violenza sia giustificabile, quelli della concezione nonviolenta di Gandhi comportano che nessuna violenza è giustifi'cabile. Tutto ciò risulta abbastanza chiaro· anche a una analisi del passo di un articofo in cui egli si esprime sulla lotta violent_adei cinesi: "Vi chiederete che cosa penso della Cina", dice Gandhi nel dicembre del' 38 a un gruppo di missionari cristiani venuti a fargli visita. E risponde: "I cinesi non hanno alcuna mira su altri popoli. Essi non anelano a nessun territorio. È vero forse che la Cina non è preparata per una aggressione; forse ciò che appare come il suo pacifismo è solo indolenza. I_nogni caso, quella della Cina non è attiva nonviolenza. n suo difendersi strenuamente contro il Giappone è provà sufficiente che la Cina non fu mai intenzional- . mente nonviolenta. Il fatto che sia sulla difensiva non. è una risposta in termini di nonviolenza. Perciò, quando giunse il momento di mettere alla prova la sua nonviolenza attiva essa fallì nell'esperimento. Questa non è una critica alla Cina. Auguro successo ai cinesi. Secondo i canoni comuni il loro comportamento è rigorosamente corretto. Ma se la situazione viene analizzata in termini di nonviolenza, devo dire che è riprovevole che una nazione di 400 milioni di abitanti, una nazione colta tanto quanto il Giappone respinga l'aggressione dei giapponesi facendo ricorso agli stessi metodi usati da questi." 17 Né alcuna doppia,moral~ o contraddizione è insita nel fatto che Gandhi consigli o addirittura prescriva la nonviolenza di tipo satyagraha agli ebrei residenti nella Germania nazista, la ·cui causa egli giudica sacrosanta; allo stesso tempo che sostiene che secondo i canoni comuni del giusto e dell'ingiusto la violenza degli arabi in Palestina è giustificata (e altrettanto per quanto riguarda quella del popolo cinese contro l'aggressione giapponese). · In primo luogo, non trovandosi di fronte al fatto di una resistenza violenta organizzata degli ebrei residenti nella Germania nazista, Gandhi non può ovviamente dire, come dice nel caso degli arabi e dei cinesi, che in base ai canoni comuni la violenza da essi di fatto usata è del tutto giustificata. In secondo luogo non può, rimanendo fedele ai canoni fondamentali della sua concezioqe nonviolenta, spronare gli ebrei a scendere in lotta violenta contro il nazismo; un fautore convinto della nonviolenza non può ovviamente predicare la violenza: li invita a organizzare una resistenza nonviolenta di tipo satyagraha come invita in tal senso, in altri articoli, gli inglesi, i cecoslovacchi e, contro il nazismo di marca giapponese, il suo stesso popolo. 18 Ed è rilevante qui notare che quando il Partito del Congresso, sotto la guida di Nehru, si dichiarò disposto ad appoggiare militarmente la lotta violenta dell'Inghilterra contro la Germania nazista se l'Inghilterra avesse riconosciuto l'indipendenza dell'India, Gandhi diede le sue dimissioni dal Partito. Quello che Gandhi semmai può fare, rimanendo fedele alla sua concezione nonviolenta, è dire che se un gruppo o un popolo non ha fatto propria tale concezione, bensì assume i canoni comuni secondo i •quali la violenza difensiva è perfettamente giustificabile, allora quel gruppo o quel popolo, di fronte a una . patente aggressione ha, secondo i canoni da esso stesso accettati, un dovere di resistere in modo violento. Che di fatto è sempre stato quello che Gandhi ha detto ai suoi compatrioti e che in alcune righe di un articolo dice anche a proposito degli ebrei residenti nella Germania nazista. Ritornando sulla affermazione da lui fatta per cui gli ebrei non avrebbero mai adottato né la concezione né il metodo di lotta della nonviolenza attiva19 Gandhi scrive infatti: "Gli ebrei non sono angeli. Ciò che volevo dire è che essi non sono nonviolenti nel modo in cui intendo io. La loro nonviolenza non ha avuto, e tuttora non ha, amore. È passiva. Essi non oppongono resistenza poiché sanno che non potrebbero resistere con successo. Al posto loro, supponendo che non vi sia in me nonviolenza ILCONTESTO attiva, invocherei senz'altro dal Cielo la maledizione sui miei persecutori" 20 • Del resto Gandhi ha sempre insistito nel ritenere che pur essendo la nonviolenza attiva o del forte l'alternativa preferibile, la resistenza violenta di fronte a una patente aggressione è preferibile alla codarda sottomissione (o alla nonviolenza del codardo, come a volte Gandhi la chiamava): "Non ho mai considerato la violenza come una cosa permessa ... L'unica cosa lecita è la nonviolenza ... Tuttavia, sebbene la violenza non sia lecita, quando viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi essa è un atto di coraggio, di gran lunga n::uglioredella codarda sottomissione." 21 Ed è nel contesto di una siffatta distinzione che si comprende meglio la natura di certe affermazioni gandhiane, inclusa quella che è stata scelta, astraendola da ogni contesto, come motto per-l'intero, già più volte citato numero di "Micromega": "Non ho forse ripetutamente detto-che vorrei che l'India diventasse libera con la violenza, piuttosto che rimanere i,n schiavitù?" Rimane la prima parte della terza tesi di Gandhi che stiamo discutendo, quella per cui gli ebrei non possono validamente avanzare alcuna pretesa o diritto alla:terra in Palestina, in quanto essa è degli arabi come l'Inghilterra è degli inglesi e la Francia dei francesi. Contro questa tesi Buber, Magnes e Greenberg adducono vari argomenti e su di-essa sono stati versati, prima e dopo di allora, fiumi di inchiostro. Non ho nessuna intenzione nel presente scritto di entrare nel merito di questi argomenti, anche perché ritengo che oggi, dopo mezzo secolo dalla creazione dello stato di Israele e il riconoscimento·di esso anche da parte dell'OLP, la situazione sia parecchio cambiata da come era nel periodo in cui Gandhi scriveva su di essa, e il problema centrale sia quello di trovare una soluzione pacifica dell'attuale contesa, fondata sulla creazione e sul formale riconoscimento, anche da parte di Israele, di una stato palestinese nei territori occupati. Vorrei soltanto avanzare l'ipotesi che quando Gandhi scrive che la Palestina è degli arabi come l'Inghilterra .degli inglesi e la Francia dei france$i, egli muove da un principio diverso, e forse più plausibile, di quelli discussi da Buber, Magnes e Greenberg (conquista, uso, cultura), il principio per cui una terra è del gruppo maggioritario che, avendo in comune una lingua e una tradizione, vi ha abitato e l'ha usata, non per una o due generazioni, bensì per un lungo susseguirsi di generazioni. Anche se evidentemente Magnes non accetta questo principio, è interessante notare come in base _aesso egli sembri disposto a riconoscere che la Palestina è degli arabi. Scrive infatti: "La Palestina appartiene agli arabi nel senso che essi sono stati su questa terra in grande numero fin dai tempi della conquista musulmana, che molti di coloro che lavorano la terra sono arabi (non tutti), che molti di coloro (non tutti) che possiedono la terra sono proprietari terrieri arabi, e che l'arabo è la lingua maggiormente parlata"-22 Contro la seconda tesi, quella della efficacia di una resistenza nonviolenta di tipo saty<;tgraha da parte degli ebrei contro la persecuzione nazista, l'argomento più comunemente avanzato, e che appare nelle lettere di Buber e Magnes e anche nell'articolo di Greenberg, è che contro un regime spietato come quello di Hitler la nonviolenza, anche quelle gandhiana di tipo satyagraha, sarebbe (stata) del tutto inefficace. Non di rado, i fautori di quest'argomento dimostrano di avere una scarsa conoscenza della nonviolenza gandhiana, non tengono affatto o sufficiente- 'mente distinto il satyagraha, che è una particolare strategia di conduzione dei conflitti, fondata su determinati valori e principi, e quindi adottabile soltanto da coloro che abbiano fatto propri sia quei valori sia quei principi, dall'insieme delle tecniche di lotta. non militare, impiegabili in via di principio da chiunque al servizio di qualsiasi causa.23 Inoltre, di rado i fautori dell'argo25
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