tuono che ti esplode nel ventre come un pugno, sfondando anche l'ultimo diaframma della ragione. La battaglia è uno stato di transe da cui si riemerge, dopo ogni esplosione, come da una piccola morte. A un tratto tutto tace, ma non c'è tempo di far domande. I soldati .ci fanno segno di seguirli. Abbandoniamo la postazione insieme a loro, con la consapevolezza che se, prima, per i serbi eravamo una troupe, ora siamo un unico mucchio di bersagli. Si corre in colonna lungo filari carichi di frutta che nessuno raccoglierà ma che nessuno tocca rispettando una normalità tramontata, forse, per anni. Rubò una ciliegia ma non faccio in tempo a mangiarla. All'improvviso una raffica partita da chissà dove ci stende a terra senz'altra protezione che l'erba del prato e sette soldati che, sdraiati intorno a noi, sparano all'impazzata contro.un edificio che ci prende di mira duecento metri più in là. Passano istanti eterni, dilatati dal tuono dei mitra e dal panico che ci brucia il cervello. Voqemmo essere vermi, piante o sassi pur di sottrarre questi nostri corpi ingombranti allo sguardo d'acciaio che ci sta cercando. Poi la sparatoria cessa. Ci rialziamo, riprendiamo a correre, a fuggire con le nostre gambe che si muovono ancora. Ogni trenta metri, un soldato ci ferma a coprirci con lunghe raffiche di mitra. Quando ci infiliamo in un androne fresco e ombroso pensiamo "è finita, ce l'abbiamo fatta", e invece no. Appena usciamo in strada - la stessa strada che avevamo fatto ali' andata - un'ultima raffica inaspettata come un fulmine, come una tardivamaledizione, grandina a cinque metri da noi. La telecamera si rompe sul selcato, strisciamo in casa calpestandoci gli uni sugli altri e scopriamo che non esiste nessuna prima linea, che tutto il paese è un trappola mortale, che la guerra in città ha una geometria variabile come un destino. Alla sera, tornati a Zagabria, il telegiornale ci dirà che a Tenja, quel giorno, il destino ha portato con sé trenta persone. IL CONTESTO Il riemerso. le ·mmaginidi comododell'Italia GadLerner Non è affatto escluso che fra qualche mese in Italia, dopo le elezioni, tutti i principali partiti si ritrovino insieme al governo, lasciando all'opposizione solo le Leghe e alcune forze marginali della sinistra. Sono talmente tanti e gravi i fattori di crisi che il sistema si trova a dover fronteggiare-dal conflitto fra i vari poteri dello Stato al collasso incombente della finanza pubblica, fino all'oscura minaccia al benessere degli italiani derivante dalla catastrofe dell'Est europeo - che la tendenza dei partiti politici a rappattumarsi fra loro potrebbe risultarne v_ini:;ente. Le vecchie ipotesi di unità nazionale tornano in auge, favorite dalla trasformazione del Pci in Pds e dal suo sfaldamento. Ma favorite soprattutto dall'assenza di significative alternative programmatiche sui fatti che contano. Quale partito ha proposto qualcosa di diverso da una gigantesca operazione di polizia, di fronte all'assalto degli albanesi alle nostre coste? E quale partito se la sentirebbe di propugnare senza uno stretto accordo con gli altri quelle politiche di estremo rigore che si rendono necessarie? Il clima psicologico da cittadella del benessere assediata, suscitato dalla guerra civile in Jugoslavia, dal tentato golpe in Urss e dal disastro alJ:>anesea, sua volta determina le condizioni di una specie di alleanza o, se si vuole, complicità, fra l'istinto egoistico prevalente nella società civile e l'istinto di autoconservazione dei partiti. Forse solo la paura del!' enorme spazio che tale scenario regalerebbe alle Leghe, oltre che la consuetudine agli scontri di potere, possono ostacolare questo itinerario che ormai appare il più agevole a molti notabili della Dc, del Psi e del Pds, ciascuno dei quali vi trova le sue brave convenienze. Naturalmente questo scenario non allude affatto alla pacificazione della società italiana, e anzi lascerebbe spazio al moltiplicarsi di sempre nuovi e aspri conflitti, benché assai differenti per modalità e connotazione di classe da quelli cui eravamo abituati. Ma certo ne risulterebbe ulteriormente accentuato il distanziarsi fra le forme della politica e i contenuti dell'opposizione. Prendiamo per esempio l'episodio più allucinante dell'estate italiana, cioè la reclusione disumana dei profughi albanesi e il loro successivo rimpatrio manu militari: nessun movimento di natura solidaristica, di fronte a un evento di quelle dimensioni, avrebbe avuto la possibilità di confrontarsi con le istituzioni sulla base di proposte ragionevoli, compatibili con il sistema. Poiché qualsiasi linea alternativa allude a una radicale riforma delle relazioni internazionali e della stessa vita degli italiani. In questo senso, e per chissà quanto tempo, dobbiamo prevedere un'opposizione dalle caratteristiche sempre più apolitiche o, se si vuole, antipolitiche. Mi sembra interessante rilevare le conseguenze che l'accentuata dissociazione fra eventi politici e fenomeni sociali produce sugli stessi studiosi della realtà italiana che vivono, io credo, un momento di autentico imbarazzo. Penso a Giuseppe De Rita, prèsidente del Cnel, e ai sociologi del Censis, innanzitutto. Attivi e fantasiosi come sempre. J;>erfino ttimisti come sempre. Ma forse per la prima volta un po' preoccupati di prendere le distanze dall'immagine che tanti mass-media apologeti del successo, a torto o a ragione, gli hanno cucito addosso: quella di dispensatori di assoluzioni a buon mercato, di parroci altamente comprensivi di fronte ai vizi del proprio gregge di anime. 9
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