Sotto la tenda (foto Kazemi/Rea/Contrasto). sostenuto Sàddam come un uomo che sta per affogare e si aggrappa alla pagliuzza. È stato un atto di disperazione, un tentativo di sopravvivere, invece di pianificare o creare il futuro. Gli sforzi di Baker porteranno a qualcosa? Onestamente, non credo. Mi sembra di poter dire che c'è grande movimento, ma nessun passo avanti. Come una persona che corresse restando sempre sul posto. Non credo che l'amministrazione americana sia in grado di condurre una politica che comporta scelte difficili. La decisione difficile consisterebbe nel sospendere gli aiuti a Israele finché non accetta i principi espressi nei paragrafi introduttivi delle risoluzioni 242 e 338, che sanciscono l'inammissibilità dell'appropriazione di territori con la forza e quindi dell'intera equazione "terra= pace". Se l'amministrazione Bush non fa questo, non vedo spazio ·epossibilità per veri passi avanti; e non cr:edoche questa amministrazione rischierà di creare una spaccatura nel Congresso. Del resto questo è l'unico teina in grado di provocare un grave conflitto internazionale che non venga dibattuto e analizzato seriamente al Congresso. Cosa prevedo? Sostanzialmente nessuna discussione su questo temafino al 1993, perché adesso Bush ha bisogno di consolidare un piano di lavoro interno e preferirà non affrontare un problema di politica estera che richiede scelte difficili o un ultimatum. Potremmo anche aumentare gli aiuti a Israele, se loro si ritirassero dai territori' occupati, per agevolarli nel sistemare gli immigranti ebrei dall'Unione sovietica in territorio israeliano e non nei territori occupati dal 1967, che secondo le risoluzioni242 e 338 dell'Onu dovrebbero essere abbandonati. Quali saranno le condizioni dei palestinesi? Ora come ora non vedo nessun miglioramento. Perché ritiene che negli Usa vi sia così scarsa comprensione e simpatia per le condizioni dei palestinesi? · Stavo leggendo uno studio dell'Istituto di Comunicazioni dell'Università del Massachussetts a Arnherst; Ùno studio molto accurato (non sono persone che lavorano per il partito repubblicano o democratico cercando di far eleggere i loro uomini, sono seri professori di giornalismo e comunicazioni che cercano di fare un · lavoro serio) sui media e sul loro rapporto con ciò che sa l'opinione pubblica. I questionari sono stati presentati a un campione di popolazione della zona di Denver: la maggior parte delle persone intervistate non sapeva che i palestinesi vivono sotto un' occupazione; la maggior parte delle persone, inoltre, seguiva il presidente nel rifiutare un nesso tra la risoluzione dei grandi conflitti della regione, ma oltre il 70 per cento delle persone intervistate ignorava il significato del termine nesso o ciò a cui si riferiva. In parte questa è una conseguenza del modo in cui è stato impostato il discorso sul piano politico attraverso il riciclaggio dei principali media. Non si IL CONTESTO riesce a sentire una esposizione chiara di questo problema in nessun importante programma di questo paese. Nessuno pone la domanda: che differenza c'è tra un'occupazione e l'altra? Secondo la legge internazio_nalenon ce n'è nessuna. L'occupazione, essendoci una risoluzi.one dell'Onu che richiede che vi si ponga fine, dovrebbe essere conclusa. Il problema è se gli Stati Uniti usano il Consiglio di Sicurezza per creare le circostanze favorevoli all'attuazione di queste risoluzioni. Finora non credo che sia stato così. Ecco perché rimarremo in una situazione in cui la politica dice che abbiamo ancora bisogno di tempo, abbiamo bisogno di creare ciò che prima Shulz e adesso Baker definiscono ''.misure per costruire la fiducia", e nel frattempo la gente vive sotto l'occupazione. Se però si pone la domanda diretta se i palestinesi abbiano diritto a una patria, premettendo (come in quello studio) che vivono sotto un'occupazione, il 62 per cento delle rispos~e è sì. Se si spiega al pubblico questo, che i palestinesi vivono sotto un'occupazione e vogliono una patria, e si domanda: Lei sostiene il loro diritto a una patria? più del 60 per cento dice sì. Ma di solito questa equazione non è presentata nella sua interezza agli ascoltatori o ai lettori o in generale ai fruitori dei mass media attuali. · Ha notato che nella stessa indagine condotta a Denver che lei ha appena citato vi è una corrispondenza diretta tra la precisione della risposta e il numero di ore che l'intervistato passa davanti alla Tv, nel senso che più guarda la Tv meno una persona è in grado di rispondere correttamente alle domande sul Medio Oriente? Sì, si tratta di una-delle scoperte più importanti. Nella loro analisi gli autori affermano che più la gente guarda la Tv, meno è informata su ciò che sta guardando, sui problemi affrontati nei reportages. È una correlazione interessante. Bisogna coqiunque essere cauti con queste correlazioni, da un punto di vista accademico e di scienze sociali. È un fenomeno interessante, ma siamo sicuri che esista realmente un rapporto di causa ed effetto? È davvero la quantità di tempo passato davanti alla Tv a provocare questo livello di ignoranza? lo credo che sia un fattore che contribuisce, proprio a causa della brevità dei servizi e dei tentativi di condensare problemi complessi in piccoli assaggi, e perché la gente ha un' attenzione selettiva e intermittente, e ciò che ne trae è un quadro incompleto. È come leggere un libro una pagina sì e una no. Samir al-Khalil, un irakeno che ha riscosso grande attenzione in tutti questi mesi, ha scritto un articolo sulla "New York Review of Books" dell'll aprile 1991 intitolato Il futuro dell'Irak in cui afferma che dalla guerra del Golfo nascono due problemi morali: ."La qualità della violenza, superiore a quella necessaria per scacciare l'esercito irakeno dal Kuwait, e la sproporzione tra le quantità di violenza usata e i valori apparentemente sostenuti. Qualsiasi risposta si dia a questi problemi - e sono gli americani a doverla dare - una violenza come quella inflitta all'lrak porta con sé una responsabilità verso le vittime di tale violenza. " Ho letto questo articolo, come quasi tutto ciò che ha scritto Samir al-Khalil. Uno dei problemi che mi suscitano le sue affermazioni - ed egli è l'autore di La repubblica della paura, che ha venduto molte copie in tutto il mondo - è questo: era un sostenitore della guerra. lo ero contro l'eventualità di una guerra fin dal 2 agosto proprio perché sapevo e prevedevo la sproporzione tra i mezzi bellici. Sapevo - al contrario dell'opinione pubblica americana - e anche i politici sapevano che l'Irak era al massimo un paese del Terzo Mondo, che le sue capacità belliche lo avevano reso capace al massimo di combattere una guerra di otto anni che finiva in uno stallo, che in tutti gli otto anni di guerra l'aviazione irakena non aveva potuto abbattere un solo aereo iraniano. Questa era la minaccia che metteva in pericolo la sicurezza internazionale 21
RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==