IL CONTESTO e l'ordine mondiale. E doveva affrontare la più grande potenza militare del mondo. Gli Usa non saranno la più grande potenza finanziaria del mondo, oggi, ma sono chiaramente la più grande potenza militare. L'unico risultato di un tale scontro poteva essere una massiccia distruzione. Secondo il rapporto del sottosegretario generale dell'Onu per la Finlandia Ahtisaari sulle conseguenze della guerra, i bombardamenti hanno riportato l'Irak a un'epoca pre-industriale. Con l'arrivo dei mesi estivi, assisteremo al diffon-. -à~~l colera e di al~e malatt~e, ~enza parl~e dei_dan_niambientali che Saddam Hussem, col contnbuto degh amencaru, ha causato in Kuwait e altrove. Il problema è: gli Usa sono responsabili? ln verità sì. Saranno considerati responsabili? Ne dubito seriamente. Ciò che loro hanno inteso con "essere responsabili" è stato andare in quel paese e abbatterne il regime. Io oppongo una considerazione molto semplice: i danni erano già sufficienti. Già conosciamo la politica della destabilizzazione reciprocamente assicurata, il che significa che non si è interessati a liberarsi di Saddam, si è interessati a indebolirlo. Il paradosso dei paradossi, oggi, e gli americani semplicemente non lo capiscono, è che gli Stati Uniti preferiscono che Saddam resti al potere a ogni altra alternativa sconosciuta. Altri alleati Usa nella regione hanno cambiato posizione. Hanno dato istruzioni ai loro organi di stampa affinché non critichino Saddam Hussein, né per iscritto, né alla radio o alla Tv. Insomma, la responsabilità consiste nell'aver deciso di andare in guerra sapendo che ne sarebbe seguita una massiccia distruzione. Credo che in questo Khalil si sbagli, anche se devo onestamente ammettere che in verità molti irakeni condividono il suo punto di vista. Forse se fossi irakeno anch'io sarei di quell'opinione, perché vorrei liberarmi della mia nemesi, di Saddam Hussein. La mia risposta a questo è: l'America non ha interesse a .liberarvi della vostra nemesi. È meglio che un popolo si liberi da solo dei propri dittatori per poter iniziare una nuova epoca e costruire la democrazia con le proprie mani. Non è mai capitato, per quanto ne so, che la democrazia sia arrivata nella nostra regione grazie ali' intervento straniero. Abbiamo lo spettro di quasi due milioni di curdi che abbandonano l'Irak e di una grande instabilità in Kurdistan. Il rapporto dell'Onu a cui lei faceva riferimento parla di "condizioni quasi• apocalittiche" nel paese. Qualche tempofa a "Nightline ", parlando della questione curda, Ted Koppel ha deuo: "La crisi del Golfo ha preso una svolta allarmante e imprevedibile". Si tratta di ingenuità, di ignoranza, o di entrambe le cose? Per gentilezza penso che siano entrambe le cose. Non c'è assolutamente nessuna ragione per essere sorpresi, quando si scatena una guerra e si indebolisce un governo e c'è una popolazione insoddisfatta che è vissuta sotto un regime brutale ~ tra parentesi, da noi sostenuto per un decennio: prima di diventare il nuovo Hitler, Saddam Hussein è stato letteralmente il nostro eroe fino al luglio/agosto 1990. Quindi Koppel e gli altri, non avendo previsto tutto questo, dimostrano semplicemente di non capire l'impatto di una guerra e la.destabilizzazione che una guerra provoca e il suo potere distruttivo su un'intera società. Questa non è stata una guerra per scacciare Saddam Hussein. È stata una guerra per punire l'Ira)<.E l'ha fatto. La guerra ha violato per molti aspetti le Convenzioni di Ginevra. Saddam Hussein ha violato le Convenzioni di Ginevra, ma, se vogliamo essere onesti, l'ha fatto anche il nostro governo, il governo Usa, colpendo le risorse idriche di Baghdad e privando così la popolazione civile di acqua corrente. Questo è contrario e in aperta violazione delle Convenzioni di Ginevra.· Nessuno ne esce pulito. Soprattutto, si è dimostrata completamente assente la capacità analitica della gente, non solo tra i Koppel, ma anche tra coloro che hanno sostenuto la politica 22 della guerra. Inoltre la decisione a favore della guerra è stata presa senza che fosse chiamato in causa alcun esperto del Medio Oriente. Adesso li ascoltano. Esattamente come avvenne per l'Iran. Quando vivevo a Cambridge, c'era un uomo che era membro del Centro per gli Affari Internazionali ali' Uni versi tà di Harvard, Bili Pracht. Egli avvertì il Dipartimento di Stato che in quel paese stava accadendo qualcosa di importante. Non accettiamo che lo Scià venga à curarsi nel nostro paese: questo fatto ci danneggerà, diceva. Nessuno lo ascoltò. Invece di essere ricompensato per la sua lungimiranza, gli venne dato un congedo permanente di due anni, uno a Harvard e l'altro alla Tufts University, ed è finito professore da qualche parte. Non impariamo da quelli che sanno e sono alle nostre dipendenze (cioè alle dipendenze del governo), figuriamoci da quelli che non lo sono. Gli accademici e gli esperti medio-orientali che attualmente abbondano non sono mai stati consultati. SaddamHusseinovviamente ha premuto certi tasti e ha contato su certe risposte emotive in alcuni settori delle masse arabe, dal Marocco all '/rak. Adesso l 'Irak ha subito la tremenda' umiliazione del disastro militare, ultimo episodio di una serie di molti disastri inflitti agli eserciti arabi. Che tipo di impatto psicologico avranno la sconfitta e l'umiliazione di Saddam sulle masse arabe? Questa domanda mi è stata posta spesso da persone che mi intervistavano prima della guerra, tra il 2 agosto e il 16 gennaio: dove sono le masse arabe? La gente non ha reazioni meccaniche, non si muove premendo dei tasti. Questa guerra ha già mostrato di avere un impatto sulla cultura politica di un'intera generazione, come la guerra del 1948 ebbe un impatto non solo sui palestinesi ma su tutti gli arabi (per tutti i nazionalismi l'esperienza della catastrofe del fronte palestinese fu infatti fondamentale). Il 1967 pose almeno alla mia generazione la domanda sulla guerra e su ciò che essa scatena. Anche questa guerra ha già posto varie domande, su vari fronti. Non solo sulle connessioni e sui legami tra i vari conflitti regionali - Palestina, Libano, curdi, e il Golfo - ma anche sull'avere e il non avere, che è un elemento fondamentale nell'equazione. Ha posto anche la questione della necessità di una liberazione politica. Se leggiamo la letteratura prodotta sia dalle forze laiche che dal movimento islamico, il comun denominatore tra Ghannoushi in Tunisia e i leader islamici in Sudan o in Egitto o altrove è che tutti loro dicono che la condizione araba soffre della mancanza di democrazia, della mancanza di rispetto dei diritti umani dei cittadini da parte dei regimi autoritari che prevalgono nella maggioranza dei paesi, con l'eccezione, oggi, dell'Algeria e della Giordania, e del fatto che la comunità palestinese è un popolo senza stato e il loro stato è in realtà uno stato allo sbando. Queste sono le questioni sul tappeto, e mi lasci dire che queste saranno le questioni degli anni Novanta e del Duemila. Il rapporto tra la necessità di un accordo per la sicurezza del Medio Oriente, che ponga fine agli apparentemente interminabili conflitti regionali da cui l'area è stata afflitta fin dalla seconda guerra mondiale, e la necessità di creare delle condizioni di sviluppo che permettano alla regione nel suo complesso di progredire nella direzione di un Mercato Comune che porti con sé l'apertura delle frontiere come merciali e il fiorire e lo scambio delle idee, il movimento delle persone. Queste sono le idee discusse in tutto il mondo arabo oggi. Il problema sarà: l'America sosterrà il movimento pro-democrazia che c'era nel mondo arabo prima del 2 agosto 1990 come ha sostenuto quello in Europa orientale? Se viceversa continua una politica che riflette una prospettiva orient~lista, noi, secondo quella politica, non meritiamo la democrazia perché il nostro petrolio è più importante della nostra libertà. Questo è un conflitto che dovrà essere risolto. Questi saranno i terni dominanti nel dibattito sul Medio Oriente e sulle aspirazioni dei suoi popoli.
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