Linea d'ombra - anno IX - numero 63 - settembre 1991

CONFRONTI DagliAppalachia TwinPeaks. l'Amer1eadi Sandro·Portelli Marisa Caramella A partire dai primi anni Ottanta, le cose americane hanno acquistato uno spazio piuttosto rilevante sulle pagine di quotidiani e settimanali necessariamente impegnati, durante il decennio precedente, a riferire su cose italiane di carattere molto più urgente che non i fenomeni d'oltreoceano. E con successo, dato che le manovre e i tic di Ronald Reagari erano, se non meno biechi, almeno più folkloristici di quelli della Dc impegnata a debellare il terrorismo. I corrispondenti dagli Usa, dei quotidiano, soprattutto, hanno avuto la possibilità di farci sapere, del grande baraccone reaganiano, molto di più che non della politici di Carter. Ed era dai tempi del Watergate che non si davanotanto da fare. In breve, la campagna promozionale dello staff della Casa Bianca anni Ottanta è riuscita in un duplice intento; gonfiare l'immagine di Reagan e della "sua" America come un gigantesco pallone i cui contorni si potessero vedere anche oltreoceano senza nemmeno l'aiuto della. trasmissione via satellite, e interessare alle dimen° sioni della "cosa" anche quotidiani e i periodici tradizionalmente restii a regalare spazio alla stalla e alle strisce per motivi ideologici e anche solo d'interesse, o di opportunità. Il continente americano è diventato così una specie di luna park a uso e consumo di sociologi improvvisati, spessoper età opreparazione incapaci di cogliere, dei fenomeni più evidenti, il lato rivelatore. Luogo comune e sensazionalismo sono stati e continuano a essere la parola d'ordine di chi è incaricato di informare sull'America; immagini di homeless e bag ladies sdraiati sui tombini della metropolitana, con sullo sfondo le luci del Chrysler Building, scintillante come il deposito Postaredel Wyoming in motocicletta (foto di louie Psihoyos/Contact/Grazia Neri). 34 di dollari di zio Paperone o i gioiellì delle tante first ladies della politica, della finanza e dello spettacolo; e poi avanti con il Divario, la Contraddizione, il Contrasto. E la Violenza, con la maiuscola grande come il pallone reaganiano: la Violenza Razziale, la V\Olenza Giovanile, la Violenza Carceraria, la Violenza della Droga, perfino la Violenza dello Spettacolo. Unka grande assente, la Violenza di Classe, anzi, le classi tout court. L'immagine dell'America che campeggiava su pagine e schermi era quella di una marea di teste multicolori come la pubblicità di Benetton, sulle quali camminavano a grandi passi, incuranti e rampanti, i p'iedoni calzati di scarpe italiane di una schiera di yuppie impegnati a dare la scalata a quello che sembrava ormai il vero cuore della nazione, Wall Street. Ma nonostante questa immagine significativa, la parola classe veniva usata solo per descrivere il duello gentile tra Nancy Reagan e Raissa Gorbaciova, o le giacche di Armani predilette dai giovani in ascesa, o il tipo di sistemazione da conquistarsi in aereo durante i viaggi a spese dall'azienda. L'America degli anni che vanno dalla morte di Kennedy al Watergate, con i suoi conflitti, con i movimenti studenteschi esportati in Europa, con lè lotte combattute aspramente pagando di persona; in nome dei diritti civili e degli ideali di giustizia della Costituzione, l'America della ribellione al grande inganno del Vietnam, sembrava scomparsa nel nulla. Per non parlare dell'America operaia, con le battaglie sindacali condotte in epoche remote, secondo la nozione del tempo che hanno i giornalisti d'assalto, e con un'asprezza sconc5sciuta alla generazione del dopoguerra. A ricordarci che gli Stati Uniti sono .abitati da minatori e braccianti, da operai dell'industria automobilistica o del nucleare, oltre che dai giovani ribelli dei ghetti. erano ormai solo pochi film di Martin Ritt, di Mike Nichols o di Michael Cimino. Era quindi-con grande sollievo che si aprivano le pagine del "Manifesto" e si andavano a cercare gli articoli di Sandro Portelli, che dell'America conosce la storia e la letteratura, delle origini come dell'ultimo mezzo secolo, e se ne serve per interpretare ogni fenomeno d'oltreoceano senza mai scadere nell'ovvio. È addirittura con gioia che li si vede, ora, questi articoli, insieme ad altri "appunti", raccolti in un libro, Taccuini americani, pubblicato dalle nuovissime edizioni del Manifesto libri. Dato che gli articoli di Portelli si leggono d'un fiato, dato che ci si rammarica che non siano più lunghi, o più frequenti, con ·l'impressione che chi li ha scritti non ci abbia detto tutto quello che sa, dato che le opinioni e i giudizi che contengono sono espressi con poca enfasi e molta modestia, dato che la scrittura non è mai vistosa o sensazionale, l'idea di poterne fare una scorpacciata è davvero allettante. Questo libro suscita un desiderio che sempre più raramente si prova: quello di potersi trovare faccia a faccia con l'autore: magari a una presentazione non troppo affollata, per fargli domande sugli argomenti, sui problemi che lascia aperti nei suoi scritti, per saperne di più di quei personaggi, amici suoi, intellettuali dell'università dell'Est o minatori dei monti Appalachi, che spuntano per poche righe, con nitore e vivacità. Perché le frequentazioni di Portelli durante le visite in America negli anni Ottanta non sono le stesse vantate dai giornalisti o dai critici più in voga nell'ultimo decennio. Niente scrittoridi successo, attori di grido, cantanti celebri, niente Madonne, niente stelle della politica e del business per Portelli, che però non tralascia di analizzare anche questo tipo di fenomeno, in un contestò più vasto, più stimolante. Semmai, è Bush a far càpolino dall'intervista a un minatore della Virginia, o Melville da un'analisi di Twin Peaks, non il contrario. E se si parla di Bruce Springs teen, non è per approvarne o per fustigarne i costumi o spiegare il fenomeno che spinge milioni di ragazzi a far la coda per procurarsi il biglietto di un suo concerto, ma per indagare le radici della sua musica; per spiegare la complessità dell'attrazione che esercita indiscriminatamente su tardo hippies e neo jocks; se si usa il termine redneck non è una connotazione negativa generalizzata, ma per spiegarne l'origine. E sempre, da questi appunti, esce l'immagine del1'America sommersa, mai celebrata se non dalle ballate folk, la stessa che invece continua a celebrare il rito del nazionalismo ~ della fede degli ideali della fondazione, senza però rinunciare a lottare per la propria dignità. Nonostante questo bisogna arrivare a pagina 195 delle 220 che costituiscono il libro per trovare la parola "classe" insieme alla parola "lotte", come ai v~cchi tempi. "Bisogna proprio venire in America, dove tutti credono di essere ceto medio, par vedere la lotta di classe senza veli," dice Portelli, a proposito dell'ennesimo e definitivo sopruso operato da una compagnia mineraria senza uscire dai limiti della legalità, tra le citazioni dei commenti di due dei personaggi coinvolti, anonimi quanto emblematico, una operaia di miniera e un preacher politicizzato. Perché buona parte degli appunti america-

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