Ebbene noi tutti ora sappiamo che, nel frattempo, assieme al mito della fatalità del progresso, è svanito anche quello della spontaneità liberatrice del proletariato. Le recenti esperienze dei sindacati nazisti, salazariani, peronisti, e in senso più largo, riformisti e corporativisti, hanno finito col persuadere di ciò anche quelli che erano riluttanti ad ammetterlo partendo dalla sola degenerazione totalitaria del comunismo. Ma ora, ripeto, il tramonto di quel mito costituisce un dato di fatto ovvio per chiunque · si prenda il fastidio di informarsi delle condizioni del mondo e non soltanto del proprio circondario. Non si tratta più soltanto di un sottile strato di lavoratori privilegiati (la cosiddetta "aristocrazia proletaria" dei paesi imperialisti, resa possibile dallo sfruttamento dei popoli coloniali); né delle categorie inferiori, ancora plebee, rimaste ai margini del processo produttivo (il cosiddetto Lumpemproletariat), ma di normali masse lavoratrici. Un esperimento come quello dell'Ocrana del 1905, oggi, non sarebbe fatalmente condannato all'insuccesso. L'avvenimento ha per i marxisti questo significato evidente: lo stesso modo di vivere non determina più riell' organizzazione operaia, un identico o affine modo di pensare. La coscienza di classe non è più un prodotto naturale della classe. Da quando si è creata questa situazione, da quando sui problemi fondamentali dell'uomo d'oggi non esiste più, su scala mondiale, un orientamento, un peso, una efficacia univoca del mondo operaio verso la libertà, ne è risultata una nuova dimensione, non solo della vita politica ma spirituale. Il mondo operaio si è spiritualmente frantumato. Esso è oggi polivalente. Il cavallo di Carlo Cattaneo ha buttato a terra il cavaliere ed è tornato allo stato brado. L'operaio può essere, come si è visto e si vede, un attivista delle cause più opposte: può essere camicia nera o partigiano, boia e vittima, o semplicemente, nei paesi ricchi e.tranquilli, un pigro filisteo senza ideali, assicurato contro la disoccupazione, contro la vecchiaia, contro le malattie, e anche contro il pericolo che le società di assicurazione falliscano. Ma, di preferenza , nei paesi poveri come il nostro, a causa della sua relativa semplicità, il proletario può essere preda degli opposti estremismi. Egli può essere ancora Cristo, il povero Cristo che prende su di sé i peccati degli altri e si sacrifica per loro; e può essere anche Barabba, un ignobile Barabba totalitario, calpestatore di tutto ciò che nell 'uomo è di più umano. Comunque, sulla scena, esso fa figura di. protagonista. Esso è il deus ex machina della politica moderna. È ingenuo illudersi di poter abolire questo fatto. Che sciocchezza, IL CONTESTO credere che una democrazia possa reggersi alla lunga, contro gli operai, mediante la polizia e i tribunali. Per la posizione che i lavoratori occupano nel processo produttivo, per il loro numero, per la loro maggior compattezza e omogeneità sociale, l'orientamento che in ogni paese essi assumono costituisce il fattore decisivo del destino politico. Non ve n'è di più potente: la libertà degli uomini rie dipende, e t il resto. Ma poiché non è più la classe, sibbene la coscienza che decide, allora siamo da capo. La scelta che ci si impone è duplice: la classe e nella classe: il proletariato e la libertà. In che stato sono ridotte le coscienze? Basta guardarsi attorno. Dalle classi alte il nichilismo si è propagato su tutta la superficie sociale. L'epidemia non ha risparmiato i quartieri popolari. Universale è oggi il culto nichilista della forza e del successo. Ed è nichilista questa generale virtù di identificare la Storia con i vittoriosi, l'ignobile viltà che porta tanti intellettuali verso il comunismo o verso McCarthy. I morti, i deboli han sempre torto? Mazzini ebbe torto? Trotzky ha avuto torto solo perché è stato battuto? Gobetti, Matteotti avevano torto? E Gramsci non cominciò ad avere ragione che dall'aprile del 1945? Non l'avrà più se diminuirà la forza del suo partito? E la paura della bomba all'idrogeno è la paura di una ragione superiore, di una ragione più convincente delle altre? Alla generale insicurezza personale, che nella nostra epo~a risulta dalla crisi economica e dall'invasione dello Stato e della politica in tutti i campi dell'attività umana, corrisponde la ricerca affannosa da parte dei singoli di una qualche sicurezza e protezione in uno dei partiti di massa il che non esclude çiffattoil doppio gioco con il partito avversario, possibile vincitore di domani. Se le critiche ideologiche e le campagne morali non scuotono la compattezza dei partiti di massa e lasciano indifferenti la maggior parte degli iscritti, ciò accade appunto per il motivo già detto: sono ben rari quelli che vi aderiscono per un'intima convinzione ideologica. E a questa disposizione opportunistica dei singoli, ossessionati dalla propria sicurezza e da quella della propria famiglia, corrisponde la tendenza usurpatrice degli enti collettivi. A dir vero, non saprei indicare quale collettività, oggi, possa considerarsi immune dalla lebbra del nichilismo. Si direbbe addirittura che la vita associata crei la temperie più favorevole alla incubazione dei suoi germi. Come è monotona la stupidità umana. Il meccanismo mortifero è sempre lo stesso:· ogni gruppo o istituzione sorge in difesa di un ideale, ma la strada facendo si identifica con esso e poi vi si sostituisce, ponendo al vertice di tutti i valori i propri interessi. "Chi nuoce al Partito è contro la Storia". I soci, per le ragioni dette e ripetute, non ne sono affatto incomodati; vi trovano anzi il loro tornaconto. I vantaggi non sono trascurabili poiché l'abdicazione a ogni responsabilità personale è completa. Se per dannata ipotesi a qualcuno sorge un dubbio, egli non ha che ·da rivolgere un quesito all'ufficio propaganda. (Nei casi delicati, la risposta gli sarà portata a domicilio). Quanti si avvedono che la tirannia dei mezzi sui fini è la morte naturale dei fini più nobili? E che la riduzione dell'uomo a strumento e materia prima, dà un carattere mistificatorio a qualsiasi pretesa di voler assicurare la felicità dell'uomo? · Non vi è immagine più malinconica di questi ex perseguitati che a loro volta diventano persecutori. Nori so se voi conoscete la terribile lettera che la Simone Weil scrisse a Bernanos, nella primavera del 1938, a proposito della guerra civile di Spagna. Alla veemente inquisitoria dello scrittore monarchico e cattolico contro gli eccessi della repressione franchista nell'isola di Maiorca, fa riscontro l'accorata confessione della giovane intellettuale rivo13
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