Linea d'ombra - anno IX - numero 63 - settembre 1991

compere e il solito traffico. Ma non è così. La perestrojka ha formato un primo nucleo, significativo, di tessuto e di organiz~azione democratica: e lo si vede in piazza. I carri armati lasciano fare. La situazione è insolitamente statica e il golpe sembra morbido, gli· sviluppi incerti. Elhena è una studentessa di biologia di 23 anni. L'abbiamo conosciuta qualche sera prima. Le parliamo al telefono. Ha paura e se ne sta a casa: "Eltsin e Gorbaciov hanno sbagliato a non fare fronte comune prima. Ma l'errore più grande l'ha fatto Gorbaciov. Doveva rischiare di più e abbandonare i conservatori." Fino a qualche giorno fa Elhena stava a Porto Rose, in Istria. Ha visto da vicino la guerra jugoslava. E proprio noi italiani alla Convenzione pacifista avevamo sostenuto con forza, con i russi e gli jugoslavi, l'iniziativa di una carovana per la pace dal 25 al 29 settembre prossimo, da Trieste a Sarajevo. Si intuisce confusione tra i militari. I movimenti dei carri sembrano lenti. Si fermano, · ripartono. La Piazza Rossa viene chiusa solo alle 11e la circolazione è comunque assicurata nella città. La democrazia in Urss è ancora giovane; gruppi nonviolenti ed ecologisti nascono e muoiono velocemente e non sempre hanno le idee· chiare. Alla Convenzione un obiettore russo caldeggiava l'esercito di professionisti, mentre si è formato perfino un gruppo di lavoro "autogestito" di ucraini sulla "prova scientifica dell'esistenza di Dio"! Molte volte circolano anche idee pericolose. Lo conferma Karl, un volontario tedesco del Servizio civile internazionale di ritorno dalla Lituania (sono un centinaio i nonviolenti del Sci nei paesi baltici al lavoro nei campi per la pace): "Ci sono gruppi nazionalisti sciovinisti, con un'ideologia razzista e reazionaria. D'altronde questo è il risultato dello stalinismo." Ogni tanto ci giungono voci confuse e contraddittorie su ciò èhe sta accadendo. Gorbaciov è morto, Gorbaèiov è d'accordo cbn i golpistiJ Eltsin è stato arrestato. Sappiamo qualcosa solo dagli scarni comunicati della televisione. Il canale Tv di Eltsin è stato oscurato e non abbiamo fonti di informazioni alternative. Dalla Piazza Rossa non si passa più, e numerose be.rline nere con le tendine tirate infilano il portone del Cremlino. Le centinaia di pacifisti europei ancora a Mosca si mischiano ai manifestanti russi: 1 un primo segnale della solidarietà internazionale. "Eppure", dice Yuri, studente di chimica che sogna di venire in Italia "sono convinto che hanno fatto il golpe perché sentivano di avere i giorni contati. Non ce la faranno, però, a portarlo a termine." È il 19 agosto. Il 21 agosto di 23 anni fa finiva la Primavera di Praga, ma non sembra la stessa cosa. Non c'è rabbia impotente, questa volta, l'amara consapevolezza di non poter fare niente. È invece una rabbia determinata quella dei russi dalle giubbe chiare; non si rassegnano. "Ce la possiamo fare!", sembrano dire a noi, nonviolenti increduli dell'Ovest, ma soprattutto a se stessi. Forse è casuale - starà sudando - ma il pacifista· Artyoni. si toglie la maglietta "Chanel" e indossa una t-shirt che gli abbiamo regalato come ricordo: "Breaking free!" è lo slogan che vi campeggia. Dietro a noi, un carrista appoggiato alla torretta del suo tank osserva senza capire. Molti di noi •vorrebbero rimanere, ma dobbiamo andare all'aeroporto. Artyom ci saluta con un sorriso che è una smorfia appena accennata e le spalle curve. Il tassì cerca di farci uscire dal traffico impazzito del centro. Incontriamo le facce tristi dei soldati e quelle scure dei manifestanti: sembra di essere sull'orlo di scontri violenti che nessuno vorrebbe. Speriamo ancora in un capovolgimento democratico, nonviolento, ma mentre ci approssimiamo ali' aeroporto una trentina di blindati spunta da una stradina e incolonnandosi verso il centro ci fa nuovamente sprofondare nel1' angoscia. "Potranno anche vincere", dice il tassista gu'ardandoci ·dallo specchietto, "ma non durerà. Io vengo dalla campagna, noi contadini sappiamo cos'è la pazienza. Non possono fermare la storia:" Labattaglia di Tenia. Appuntiili un giornalista Mimmo Lombezzi IL CONTESTO "C'è una postazione dei nostri a due chilometri da qui, là strada è sotto tiro dei cecchini serbi. Se volete andare laggiù lo farete a vostro rischio." Il "driver" della nostra, truppa ascolta e prende tempo, chiacchiera con i soldati, fuma. E croato, l'auto è targata Zagabria, e soprattutto è la prima volta che lavora in una zona di· guerra. Quando alla fine partiamo sgommando a zigzag verso la prima linea, tutti ridono a crepapelle, per le scosse e per la paura. La città l'abbiamo vista ali' alba sugli schermi della Tv croata, dove un paesaggio senza indizi, fatto di tetti rossi e di· campi di fieno, crepitava di colpi rabbiosi, come un concerto amplificato dal caldo estivo. Mentre corriamo massacrando il cambib su quei due lunghissimi chilometri di asfalto pensiamo a quella cartolina illustrata piena di scoppi, una battaglia senza immagini che prometteva il massimo dei rischi con il minimo dei risultati, come la maggior parte delle guerriglie urbane. Ma tant'è, ormai siamo in ballo. All'ingresso della città fantasma, quando nell'auto è sceso il silenzio, freniamo davanti a un muro invisibile: un soldato dai gesti frenetici ci grida di buttarci a destra, in un campo di girasoli vangato dalle jeep e dalle ambulanze. Superiamo un'auto dai cristalli esplosi e un camion naufragato nel fosso per un unico proiettile che ha stampato sul vetro una ragnatela di sangue. Dietro un muro di mattori rossi le guardie croate si riposano dall'uragano della battaglia fumando e tacendo. Per terra delle.macchie scure finiscono di asciugarsi vicino a un ferito. L'uomo che ha lasciato tutto il suo sangue sul selciato lo hanno già portato via. Lo vedremo alla sera, nei frammenti del telegiornale, rannicchiato su una barella, morto quasi con pudore a un'età in cui la guerra sembra lontana come un film. Igor, che parla italiano e comanda il reparto, ci mostra due fori nei vetri dell' ambulanza che la crocero.ssa non è servita a proteggere. È uno dei molti segni che questa è Ùrìaguerra diversa, che non si tratta di lottare ma di massacrarsi. I soldati che siedono intorno a noi e che combattono dalle prime ore della notte, sanno che se verranno catturati entreranno in un labirinto di orrore che va oltre la guerra. Sanno che non stanno combattendo contro avversari della stessa età, che parlano la stessa lingua e che fino a sei mesi fa inseguivano gli stessi miraggi dell'occidente, ma contro i fantasmi di Ùn passato sepolto cinquant'anni fa insieme a 350.000 serbi uccisi in massa dai fascisti croati. La paura dei serbi e il nazionalismo dei croati hanno risvegliato quei fantasmi che ora chiedono sangue e armano le mani che a Borovo Selo, a Dalje, a Kozibrod hanno trasformato i prigionieri croati in mucchi di carne sfigurata, scavando col.coltello le nuove frontiere dell'irredentismo serbo. In mezzo alla strada un tank dipinto di blu sbuffa disperatamente per uscire da un fossato. Il pilota dev'essere nervoso, deve sapere che in quella posizione i cannoni élell'esercito federale schierato con i serbi possono incenerirlo con un solo colpo. All'improvviso i soldati gettano le sigarette, si allineano contro il muro, e poi a un segnale si lanciano piegati in due oltre lo spigolo della casa, verso il centro del paese. La strada principale è una prospettiva di case deserte, sfiorate dalle traiettorie di cecchini invisibili. Ombre velocissime attraversano gli orti con corse spezzate. Un uomo scavalca una siepe proteggendosi la nuca con il coperchio di un tombino. Un altro pedala indifferente come Monsieur Hulot disdegnando gli appelli dei vicini. "In questo punto", ci dice un vecchio,"due giorni fa hanno ucciso il capo della polizia". Un proiettile venuto dal nulla, in una giornata vuota e calma, gli ha attraversato la strada e il cervello. Probabilmente l'uomo che lo ha inquadrato nel mirino lo conosceva. "Tre mesi fa eravamo amici", mi dice un ragazzo di 7

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