IL CONTESTO La vicenda di Albert Camus è diversa ma analoga. Rileggendo i suoi libri ognuno può confrontare facilmente il netto distacco che corre, da una parte, tra Le mythe de Sisyphe e il romanzo L'Etrànger e, dall'altra, tra il romanzo La peste e il libro di saggi L'homme révolté. Nel Mythe de Sisyphe Camus aveva posto la nozione del suicidio sulla soglia del libro per estrarne una risposta sul senso della vita. Le ragioni di vivere vi sono francamente definite derisorie. "Morire volontariamente, egli scriveva, suppone che si è riconosciuto, almeno istintivamente, il carattere derisorio di questa abitudine, l'assenza di ogni ragione seria di vivere, il carattere insensato di questa agitazione quotidiana e l'inutilità della sofferenza". Uccidersi significa "confessare semplicemente che non ne vale.la pena" e l'inutilità, l'assurdità della vita quotidiana. Il rimedio contro questo desolato senso dell'assurdo gli sarà offerto dalla compassione. "Il mondo in cui vivo mi ripugna, scriverà Camus nell' Homme révolté, ma mi sento solidale con gli uomini che vi soffrono". La vita dei personaggi del suo romanzo successivo La peste, non sarà più presenta~a come uno sviluppo impassibile di fatti arbitrari e privi di senso, ma è un incontro compassionevole di esseri che soffrono e si dibattono contro un comune destino. Uno dei personaggi del romanzo, il dpttor Rieux, incontrò ad un certo punto Grand, un piccolo impiegato del municipio abbandonato dalla moglie, e abbandonato senza rancore. "Egli guardava Grand da lontano, quasi incollato davanti a una vetrina piena di giocattoli di legno e grossolanamente scolpiti. Sulla faccia del vecchio impiegato le lagrime scorrevano senza interruzione. E quelle lagrime sconvolsero Rieux perché le capiva e le sentiva nel vuoto della propria gola. Egli si ricordava anche il fidanzamento del disgraziato, davanti a una bottega di Natale, e di Jeaime curva verso di lui per dirgli che era contenta. Dal fondo degli anni lontani, la fresca voce di Jeanne tornava verso Graòd, questo era certo. Rieux sapeva ciò che pensava in quel momento il vecchio uomo che piangeva, ed egli pensava come lui, che questo mondo senza amore era un mondo morto e che. giunge sempre in un'ora in cui ci si stanca delle prigioni, del lavoro e del coraggio, per reclamare il volto di un essere e il cuore meravigliato dalla tenerezza ... Quell'infelicità era la sua e ciò che gli rodeva il cuore in quel momento era l'immensa collera che viene all'uomo davanti al dolore che colpisce tutti gli uomini". Camus ci ha insegnato che anche la rivolta che nasce dalla sola pietà può ridare un senso alla vita. Il caso di André Malraux è più singolare, perché questo epigono francese di Nietzsche è passato dal comunismo al gollismo dando l'impressione di rimanere intimamente nietzschiano. La sua tumultuosa parabola pare, infatti, l'avventura di un "superuomo" alla ricerca di prove e occasioni per la propria esaltazione; sarebbe tuttavia ingiusto considerarla una vicenda esteriore, da eroe di cinema. Dalla Tentation del' Occident alla Psychologie de l'art non assistiamo soltanto a un cambiamento di scena. Nel 1926 Malraux annunziava il fallimento storico dell'Europa, "questo cimitero ove non dormono più che conquistatori morti". La rivolta comunista dei popoli di colore parve allora offrirgli una prospettiva adeguata; ma quanto ambigua fu la sua adesione. Il senso virile di una nuova fraternità si alternava, nelle pagine della Condition humaine, aÌl'ebbrezza dell'azione pura. Con tono più fermo la fraternità era invocata nel Temps du mépris come l'estrema risorsa contra la disperazione nichilista. Era una solidarietà attiva, consacrata dal sacrificio, culminante nell'atto del compagno sconosciuto che salvò il cupo comunista Kassner dalla tortura nazista. Ma il gregario aveva agito di sua iniziativa o per ordine dell'apparato? E la fraternità può fondarsi altrimenti che sulla libertà e responsabilità personale? "La servitù economica è 12 dura, dirà il vecchio Alvear nell' Espoir, ma se, per distruggerla, siamo costretti a rafforzare la servitù politica, o militare, o religiosa, o poliziesca, allora che m'importa?". Le rivoluzioni si riconoscono, come gli alberi, dai loro frutti, e non dallo sforzo che costano. Sono esempi isolati, lo so, e so che non bastano un paio di rondini per fare una primavera; essi però indicano una via di salvezza, una vera uscita di sicurezza dal nichilismo, che parte da una certa irriducibile forza recondita dell'uomo. Senonché ora a me urge di riannodare alla conversa,zione il filo che più mi interessa e che per un momento è rimasto in sospeso. Nel suo nocciolo essenziale, la particolare situazione spirituale, alla quale mi riferisco, si presenta affine a quelle ora ricordate; essa risulta però da un itinerario diverso e ne trae un significato proprio. · Al punto di partenza di quell'itinerario non si ritrova quasi mai la meditazione filosofica o la persuasione scientifica, ma il più sovente una rivolta istintiva contro l'ambiente familiare e sociale. Una certa domenica cessammo dall'andare a messa, non perché i dogmi, all'improvviso ci apparissero falsi, ma perché la gente che vi assisteva ci annoiava, e invece ci attirava la compagnia di quelli che ne rimanevano lontani. La rivolta di un giovane contro la tradizione è un fatto frequente in tutti i tempi e in tutti i paesi, e raramente essa si presenta spoglia di ambiguità. Secondo le circostanze, la rivolta può condurre alla legione straniera, alla delinquenza comune, ali' arte del cinema, come anche in un convento, o all'estremismo politico. Ciò che definì la nostra rivolta fu la scelta dei compagni. Fuori della chiesa de.I nostro borgo c'erano i cafoni. Non era la loro psicologia che ci attirava, ma la. loro convinzione. Una volta consumata la scelta, come l'esperienza insegna, lo sviluppo della vicenda di solito perde ogni originalità. Senza opporre resistenza, anzi col fervore ben conosciuto dei neofiti, si accettano il linguaggio, i simboli, le norme organizzative, la disciplina, la tattica, il programma, la dottrina del partito dei nuovi compagqi. Non c'è da sorprendersi se le nozioni del catechismo e quelle dei libri di scuola non costituiscano, nella maggior parte dei casi, alcun serio ostacolo alla fervida accettazione della nuova ortodossia. Non si pone a dir vero neppure il bisogno di confutarli, poiché i dogmi del catechismo e le nozioni dei manuali scolastici fanno parte del mondo che si è abbandonato. Essi non sono né veri, riéfalsi; sono "borghesi", foglie secche. La scelta è emotiva, a-logica. Che poi la nuova ortodossia, così globalmente accettata, rivendichi pèr sovrammercato il carattere di scientifica e di oggettiva, non è la minore delle incongruenze su cui invano voi cerchereste di attirare il senso critico del convertito. Questa è la regola. Ho letto un certo numero di biografie di anarchici, di socialisti, di comunisti, di fascisti, e sono più o meno al corrente delle circostanze che condussero ali' attivismo politico un certo numero di miei conoscenti: non ho ancora trovato un'eccezione allo schema ora descritto. E se eccezioni esistono, devono essere rare. In altre parole, ci dichiariamo sovversivi o conservatòri per motivi che portiamo in noi, sovente in termini poco chiari. Prima di scegliere, siamo scelti, a nostra insaputa. E la nuova ideologia, di solito, la si apprende più tardi, nelle scuole del partito, al quale, intanto, si è già aderito per slancio di fede. In tutto simile, d'altronde e come giusto, si svolge il pr.ocesso inverso, quello eventuale dell'abiura. L'ideologia allora vi subisce lo stesso brusco trattamento già riservato al catechismo e alle patrie storie. Per dirla in termini antiquati, insomma, anche sulla via della resipiscenza la mente è rimorchiata dal cuore, o, secondo la salute dell'interessato, dallo stomaco.
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