IL CONTESTO luzionaria, volontaria dalla parte dei repubblicani. La lettera è stata pubblicata solo recentemente ed esprime l'orrore di una donna sensibile per le inutili stragi che accompagnarono quegli avvenimenti: ma ella aveva assistito a qqalcosa che le aveva lasciato ancora un'impressione più penosa della violenza brutale. Sarebbe difficile citare un testimone più puro e disinteressato e una vicenda più esemplare. "Non ho visto mai, lei scrive, né fra gli spagnoli; né fra i francesi venuti a combattere o a passeggiare (e questi ultimi erano spesso intellettuali tetri ed inoffensivi) non ho mai visto nessuno che esprimesse, almeno nell'intimità, repulsione o disgusto o soltanto disapprovazione per il sangue inutilmente versato. Voi parlate della paura. Sì, la paura ha avuto una parte in queste uccisioni; ma dov'ero io, non ho riscontrato che avesse la parte che voi le attribuite . .Uomini in apparenza coraggiosi durante un pranzo cameratesco raccontavano con un buon sorriso fratemo in che modo avevano ucciso dei preti odei "fascisti", parola assai larga di significato. Ha avuto la sensazione che quando le autorità temporali e spirituali hanno posto una categoria di esseri umani al di fuori di coloro la cui vita ha un prezzo, allora non c'è nulla di più naturale per l'uomo che uccidere costoro; quando si sa che si può uccidere senza rischiare né punizione, né biasimo, si uccide; o per lo meno si fanno dei sorrisi incoraggianti a coloro che uccidono. Se per caso si prova da principio un po' di disgusto, lo si nasconde e si soffoca, per la paura di dover mostrare che si manca di virilità. In ·questo c'è un impulso, un'ebbrezza alla quale è impossibile-resistere, senza una forza d'animo che devo per forza considerare eccezionale, poiché non l'ho trovata in nessuno. Ho trovato, al contrario, dei tranquilli francesi, che fino allora non disprezzavo, i quali non avrebbero avuto da sé i pensieri di andare a uccidere, ma che però si immergevano in quell'atmosfera impregnata di sangue con visibile piacere. Una simile atmosfera fa scomparire perfino lo scopo stesso della lotta. Poiché non si può formulare lo scopo se non riconducendolo al bene pubblico, al bene degli uomini; e gli uomini non hanno valore". E la lettera così concludeva: "Si parte come volontari, con idee di sacrificio e si cade in una guerra di mercenari, con.molte crudeltà in più". Naturalmente non mancheranno degli imbecilli i quali considereranno la lettera di Simone Weil disfattista; ma la disfatta l'aveya preceduta, come la malattia precede la diagnosi. In questo universale naufragio morale qual è il relitto a cui aggrapparsi per non affondare? Tra i pensieri della stessa Simone Weil, raccolti sotto il titolo L'ombra e la grazia si può leggere questa risposta indiretta, la cui validità sorpassa di gran lunga la politica: bisogna «essere sempre pronti a mutare di parte come la giustizia, questa fuggiasca dal campo dei vincitori». Certo siamo ormai lontani dalla situazione semplicissima in cui noi ci rivoltammo contro l'ambiente. familiare, passando dalla parte dei proletari. I proletari di questo mondo non sono più d'accordo tra di loro; essi non,incarnano più un mito, ad accompagnarli ovunque e comunque si rischia di finire ove meno si desidera. Ecco perché, alla scelta iniziale, ripeto, se ne impone una supplementare. Per giudicare gli uomini, non basta più osservare se hanno i calli alle mani, bisogna guardarli negli occhi. Lo sguardo di Caino è inconfondibile. Siamo dalla parte dei· condannati ai lavori forzati o dalla parte dei loro guardiani? È un dilemma al quale non si può più sfuggire, poiché gli stessi carnefici.ce lo impongono. "Siete con noi o contro di noi?" essi ci intimano. Bisogna chiamare pane il pane e vino il vino. Noi non intendiamo 14 sacrificare i poveri alla libertà, quest'è certo, né la libertà ai · poveri, o, più precisamente, ai burocrati usurpatori eretti sulle loro spalle. La fedeltà agli uomini perseguitati in ragione del loro amore della libertà e della giustizia impegna l'onore personale. Essa definisce meglio di qualsiasi astratta formula programmatica. A questi lumi di luna, mi pare, essa è la vera pietra di paragone. Il già detto dovrebbe bastare anche a chiarire perché l'umanesimo generico, letterario e filosofico, ci dica ormai ben poco. Forse ~orneràuna stagione che gli sia più propizia; ma, per ora, noi ci sentiamo ben lontani dalla serena armonia che esso raffigura. Ci pare che l'auto-compiacimento dell'uomo, in esso implicito, abbia, nei nostri tempi, scarse pezze d'appoggio, In realtà, l'uomo d'oggi è abbastanza mal ridotto. Un'immagine dell'uomo moderno che non voglia discostarsi troppo dall' originale ed evitare il verbalismo, non può non essere deforme, scissa, frammentaria, cioè, in unii parola tragica. Questa confessione d'umiltà non ci costa sforzo alcuno: noi non conosciamo la risposta dei quesiti supremi sulle origini e sul destino. A essere leali, queste domande tradizionali neppure ci assillano. Il rompicapo sulla priorità dell'uovo o della gallina ha cessato d'incuriosirci. Potrebbe darsi che la causa ne sia del tutto banale: il quesito esorbita dalla nostra responsabilità e, comunque si svolsero i fatti, non fu colpa nostra. Se ci capita.di passare notti insonni, non è causa di essi. Questa è dunque la caratteristica principale della nostra situazione: i problemi che ci accaparrano sono quelli della nostra esistenza, sono i problemi della nostra responsabilità d'uomini d'oggi. Soltanto entro questi limiti riusciamo giustamente a definirci. · Malgrado tutto, dunque, resta qualcosa? Sì, vi sono certezze irriducibili.-Queste certezze sono, nel mio sentimento, certezze .cristiane. Esse mi appaiono talmente murate nella realtà umana da identificarsi con essa. Negarle significa disintegrare l'uomo. Questo è troppo poco per costituire una professione di fede, ma abbastanza per una dichiarazione di fiducia. È una fiducia che si regge sopra qualcosa di più stabile e di più universale della semplice compassione di cui parla Albert Camus. Essa si regge in fin dei conti sulla certezza intima che noi uomini siamo esseri liberi e responsabili; si regge sulla certezza che l'uomo ha un assoluto bisognò di apertura alla realtà degli altri; si regge sulla certezza della comunicatività delle anime. La possibilità della comunicatività delle anime non è una prova irrefutabile della fraternità degli uomini? Questa certezza contiene anche una regola di vita. L'amore per gli oppressi nasce da ciò come un corollario che nessuna delusione storica può mettere in dubbio, non essendo amore d'interesse. La sua validità non dipende dal successo. Con queste certezze a fondamenta dell'esistenza, come rassegnarci a vedere soffocate le possibilità dell'uomo nelle creature più umili e-sfortunate? Come concepire una vita morale che sia sorda a questo impegno fondamentale? Ma ciò non dev'essere inteso, si capisce, in senso politico di potere o tirannia. Servirsi degli oppressi come di sgabello per il potere e poi tradirli è indubbiamente il più iniquo dei sacrilegi, poiché essi sono i più indifesi degli uomini. Francamente dobbiamo ammettere di non possedere alcuna panacea. Una panacea dei mali sociali non esiste. È già molto q~esta fiducia che consente di andare avanti. Noi siamo costretti a procedere sotto un ·cielo ideologico buio; l'antico e sereno cielo mediterraneo, popolato di lucenti costellazioni, è ora coperto; ma questa poca luce superstite, che aleggia attorno a noi, ci consente almeno di vedere dove posare i piedi per camminare.
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