. Più Pollack cerca di descrivere realisticamente la tortura repressiva e la rivolta castrista, più s'impelaga in domande cui non sa rispondere. La storia del film è infatti un puro congegno escapista, che porta inevitabilmente a lamentare non solo la sequela dianti-climax e la lunghezza eccessiva (il film dura ben 135 minuti, mentre Casablanca ne dura soltanto 102), ma anche molte implausibilità della trama-una per tutte: Jack che continua a portare Bobby nel proprio appartamento pur sapendo che la polizìa segreta ce li ha già seguiti. Pollack e i suoi collaboratori si sono dati perfino il disturbo di ricostruire un pezzo della Havana del 1958 in una base aerea di Santo Domingo: ma questo trompe l'oeil da grande studio non può certo nascondere lavacuità interna del film. Il personaggio principale: Jack è l'eroe deliberatamente hemingwayano della vicenda, chiamato esplicitamente "Ernie" (come Hemingway) dagli amici, un uomo che sa tutto di una cosa sola (le carte), ma lascia tutto il resto all'intuito e alla battuta. È anche l'americano archetipo: individualistico, sospettoso della politica, e tuttavi-aspinto ad agire dall'ingiustizia. La sua è, volutamente nel film, un un'"in-
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