SETTEMBRE1991· NUMERO63 I mensile di storie, immagini, discussioni e spettacolo L'ESTATE D L'91: URSS,JUGOSLAVIA, IT LIA, I CURDI OLTREIl COMUNISMO: SILONE/YICTOR·SERGE/ H RLING SANCHEZ FERLOSIO: ARMIEMIRAGGI PONTARA: GANDHIEGLIEBREI SCRITTORI PALESTINESI: 'AZZAM/HABIBI/JABRA PRIGOGINE: Il CERVELLO PENSA? DAGLIUSA: JOCARSON/ DAWSON/ Il CINEMA ADAE PIERO GOBETTI SPED.IN ABB. POSTALEGR. 111-70%- VIAGAFFURIO 4. 20124 MILANO LIRE8.000
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un settembre pieno di vita davvero unici. In più, settembre ti offre un'altra occasione per entrare nel paesaggio che vedi qui sopra: la grande mostra del Guercino che si terrà proprio in quei giorni. Per il momento, ritaglia il coupon e conservalo per consegnarlo all'Ufficio Turistico della località appenninica che hai scelto per il tuo soggiorno: riceverai una stampa del "Paesaggio con un concerto" insieme al programma delle principali iniziative nell'Appennino nel mese di settembre. NOME_____________ _ COGNOME____________ _ VIA ____________ N. __ CITTÀ __________ C.A.P. __
NOVITA' AUTUNNO 1991 Bohumil Hrabal L'uragano di novembre "Queste storie entusiasmano e coinvolgono: rievocazioni, confessioni, confidenze totali all'amica americana Aprilina, scritte nel clima tumultuoso e fervente di quel 1989, anno miracoloso per la · Cecoslovacchia come per gli altri paesi dell'Est europeo: un uomo di settantacinque anni, col carico d'una vita vissuta fortemente e intensamente, che ha 'raggiunto lo stato d'inquietudine finale', apre a scroscio la sua anima in una splendida febbre creativa che dà alla sua prosa toni e bagliori apocalittici e boreali, che apre orizzonti smisurati e comunica al lettore una tensione che dura dalla prima all'ultima pagina". (Mario Picchi, La Repubblica) pp. 220, L. 25.000 edizionie/o Mordecai Richler Scegli il tuo nemico Richler è uno degli autori più importanti della letteratura canadese. Questo suo romanzo, il primo a.essere tradotto in italiano, è del 1957 ed è ormai un classico in Canada. Il mondo dei registi, sceneggiatori e produttori nordamericani rifugiatisi a Londra negli anni Cinquanta per sfuggire alla caccia alle streghe maccartista, è teatro di drammi politici e personali e furiosi regolamenti di conti. Un romanzo feroce e sarcastico che non risparmia nessuno e che anticipa straordinariamente il vuoto politic_oe morale della nostra epoca. pp. 240, L. 27.000 Ul.rich Peltzer Peccati di pigrizia Un giallo avvincente. In una Berlino, santuario delle "avanguardie", notturna e decadente, due ex compagni di scuola, un disk-jockej cocainomane e uno yuppie di serie B, tentano la "svolta" di un furto di quadri e finiscono coinvolti in un giro troppo grosso di droga e di spionaggio internazionale. pp. 250, L. 26,000 Marlen Haushofer Un cielo senza fine Dopo il successo della Parete, questo è il secondo romanzo dell'autrice tedesca che viene tradotto in italiano, e conferma la Haushofer come una delle più memorabili scrittrici del dopoguerra. In questa storia di una bambina, Marlen Haushofer ricostruisce l'intensità, l'assolutezza di sentimenti infantili con abbaglian- . te vividezza. Paure notturne, gelosie, tradimenti, rapporti con la mamma e il papà, con gli adulti e con gli animali: tutte le esperienze formative vengono raccontate con insuperabile profondità. pp. 170, L. 24.000 fT TASCABILI e,o Bohumil Hrabal Ho servito il re d'Inghilterra Il capolavoro comico, tragico ed erotico del massimo autore ceco. pp. 240, L. 14.000 Ivan Turgenev Racconti fantastici Una scelta di racconti del mistero del grande narratore russo. pp. 160, L. 10.000 Ai lettori di "Linea d'ombra" offriamo in omaggio il volumetto tascabile Dall'est per ogni acquisto di almeno 70.000 lire . Edizioni E/0 - Via Camozzi 1 00195 Roma - Tel. 06-3722829
• José Alcina Franch Miti e letterature precolombiani Voi. I: GLI AZTECHI Un'ampia raccolta antologica di poesia e di prosa azteca, giunge fino a noi che nel '92 ci apprestiamo a celebrare il. cinquecentenario della conquista devastatrice. Con un'introduzione storica dell'a_utore, uno dei massimi esperti di civiltà latinoamericane. (volume rilegato con sovracoperta, pp. 204 - L. 30.000) Gianni Zaffagnini LIBRO DEL CALENDARIO MAYA 1992 L'autore.ha ricostruito, attraverso le fonti più autorevoli, le simbologie e i segni che il popolo maya fino al 1492 utilizzava per misurare il proprio tempo. Un calendario-poster e un libro per .conoscere un intero mondo culturale. (calendario-poster e volume - L. 24.000) ARMADILLA 1992 Agendt delle Americhe In occasione delle celebrazioni del Quinto Centenario della conquista dell'America, un'agenda per conoscere giorno dopo giorno la storia e la civiltà dei popoli indigenì, i problemi di oggi e le prospettive del futuro. (rilegata àm segnalibro, pp. 484 - L. 20.000) Collana ALJ'RICIBI Una nuova e originale collana di libretti rilegati, eleganti ed economici sui prodotti alimentari provenienti dal Sud del mondo per educare i consumatori e per favorire·la diffusione di un commercio più equo e solidale tra Nord e Sud del mondo. Voi. I: Viaggio intorno al cibo Un'originale storia del cibo, _unsuggestivo viaggio gastronomico nei vari paesi del mondo per capire le ragioni dei problemi della fame e del sottosviluppo. Completa l'opera un glossario degli ingredienti disponibili in Italia e-un elenco dei punti vendita, di ristoro e di informazione. (pp. 96 - L. 10.000) Voi. II: Ricette dal Sud del mondo Un ricco ricettario dei principali piatti tipici dei continenti extraeuropei: cucina araba, indiana, cinese, sudestasiatica, oceanica, africana, centroamericana, andina, brasiliana . . (pp. 136 - L. 12.000) .
Gruppo redazionale: Alfonso Berardinelli, Gianfranco Bettin, Grazia Cherchi, Marcello Flores, Goffredo Fofi (direttore), Piergiorgio Giacchè, Gad Lerner, Luigi Manconi, Santina Mobiglia, Lia Sacerdote (direzione editoriale), Marino Sinibaldi. Collaboratori: Adelina Aletti, Chiara Allegra, Enrico Alleva, Giancarlo Ascari, Fabrizio Bagatti, Laura Balbo, Mario Barenghi, Alessandro Baricco, Stefano Benni, Andrea Berrini, Giorgio Bert, Paolo Bertinetti, Francesco Binni, Lanfranco Binni, Luigi Bobbio, Norberto_Bobbio, Giacomo Borella, Franco Brioschi, Marisa Bulgheroni, Isabella Camera d'Afflitto, Gianni Canova, Marisa Caramella, Cesare Cases, Roberto Cazzola, Francesco Ciafaloni, Luca Clerici, Pino Corrias, Vincenzo Consolo, Vincenzo Cottinelli, Alberto Cristofori, Mario Cuminetti, Peppo Delconte, Roberto Delera, Stefano De Matteis, Piera Detassis, Carlo Donolo, Riccardo Duranti, Saverio Esposito, Bruno Falcetto, Giorgio Ferrari, Maria Ferretti, Ernesto Franco, Guido Franzinetti, Giancarlo Gaeta, Alberto Gallas, Nicola Gallerano, Fabio Gambaro, Roberto Gatti, Filippo Gentiloni, Gabriella Giannachi, Giovanni Giovannetti, Paolo Giovannetti, Giovanni Giudici, Bianca Guidetti Serra; Giovanni Jervis, Roberto Koch, Filippo La Porta, Stefano Levi della Torre, Mimmo Lombezzi, Marcello Lorrai, Maria Maderna, Maria Teresa Manda.lari, Danilo Manera, Bruno Mari, Edoarda Masi, Roberta Mazzanti, Roberto Menin, Paolo Mereghetti, Diego Mormorio, Maria Nadotti, Antonello Negri, Grazia Neri, Luisa Orelli, Maria Teresa Orsi, Pia Pera, Silvio Perrella, Cesare Pianciola, Giovanni Pillonca, Bruno Pischedda, · Oreste Pivetta, Pietro Polito, Giuliano Pontara, Giuseppe Pontremoli, Sandro Portelli, Fabrizia Ramondino, Michele Ranchetti, Marco Revelli, Marco Restelli, Alessandra Riccio, Fabio Rodriguez Amaya, Paolo Rosa, Roberto Rossi, Gian Enrico Rusconi, Nanni Salio, Paolo Scarnecchia, Domenico Scarpa, Maria Schiavo, Franco Serra, Joaqufn Sokolowicz, Piero Spila, Paola Splendore, Antonella Tarpino, Fabio Terragni, Alessandro Triulzi, Gianni Turchetta, Federico Varese, Bruno Ventavoli, Emanuele Vin.assa de Regny, Tullio Vinay, Itala Vivan, Gianni Volpi'. · Progetto grafico: Andrea Rauch/Graphiti Ricerche redazionali: Alberto Cristofori, Natalia Dekonte Pubblicità: Miriam Corradi Esteri: Pinuccia Ferrari Produzione: Emanuela Re Amministrazione: Rina Disanza Hanno contribuito alla preparazione di questo numero: Vladi, Jesus Amaya, Federico Carnpbell, il Centro Studi Piero Gobettidi Torino, La Televisione di Lugano, gli uffici stampa delle case editrici Einaudie Moretti & Vitali, la casa editrice Open Magazine (NewJersey). Editore: Linea d'ombra Edizioni srl Via Gaffurio 4 - 20124 Milano Te!. 02/6691132. Fax: 6691299 Distrib. edicole Messaggerie Periodici SpA aderente A.D.N. - Vja Famagosta 75 - Milano Te!. 02/8467545-8464950 Distrib. librerie PDE - Viale Manfredo Fanti 91 50137 Firenze - Te!. 055/587242 Stampa Litouric sas - Via Puccini 6 Buccinasco (MI) -Te!. 02/4473146 Pellicole: Grafotitoli - Sesto S. Giovanni (Ml) LINEA D'OMBRA - Mensile di storie, immagini, ·discussioni, Iscritta al tribunale di Milano in data 18.5.87 al n. 393. Direttore responsabile: Goffredo Fofi Sped. Abb. Post. Gruppo 111/70% Numero 63 - Lire 8.000 I manoscritti non vengono restituiti. Si pubblicano poesie solo su richiesia. Dei testi di cui non siamo stati in grado di rintracciare gli aventi diritto, ci dichiariamo pronti a ottemperare agli obblighi relativi. LINEDA'OMBRA anno/X. settembre1991 numero 63 ILCONTIST 4 Goffredo Fofi 5 Luigi Manconi 6 Giulio Marcon 7 Mimmo Lombezzi 9 Gad Lerner 10 Ignazio Sifone 15 NubarHovsepian 23 Giuliano Pontara 29 Marcello Flores CONFRONTI 33 Pier Paolo Pasolini 34 Marisa Caramella 35 Francesco Binni 39 Roberto Menin 59 lo Carson STORI 46 Rafael Sànchez Ferlosio 66 Fielding Dawson 79 Gustàw Herling 81 Vietar Serge SCIENZA 42 73 llya Prigogine SAGGI Rafael Sànçhez Ferlosio Ada e Piero Gobetti L'estate del '91 La fine del comunismo · Dov'è la sinistra, dov'è la destra Il giorno del golpe, a Mosca Jugoslavia. La battaglia di Tenja If riemerso. Le immagini di comodo dell'Italia La scelta dei compagni La questione curda e l'Irak · incontro con David Bersamian Gandhi e gli ebrei. Una polemica Aldo Moro e la storia d'Italia Poesia per Marilyn L'America di Sandro Portelli Rischiose abitudini. Film recenti dagli Usa Thomas Brasch e i suoi padrini Storie che non ho ancora raccontato preceduto da Mi chiamano narratrice a cura di Annalucia Accardo e Anna Scannavini Il recidivo Krazy Kat. Due racconti Il marchio. L'ultimo racconto di Kolyma Terremoti (San Juan Parangaricùtiro) Il cervello pensa? Armi e miraggi Lettere a cura di Ersilia Alessandrone Perona PIR UNASTORIADILLALITTIRATURPAALESTINISI 47 51 55 57 Jabra Ibrahim/ Jabra Jabra Ibrahim Jabra Hemil Habibi Samita 'Azzam L'esperienza dello sradicamento Incontro con Luisa Orelli Tre storie a cura di Isabella Camera d'Afflitto L'esule palestinese come scrittore La porta di Mandelbaum Zagharid La copertma di questo numero .è di Guido Pigni. Questa rivista è stampata su carta riciclata. Abbonam(!nto annuale (11 numeri): ITALIA- L. 75,000, a mezzo assegno bancario o c/c. postale n. 54140207 intestato a Linea d'ombra. ESTERO L. 90.000.
IL CONTESTO . L'estate del '91 la fine del comunismo Goffredo Fofi Dovunque un partito comunista è andato al potere-e, almeno in Europa, lo ha fatto sempre con i mezzi più brutali della politica, dal colpo di stato all'interno di una rivoluzione di cui era piccola componente all'invasione militare di un altro stato in periodi di rivolgimenti internazionali - ha portato nuova oppressione poliziesca, potere e corruzione di apparati e ceti burocratici; inquisizione e controllo delle coscienze, e insomma dittatura, con i suoi correlati di ingiustizia e di morte. Non possiamo dunque che esultare per la fine del comunismo in Urss e nelle nazioni che in quell'unione sono state a forza raggruppate. Le contraddizioni che si aprono saranno comunque migliori delle non-contraddizioni apparenti del dominio di una casta di funzionari e militari, di un partito che ha preteso alla totalità e alla totale identificazione di sé con lo stato. Nei paesi dove il partito comunista, per quanto forte, non è andato al potere, come è accaduto in Italia, si è assistito a una mescolanza di atteggiamenti che sono passati sotto il nome di comunismo: spinta sincera alla emancipazione delle masse, difesa transitoria - ma non sempre ambigua - delle forme e dei valori della democrazia, tatticismo e politica delle alleanze, gestione parziale (certo non "socialista") del potere in zone non marginali del paese e spartizione del potere dentro enti e apparati nazionali · ("clientelismo"), formazione di una "borghesia comunista" e di una intellighenzia di marcata falsa coscienza e spesso particolarmente arrogante, supinità per lunghi anni al partito-guida (anche economica) e comunque l'accettazione del modello del partitotutto, con particolare settarismo nei confronti di tutto quanto avesse, fuori di esso, ideali sociali e politici potenzialmente concorrenziali, ideali di autonomia delle coscienze e di potere dal basso non totalizzanti e non totalitari. · Ma si è assistito anche, sempre in Italia, all'adesione a questo partito di vasti strati sociali, che vedevano in esso lo strumento del proprio riscatto, e attribuivano a esso ideali di libertà, di giustizia, di eguaglianza. Come in molte parti del mondo, milioni di persone hanno visto nella bandiera comunista la loro bandiera, hanno chiamato la loro utopia comunismo e hanno lottato per una idea di comunismo che non si è mai, in alcun luogo, inverata. La loro storia fa parte dell'immensa e tragica storia della lotta della parte migliore dell'umanità per una società giusta, ma ciò nonostante non abbiamo alèun dubbio sul fatto che la struttura e l'ideologia dei partiti comunisti, compreso quello italiano, fossero "totalitari". Questo, in Italia, anche nelle frange di esso apparentemente più aperte, rimaste sempre nell'orbita mentale del partito, della sua ideologia, e che furono inerti di fronte all'evidenza del terrore sovietico e di esso, dunque, moralmente complici, forse non meno di quanto furono complici del nazismo quei tedeschi che dicevano di "non sapere" (i funzionari e gli intellettuali del Pci hanno sempre saputo e hanno sempre avuto a disposizione i mezzi per sapere). Inerti e complici, perfino di fronte alla tragedia del '56. Non abbiamo simpatia o pietà per costoro, mentre ne abbiamo - ed è ovvio - per tutti coloro che, alla base e dal basso, hanno creduto negli ideali che la bandiera rossa simboleggiava. Di certi resti del passato bisognerebbe tuttavia non più curarsi, se non si è degli storici, abbandonando ai salti mortali dei loro ideologismi gli uni, al loro trasformismo o ai loro ennesimi tradimenti gli altri. 4 Così come dei resti di quell'intellighenzia iperdialettica e iperidealistica (dicendosi marxista e materialista) che ha definito comunismo un'astrazione che non ha mai corrisposto,- e quell'intellighenzia lo sapeva e lo sa - ad alcuna realtà. Non ci siamo mai identificati con loro, né mai li abbiamo considerati come "la vera sinistra". Anche quando abbiamo, sbagliando, creduto possibile contribuire a edificare, sulle ceneri del movimento, una "casa comune", foss' anche transitoria, per la sinistra rimasta. Ci siamo invece identificati e continuiamo a identificarci con un'altra storia: quella delle minoranze libertarie, socialiste, radicali, ereticali, religiose perfino, che hanno creduto fortemente al rapporto inscindibile tra fini e mezzi, all'organizzazione e al controllo dal basso, alla immediata realizzazione di comportamenti morali diversi, al rifiuto delle doppie e triple verità. La colpa maggiore dei comunisti, di cui ancor oggi essi non sembrano rendersi conto, almeno in Italia, è sempre stata quella che Capitini definì del dopoguerra · come "'la pretesa di voler lavare con l'acqua sporca". Quelle minoranze hanno perduto? Certo. Ma guardate cosa ha prodotto la vittoria degli altri, dei furbi. Ma forse è soprattutto da ridiscutere oggi il concetto di "avanguardia politica" come gruppo di militanti professionisti della politica tesi alla presa del potere, poiché il modo in cui una minoranza motivata e persuasa può diventare "avanguardia" e farsi tatticamente manipolatrice di basi, opportunistica cavalcatrice del tempo o trafficatrice di alleanze per la sua scalata, resta uno -dei pericoli costanti in ogni gruppo di intervento sociale. Come dimostrano a iosa gruppi italiani recenti, dai radicali ai verdi. L'Unione sovietica ha visto in queste settimane e vedrà ancora rivolgimenti profondissimi. Li seguiremo con attenzione e con passione, ma ce.rtamente senza mai rimpiangere cosa l'Unione sovietica è stata per più di settant'anni. E che Eltsin possa anche farci paura, nulla toglie alle responsabilità del Pcus. Se all'Est e dovunque vince il capitalismo vuol semplicemente dire, cercando di assumere il punto di vista di chi è stato soggetto al comunismo, che il comunismo si è rivelato una truffa pari o maggiore di quella rappresentata dal capitalismo e ha prodotto sistemi sociali ancora più oppressivi di quelli sviluppatisi nel capitalismo. Nel nostro piccolo, continueremo dunque a lottare secondo quei principi dei quali non abbiamo trovato rispondenza tra i dirigenti e intellettuali comunisti di ieri e ne troviamo assai poca anche tra i dirigenti e intellettuali del Pds (forse perché figli incerti, mediocri e mal cresciuti dei primi). Contro il capitalismo, dunque, per tutto ciò che esso continua concretamente a rappresentare nel senso dell'ingiustizia sociale e, ancor più, della sperequazione tra mondo ricco e Sud del mondo, e nel senso della distruzione della natura e del futuro. Ma anche contro ogni oppressione militare o religiosa o economica dovunque essa si manifesti. E contro ogni falsa coscienza e contro ogni prnposta totalitaria, sia essa laica o religiosa, in stati ricchi o in stati poveri, dovunque essa si manifesti. Fedeli in questo, peraltro, a quell' "internazionalismo proletario" che è stato alla base della storia dei movimenti socialisti e che furono tanto le socialdemocrazie che il comunismo sovietico a rinnegare, con tragiche conseguenze. Il comunismo è morto - e in questo noi vediamo il risultato, della sua vocazione autoritaria, del suo "assoluto" del partito e dello stato". Altri nemici restano in giro altrettanto pericolosi, spesso più subdoli. Non mancherà il da fare.L'orrore del comunismo là dove esso ha realizzato il suo potere ha portato alla sua fine e ha lasciato libero campo ali' orrore del capitalismo. Anche questo noi dobbiamo imputargli.
Dov'e la sinistra, dov'è la destra Luigi Manconi Mi è difficile capire perché non si debba vivere come un grandioso evento di liberazione quella che è stata definita la "conclusione della storia del comunismo" .. Se per centinaia di milioni di diseredati quanto è successo rappresenta - non solo simbolicamente ma nella materialità della vita quotidiana- la fine dell'oppressione e una speranza di libertà, cosa dovrebbe motivare un atteggiamento diverso in quanti si vogliono a sinistra? Se per centinaia di milioni di uomini comunismo, in tutte le sue versioni, ha significato terrore e fame, oppressione e miseria, nessuno - nessun intellettuale e nessun militante, nessun filosofo e nessun rocchettaro - può permettersi di dire: no, quello non è comunismo, quello è capita_lismo di stato, è socialismo autoritario, è socialimperialismo. E comunque altro, altrove, altrimenti. C'è in queste affermazioni, una tentazione intellettualistica definibile sociologicamente e culturalmente, come piccolo-borghese; e c'è un riflesso conservatore che si nutre di vezzi accademici. Anche se, evidentemente, non c'è solo questo nel richiamo al comunismo. Il comunismo - oltre che terrore e miseria - è stato, per milioni di uomini, idea e ideologia di emancipazione e di riscatto; ma si è trasformato nel suo contrario per gran parte di quegli stessi uomini che lo hanno voluto. Oggi, d'altra parte, come idea e èome ideologia, sempre meno il comunismo è capace di mobilitare le grandi masse. Attualmente, altre "grandi narrazioni" - le religioni e i nazionalismi, l'antirazzismo e, appunto, l'anticomunismo - muovono i passi e i •sentimenti, i gesti e le ribellioni di milioni di individui. Questo pone in una condizione di definitiva perifericità l'ideologia comunista, ridotta a strumento di legittimazione di residui regimi dispotici e a rituale di perpetuazione di alcuni circoli accademici occidentali. I più accorti tra questi ultimi sono indotti, ora, a un ulteriore slittamento nella definizione del "proprio" comunismo; non più ricerca di nuovi modelli, che sostituiscano quelli obsoleti o "traditi", ma negazione di qualunque modello. Il comunismo come, propriamente, utopia. Il comunismo come ciò che non è: questo suo non essere consentirebbe la critica- l'unica critica radicale posssibile - di ciò che è. Ovvero dell'esistente. Ecco, questa è- sembra essere-1 'ultima risorsa di chi vuole ancora dirsi comunista. Il rifiuto dello stato di cose presente richiederebbe una strumentazione analitica e critica - quella fornita dal marxismo -e un programma e una strategia finalizzati alla conquista degli "ideali dell'uguaglianza". Ma perché mai tali "ideali di uguaglianza" devono dirsi comu- . nisti, quando tutta intera la storia del comunismo rappresenta la negazione di quegli stessi ideali? Forse perché molti comunisti hanno soggettivamente perseguito quella aspirazione all'uguaglianza? Qui emerge, a mio avviso, una grave ambiguità: alimentata, tra l'altro, dall'idea che i militanti del Partito comunista dell'Unione Sovietica degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta siano stati come i militanti del Partito comunista italiano degli stessi decenni: i difensori della democrazia e degli strati sociali deboli; mentre in Urss si trattava - in gran parte - dei membri di un apparato di controllo e delazione, di autoriproduzione parassitaria, di perpetuazione di privilegi di ceto e di classe. Perché "regalare" a questo apparato gli "ideali di uguaglianza"? Perché consentire tuttora l'identificazione tra comunismo e.volontà di emancipazione, di giustizia, di autodeterminazione? E perché oggi - dopo il tentato golpe - la liquidazione del Pcus dovrebbe agevolare il "darwinismo sociale"? Non è stato proprio il Pcus a incentivare, nel corso di settanta anni, le più inique discriminazioni di classe? Con ogni probabilità Boris Eltsin e i suoi economisti non le impediranIL CONTESTO no né le ridurranno, e l'unica risorsa degli strati deboli della Russia (e di qualunque paese del mondo) sarà, se ci sarà, lo sviluppo della dialettica democratica e del conflitto sociale: pluralità di attori, sindacati e vertenze, scioperi e negoziati. · Questo significa accettare l'esistente così com'è? Al contrario: è pro~rio la proiezione ide~logico-utopica in un altrove a impedire di ag1re per la trasformazione concreta dell'esistente. E, invece, agire è possibile; ed è più agevole - più efficace e produttivo - farlo in assenza di ideologie. Si arriva, cosi, al punto cruciale. Perché la sinistra non sopporta di essere e sentirsi orfana ovvero priva delle consolazioni offerte dalle religioni e dalle id~ologie? Conclusa "la storia del comunismo", non è certo la fine della storia. L~ ~om_an_dei ~i~ertàe, an~or prima, di sopravvivenza da parte di ffilhardi di uoffilmrestano disattese; e restano largamente disattese le domande di giustizia sociale. Il comunismo non le ha soddisfatte spesso le ha mortificate. Il capitalismo e la democrazia liberale si rivelano incapaci di offrire soluzioni adeguate; ma costituiscono l'unico terreno su cui elaborare e sperimentare nuovi programmi e nuove strategie. E l'unico terreno su cui è possibile una lotta aperta tra destra e sinistra. · lo non credo affatto che l'unica sinistra degna sia quella liberal ,(troppo connotato ideologicamente e troppo compromesso storicamente anche questo termine), ma so per certo che la sinistra comunista non è sinistra. È destra. · È destra perché propriamente conservatrice. Sotto almeno tre aspetti che provo qui a illustrare. . Conservatriceperché ideologico-commemorativa. Piuttosto che farsi critica di tutti i sistemi ideologici e di tutti gli apparati di trasmissione delle culture :--perché complici dei rapporti di potere o, come si è dimostrato, inadeguati a contrastarli efficacemente - la sinistra comunista ha voluto farsi custode di una memoria e sede di perpetuazione di una ideologia: quella vecchio-comunista; tale memoria e tale ideologia (che hanno avuto, in altre fasi, una fondamentale funzione critica, conflittuale, antagonista) ora svolgono esclusivamente un ruolo di autorassicurazione e di autoriproduzione della propria identità. L'autoriproduzione delFoto di Roberto Koch/Contrasto. 5
IL CONTESTO · l'identità non garantisce di per sé dalla omologazione: può, al limite, preservare dalla solitudine. Conservatrice perché ostile alle novità: a quelle sociali e a quelle politico-istituzionali. La sinistra còmunista, in questo quindicennio, cosa ha capito e sostenuto dei nuovi movimenti sociali e delle nuove forme di soggettività? delle tendenze di opinioni e delle aggregazione della società civile? dei cambiamenti nelle · mentalità, negli stili di vita, nelle domande collettive? Le ha riconosciute (e non sempre), quelle novità, solo quando esprimevano un'evidente radicalità: altrimenti le ha trattate come sovrastrutturali, culturalistiche, soggettivistiche. Cosa ha capito e sostenuto del femminismo e del volontariato, degli ambientalismi e dei neo-corporativismi, dei movimenti per i diritti civili e dei ragioilalismi, delle mìnoranze sessuali e degli antiproibizionismi, degli organismi autonomi nelle fabbriche e nei servizi, del Tribunale del malato e, se vogliamo, della Rete? E. delle forme inedite di conflittualità operaia? E anche: cosa ha capito e sostenuto del referendum sulla preferenza unica e - prima, ben prima - di quello sul finanziamento pubblico dei partiti? Ma per non restare in un ambito provinciale, cosa ha capito e sostenuto della "traduzione europea" -in Inghilterra, in Germania, in Spagria-di tutto ciò? Conservatrice perché autoritaria. La sinistra comunista non è stata sinistra libertaria e molto spesso si è ritrovata fortemente intollerante. Non è un cas_oche su questo - prima ancora che sul golpe in Urss - si sia aperto un conflitto all'interno di Rifondazione comunista (e che un dirigente dell'organizzazione abbia avuto un ruolo tanto attivo nel "processo 7 Aprile"). E, d'altra parte, non un solo esponente di Rifondazione - con l'eccezione di Nichi Vendola - si è illustrato per le sue posizioni garantiste: al contrario. La cosa vale, ovviamente, per molti, moltissimi, che non sono in Rifondazione, ma nel Pds. In questo caso, però, la sorpresa è minore. Dunque, l'autoritarismo è - a ben vedere - una delle anime costitutive della sinistra comunista: sia che si manifesti come identificazione in una idea potente di partito-Stato e , al limite, di partito-esercito (e, perché no?, di partito-golpe, se e quando necessario); sia che si esprima nella condanna del "ribellismo piccoloborghese" e , dunque, nel disprezzo per chi lo avrebbe alimentato (i terroristj detenuti); sia che riduca il conflitto all'ambito del modo di produzione e l'azione politica alla sfera pubblica; sia che creda nel ruolo "pedagogico" dt:l diritto e nella possibilità di piegarlo a funzioni etiche (controi nemici di destra e di sinistra). Detto questo, è evidente che sinistra comunista è una formula generica. Di essa fanno parte alcune personalità che hanno svolto, in questi anni, un ruolo diverso da quello sopra descritto: penso a P,ietro Ingrao e a Rossana Rossanda. Il mio ragionamento non si riferisce a loro: si riferisce, piuttosto, a un'area e al suo "senso comune". Vi si ritrovano dentro i marxisti accademici e contemplativi (quelli che "in Urss non c'è mai stato il comunismo, trattasi di capitalismo di Stato": e poi chiamano la polizia se gli studenti occupano la facoltà. È successo, è successo ... ); e vi si ritrovano significativi settori del Pds, Rifondazione comunista, parte di Democrazia proletaria; circoli intellettuali che fanno capo a riviste e a giornali, singoli intellettuali, numerosi militanti, molti dirigenti di partito e di sindacato. Non ho dubbi che quejl'area Ila svolto anche un suo ruolo . positivo: ha" tenuto" il terreno del conflitto operaio e dell'autonomia del lavoro salariato; ma proprio per la sua attitudine conservatrice (e per l'incapacità di vedere le novità che attraversavano "il resto del mondo") ne ha fatto una mera trincea di resistenza. In conclusione: perché non dovremmo "sentirci euforici" per lo scioglimento del Pcus? Per essere euforici - ha scritto Massimo Parizzi in una lettera al "Manifesto" del 30/8/91-, non c'è alcu-n bisogno di essere "anticomunisti da sempre, ex comunisti confor6 tati nel loro liquidazionismo, liberal convinti che il nostro è il migliore dei mondi possibile. Non è soltanto l'onorevole Altissimo ad aver passato la vita a sognare quel che finalmente succede. Anch'io, anche voi, l'abbiamo sognato". Aggiungo io: non riconoscere i propri sogni quando-succede così raramente - si realizzano, è ancora peggio che non essere capaci di sognare. · Impressioni moscovite. Diario dal golpe · Giulio Marcon Quando ci svegliamo la mattina del golpe a Mosca, lunedì 19 agosto, aU'ex ostello del Komsomol nella Ulitza Kibalchicha i gestori della struttura hanno l'orecchio attaccato a una radiolina che gracchia secche frasi in russo. Subito dopo, musica classica. Ancora un comunicato. I volti sono scuri e tesi. Cerchiamo di prendere un tassì: dobbiamo andare alla Piazza Rossa. Ne fermiamo uno, poi un secondo, ma quando diciamo dove dobbiamo recarci, scattano via e non ci guardano in faccia. Non capiamo cosa stia succedendo. Ce lo spiega venti minuti dopo Artyom, pacifista del Soviet Peace Committee, che ci viene in aiuto: "C'è stato il golpe! Hanno detto .che Gorbaciov è malato e una troika ha preso il suo posto!". L'inglese di Artyorn è approssimativo e ci illudiamo di non aver capito bene. Quando riusciamo ad arrivare in centro cadono le ultime speranze: ecco i carri armati, la gente che li circonda e che manifesta, gli amici russi pacifisti con gli occhi lucidi e che _chiamanoalla mobilitazione. Eppure fino a poche ore prima avevamo discusso appassionatamente con loro alla European Nuclear Disarmament Convention, la riunione annuale dei pacifisti europei e americani che quèst' anno si è tenuta a Mosca. Un incontro caratterizzato dalla presenza.di più di 40 gruppi pacifisti, nonviolenti, ecologisti delle 15 repubbliche dell'Urss. Mentre guardiamo gli spauriti carristi della Piazza Rossa, ci vengono in mente le parole strazianti delle inadri dei soldati . (numerosissime alla Convenzione) vittime durante il servizio militare. 6.000 ragazzi muoiono ogni anno in Urss sotto la naja: incidenti, esercitazioni_,violenze dei superiori. Queste madri coraggiose hanno costruito un comitato per abolire la leva e introtlurre il servizio alternativo. "Ma questa volta i soldati non spareranno sul popolo", dice una di loro, agitandosi in direzione di un capitano del!' Armata Rossa che controlla i soldati. Da un'altra parte un soldato estrae il caricatore della sua mitraglietta e Io fa vedere alla - gente: "Non lo userò contro di voi!" grida. Ci aggiriamo sperduti, mentre degli ignari turisti americani vanno in girò per i Gum (i grandi magazzini che si affacciano sul Cremlino) e comprano balalaike e samovar. La gente sciama verso _I'Arbat. C'è una manifestazione contro il golpe. Gorbaciov è in Crimea, maEltsin resiste. Da megafoni e amplificatori improvvisati stridono appelli alla mobilitazione. Alla manifestazione incontriamo Kramar, un obiettore "storico" dell'Urss (uno dei primi, è stato in carcere e adesso è membro del Consiglio federativo del Partito _ radicale "transnazionalizzato"). Dice:'"La colpa è di Gorbaciov, si è circondato dì fascisti". Artyom non è d'accordo e gli ribatte citando i meriti del leader sovietico. Ma le polemiche durano poco. Siamo confusi nella folla che manifesta: la gente si stringe intorno alla nuova democrazia sovietica. Infatti sta qui la novità. La prima impressione, percorrendo i grandi viali verso il centro, era stata quella di una Mosca addormentata e stordita: gente a far
compere e il solito traffico. Ma non è così. La perestrojka ha formato un primo nucleo, significativo, di tessuto e di organiz~azione democratica: e lo si vede in piazza. I carri armati lasciano fare. La situazione è insolitamente statica e il golpe sembra morbido, gli· sviluppi incerti. Elhena è una studentessa di biologia di 23 anni. L'abbiamo conosciuta qualche sera prima. Le parliamo al telefono. Ha paura e se ne sta a casa: "Eltsin e Gorbaciov hanno sbagliato a non fare fronte comune prima. Ma l'errore più grande l'ha fatto Gorbaciov. Doveva rischiare di più e abbandonare i conservatori." Fino a qualche giorno fa Elhena stava a Porto Rose, in Istria. Ha visto da vicino la guerra jugoslava. E proprio noi italiani alla Convenzione pacifista avevamo sostenuto con forza, con i russi e gli jugoslavi, l'iniziativa di una carovana per la pace dal 25 al 29 settembre prossimo, da Trieste a Sarajevo. Si intuisce confusione tra i militari. I movimenti dei carri sembrano lenti. Si fermano, · ripartono. La Piazza Rossa viene chiusa solo alle 11e la circolazione è comunque assicurata nella città. La democrazia in Urss è ancora giovane; gruppi nonviolenti ed ecologisti nascono e muoiono velocemente e non sempre hanno le idee· chiare. Alla Convenzione un obiettore russo caldeggiava l'esercito di professionisti, mentre si è formato perfino un gruppo di lavoro "autogestito" di ucraini sulla "prova scientifica dell'esistenza di Dio"! Molte volte circolano anche idee pericolose. Lo conferma Karl, un volontario tedesco del Servizio civile internazionale di ritorno dalla Lituania (sono un centinaio i nonviolenti del Sci nei paesi baltici al lavoro nei campi per la pace): "Ci sono gruppi nazionalisti sciovinisti, con un'ideologia razzista e reazionaria. D'altronde questo è il risultato dello stalinismo." Ogni tanto ci giungono voci confuse e contraddittorie su ciò èhe sta accadendo. Gorbaciov è morto, Gorbaèiov è d'accordo cbn i golpistiJ Eltsin è stato arrestato. Sappiamo qualcosa solo dagli scarni comunicati della televisione. Il canale Tv di Eltsin è stato oscurato e non abbiamo fonti di informazioni alternative. Dalla Piazza Rossa non si passa più, e numerose be.rline nere con le tendine tirate infilano il portone del Cremlino. Le centinaia di pacifisti europei ancora a Mosca si mischiano ai manifestanti russi: 1 un primo segnale della solidarietà internazionale. "Eppure", dice Yuri, studente di chimica che sogna di venire in Italia "sono convinto che hanno fatto il golpe perché sentivano di avere i giorni contati. Non ce la faranno, però, a portarlo a termine." È il 19 agosto. Il 21 agosto di 23 anni fa finiva la Primavera di Praga, ma non sembra la stessa cosa. Non c'è rabbia impotente, questa volta, l'amara consapevolezza di non poter fare niente. È invece una rabbia determinata quella dei russi dalle giubbe chiare; non si rassegnano. "Ce la possiamo fare!", sembrano dire a noi, nonviolenti increduli dell'Ovest, ma soprattutto a se stessi. Forse è casuale - starà sudando - ma il pacifista· Artyoni. si toglie la maglietta "Chanel" e indossa una t-shirt che gli abbiamo regalato come ricordo: "Breaking free!" è lo slogan che vi campeggia. Dietro a noi, un carrista appoggiato alla torretta del suo tank osserva senza capire. Molti di noi •vorrebbero rimanere, ma dobbiamo andare all'aeroporto. Artyom ci saluta con un sorriso che è una smorfia appena accennata e le spalle curve. Il tassì cerca di farci uscire dal traffico impazzito del centro. Incontriamo le facce tristi dei soldati e quelle scure dei manifestanti: sembra di essere sull'orlo di scontri violenti che nessuno vorrebbe. Speriamo ancora in un capovolgimento democratico, nonviolento, ma mentre ci approssimiamo ali' aeroporto una trentina di blindati spunta da una stradina e incolonnandosi verso il centro ci fa nuovamente sprofondare nel1' angoscia. "Potranno anche vincere", dice il tassista gu'ardandoci ·dallo specchietto, "ma non durerà. Io vengo dalla campagna, noi contadini sappiamo cos'è la pazienza. Non possono fermare la storia:" Labattaglia di Tenia. Appuntiili un giornalista Mimmo Lombezzi IL CONTESTO "C'è una postazione dei nostri a due chilometri da qui, là strada è sotto tiro dei cecchini serbi. Se volete andare laggiù lo farete a vostro rischio." Il "driver" della nostra, truppa ascolta e prende tempo, chiacchiera con i soldati, fuma. E croato, l'auto è targata Zagabria, e soprattutto è la prima volta che lavora in una zona di· guerra. Quando alla fine partiamo sgommando a zigzag verso la prima linea, tutti ridono a crepapelle, per le scosse e per la paura. La città l'abbiamo vista ali' alba sugli schermi della Tv croata, dove un paesaggio senza indizi, fatto di tetti rossi e di· campi di fieno, crepitava di colpi rabbiosi, come un concerto amplificato dal caldo estivo. Mentre corriamo massacrando il cambib su quei due lunghissimi chilometri di asfalto pensiamo a quella cartolina illustrata piena di scoppi, una battaglia senza immagini che prometteva il massimo dei rischi con il minimo dei risultati, come la maggior parte delle guerriglie urbane. Ma tant'è, ormai siamo in ballo. All'ingresso della città fantasma, quando nell'auto è sceso il silenzio, freniamo davanti a un muro invisibile: un soldato dai gesti frenetici ci grida di buttarci a destra, in un campo di girasoli vangato dalle jeep e dalle ambulanze. Superiamo un'auto dai cristalli esplosi e un camion naufragato nel fosso per un unico proiettile che ha stampato sul vetro una ragnatela di sangue. Dietro un muro di mattori rossi le guardie croate si riposano dall'uragano della battaglia fumando e tacendo. Per terra delle.macchie scure finiscono di asciugarsi vicino a un ferito. L'uomo che ha lasciato tutto il suo sangue sul selciato lo hanno già portato via. Lo vedremo alla sera, nei frammenti del telegiornale, rannicchiato su una barella, morto quasi con pudore a un'età in cui la guerra sembra lontana come un film. Igor, che parla italiano e comanda il reparto, ci mostra due fori nei vetri dell' ambulanza che la crocero.ssa non è servita a proteggere. È uno dei molti segni che questa è Ùrìaguerra diversa, che non si tratta di lottare ma di massacrarsi. I soldati che siedono intorno a noi e che combattono dalle prime ore della notte, sanno che se verranno catturati entreranno in un labirinto di orrore che va oltre la guerra. Sanno che non stanno combattendo contro avversari della stessa età, che parlano la stessa lingua e che fino a sei mesi fa inseguivano gli stessi miraggi dell'occidente, ma contro i fantasmi di Ùn passato sepolto cinquant'anni fa insieme a 350.000 serbi uccisi in massa dai fascisti croati. La paura dei serbi e il nazionalismo dei croati hanno risvegliato quei fantasmi che ora chiedono sangue e armano le mani che a Borovo Selo, a Dalje, a Kozibrod hanno trasformato i prigionieri croati in mucchi di carne sfigurata, scavando col.coltello le nuove frontiere dell'irredentismo serbo. In mezzo alla strada un tank dipinto di blu sbuffa disperatamente per uscire da un fossato. Il pilota dev'essere nervoso, deve sapere che in quella posizione i cannoni élell'esercito federale schierato con i serbi possono incenerirlo con un solo colpo. All'improvviso i soldati gettano le sigarette, si allineano contro il muro, e poi a un segnale si lanciano piegati in due oltre lo spigolo della casa, verso il centro del paese. La strada principale è una prospettiva di case deserte, sfiorate dalle traiettorie di cecchini invisibili. Ombre velocissime attraversano gli orti con corse spezzate. Un uomo scavalca una siepe proteggendosi la nuca con il coperchio di un tombino. Un altro pedala indifferente come Monsieur Hulot disdegnando gli appelli dei vicini. "In questo punto", ci dice un vecchio,"due giorni fa hanno ucciso il capo della polizia". Un proiettile venuto dal nulla, in una giornata vuota e calma, gli ha attraversato la strada e il cervello. Probabilmente l'uomo che lo ha inquadrato nel mirino lo conosceva. "Tre mesi fa eravamo amici", mi dice un ragazzo di 7
IL CONTESTO vent'anni, "abitavo a 400 metri da qui. I miei vicini erano serbi, vivevamo insieme e ora ci sparano addosso". Gli chiedo una spiegazione ma anche in questa come in altre guerre civili le ragioni del massacro si perdono in una nebbia di ipotesi che solo le pallottole riescono a tagliare, centrando sempre senza esitare i loro bersagli. Alle nostre spalle altri ragazzi della stessa età, con la pistola al fianco, ammucchiano sul balcone bottiglie di coca-cola riempite di benzina. Altri ancora bevono birra guardando attoniti un varietà degli anni '40 alla televisione. Sullo schermo, un illusionista .sega in due una ballerina e poi si inchina al pubblico. Come a Beirut la televisione riempie le pause della guerra, anche se qui i programmi sono meno vari e divertenti. Pochi giorni dopo, non lontano da · Tenja, quaranta croati presi in ostaggio dai serbi verranno condotti per le strade del paese, denudati e sgozzati uno dopo l'altro. Corriamo avanti, da un portone all'altro, verso il cuore vuoto della città, una ragnatela di more di cui nessuno - nemmeno i combattenti - conosce le coordinate. È qui che il tempo si è fermato. La battaglia potrebbe durare da un anno o da poche ore. Attraversiamo case che sembrano appena evacuate, con le porte aperte e le pantofole sull'ingresso, o le sedie per chiacchierare come si usa in campagna. Vorremmo bussare, parlare con qualcuno, ma all'improvviso ci assale una strana inquietudine: da quanto tempo mancano gli abitanti? Forse da mesi, forse da ieri. Sul tempo si è imposta la relatività della guerra. A un tratto ci sentiamo come astronauti precipitati all'indietro in un mondo familiare ma lontano come l'infanzia, perduto senza rimedio. Un mondo incantato che non possiamo svegliare. Le vetrine delle botteghe, firmate dai kalashnikov, si ostinano a esporre biscotti, caffè e giocattoli, relitti innocenti di quella che una volta era la vita normale. In mezzo alla strada un furgone da droghiere sbarra il passaggio, trapanato dai colpi mentre dozzine di bossoli di tutti i calibri marcano ogni zona d'ombra che offra un qualche riparo al sole della guerra. 8 La città sembra risucchiata verso il suo centro di fuoco, verso la prima linea invisibile dove tutti danno la caccia a tutti, dove Nessuno uccide Nessuno. Il caldo aumenta e abbiamo sete, ormai non c'è più nessuno che si affaccia alle finestre per gridarci di stare attenti, ormai sentiamo che lo spazio può franare da un momento all'altro nel terrore fisico della bttaglia. ~'Terroristi cetnici! Snaipers! Come on, come on!" ci gridano all'improvviso dall'altra parte della strada. Capiamo in un lampo e corriamo a perdifiato. Capiamo che il silenzio delle case dietro di noi non era un vero vuoto, che l'aria freme delle traiettorie dei fucili serbi, che proiettili serbi, da un istante ali' altro taglieranno lo spazio tra noi e i croati che ci gridano di raggiungerli. Quando ci scaraventiamo nel cortile i soldati appostati ci guardano con stupore e ci dicono di schia.cciarci contro il muro. L'ultimo avamposto della Guardia Nazionale è una cascina con un'ampia legnaia e le finestre accecate dalla battaglia recente. "L'abbiamo liberata da un'ora", ci dice un soldato dagli occhi azzurri accovacciato accanto ai kalashnikov, "gli abitanti erano fuggiti quando è stata occupata dai serbi". I suoi compagni non parlano, misurano l'orizzonte con i fucili a cannocchiale muovendosi lentamente. L'unico rumore che si sente è quello dei cocci di vetro sotto i loro piedi. Un unico sparo isolato fa abbassare a tutti la testa. L'unica cosa che capiamo è che siamo sotto tiro da due direzioni, e infatti dopo pochi minuti i serbi attaccano. Le raffiche di kalashnikov si abbattono sui muri come frustate, poi arrivano le mazzate sorde dei mortai: È come se un gigantesco martello cercasse di centrare la casa. Il cortile è stretto, difficilmente scamperemmo alle schegge. La telecamera filma ombre incerte che cercano di dissolversi tra il legname, di diventare cose, pietra, cemento. Nessun mezzo tecnico può registrare il suono della guerra; quel Primadella battaglia !fato di Walter Fritz/Fritz Press/Contrasto).
tuono che ti esplode nel ventre come un pugno, sfondando anche l'ultimo diaframma della ragione. La battaglia è uno stato di transe da cui si riemerge, dopo ogni esplosione, come da una piccola morte. A un tratto tutto tace, ma non c'è tempo di far domande. I soldati .ci fanno segno di seguirli. Abbandoniamo la postazione insieme a loro, con la consapevolezza che se, prima, per i serbi eravamo una troupe, ora siamo un unico mucchio di bersagli. Si corre in colonna lungo filari carichi di frutta che nessuno raccoglierà ma che nessuno tocca rispettando una normalità tramontata, forse, per anni. Rubò una ciliegia ma non faccio in tempo a mangiarla. All'improvviso una raffica partita da chissà dove ci stende a terra senz'altra protezione che l'erba del prato e sette soldati che, sdraiati intorno a noi, sparano all'impazzata contro.un edificio che ci prende di mira duecento metri più in là. Passano istanti eterni, dilatati dal tuono dei mitra e dal panico che ci brucia il cervello. Voqemmo essere vermi, piante o sassi pur di sottrarre questi nostri corpi ingombranti allo sguardo d'acciaio che ci sta cercando. Poi la sparatoria cessa. Ci rialziamo, riprendiamo a correre, a fuggire con le nostre gambe che si muovono ancora. Ogni trenta metri, un soldato ci ferma a coprirci con lunghe raffiche di mitra. Quando ci infiliamo in un androne fresco e ombroso pensiamo "è finita, ce l'abbiamo fatta", e invece no. Appena usciamo in strada - la stessa strada che avevamo fatto ali' andata - un'ultima raffica inaspettata come un fulmine, come una tardivamaledizione, grandina a cinque metri da noi. La telecamera si rompe sul selcato, strisciamo in casa calpestandoci gli uni sugli altri e scopriamo che non esiste nessuna prima linea, che tutto il paese è un trappola mortale, che la guerra in città ha una geometria variabile come un destino. Alla sera, tornati a Zagabria, il telegiornale ci dirà che a Tenja, quel giorno, il destino ha portato con sé trenta persone. IL CONTESTO Il riemerso. le ·mmaginidi comododell'Italia GadLerner Non è affatto escluso che fra qualche mese in Italia, dopo le elezioni, tutti i principali partiti si ritrovino insieme al governo, lasciando all'opposizione solo le Leghe e alcune forze marginali della sinistra. Sono talmente tanti e gravi i fattori di crisi che il sistema si trova a dover fronteggiare-dal conflitto fra i vari poteri dello Stato al collasso incombente della finanza pubblica, fino all'oscura minaccia al benessere degli italiani derivante dalla catastrofe dell'Est europeo - che la tendenza dei partiti politici a rappattumarsi fra loro potrebbe risultarne v_ini:;ente. Le vecchie ipotesi di unità nazionale tornano in auge, favorite dalla trasformazione del Pci in Pds e dal suo sfaldamento. Ma favorite soprattutto dall'assenza di significative alternative programmatiche sui fatti che contano. Quale partito ha proposto qualcosa di diverso da una gigantesca operazione di polizia, di fronte all'assalto degli albanesi alle nostre coste? E quale partito se la sentirebbe di propugnare senza uno stretto accordo con gli altri quelle politiche di estremo rigore che si rendono necessarie? Il clima psicologico da cittadella del benessere assediata, suscitato dalla guerra civile in Jugoslavia, dal tentato golpe in Urss e dal disastro alJ:>anesea, sua volta determina le condizioni di una specie di alleanza o, se si vuole, complicità, fra l'istinto egoistico prevalente nella società civile e l'istinto di autoconservazione dei partiti. Forse solo la paura del!' enorme spazio che tale scenario regalerebbe alle Leghe, oltre che la consuetudine agli scontri di potere, possono ostacolare questo itinerario che ormai appare il più agevole a molti notabili della Dc, del Psi e del Pds, ciascuno dei quali vi trova le sue brave convenienze. Naturalmente questo scenario non allude affatto alla pacificazione della società italiana, e anzi lascerebbe spazio al moltiplicarsi di sempre nuovi e aspri conflitti, benché assai differenti per modalità e connotazione di classe da quelli cui eravamo abituati. Ma certo ne risulterebbe ulteriormente accentuato il distanziarsi fra le forme della politica e i contenuti dell'opposizione. Prendiamo per esempio l'episodio più allucinante dell'estate italiana, cioè la reclusione disumana dei profughi albanesi e il loro successivo rimpatrio manu militari: nessun movimento di natura solidaristica, di fronte a un evento di quelle dimensioni, avrebbe avuto la possibilità di confrontarsi con le istituzioni sulla base di proposte ragionevoli, compatibili con il sistema. Poiché qualsiasi linea alternativa allude a una radicale riforma delle relazioni internazionali e della stessa vita degli italiani. In questo senso, e per chissà quanto tempo, dobbiamo prevedere un'opposizione dalle caratteristiche sempre più apolitiche o, se si vuole, antipolitiche. Mi sembra interessante rilevare le conseguenze che l'accentuata dissociazione fra eventi politici e fenomeni sociali produce sugli stessi studiosi della realtà italiana che vivono, io credo, un momento di autentico imbarazzo. Penso a Giuseppe De Rita, prèsidente del Cnel, e ai sociologi del Censis, innanzitutto. Attivi e fantasiosi come sempre. J;>erfino ttimisti come sempre. Ma forse per la prima volta un po' preoccupati di prendere le distanze dall'immagine che tanti mass-media apologeti del successo, a torto o a ragione, gli hanno cucito addosso: quella di dispensatori di assoluzioni a buon mercato, di parroci altamente comprensivi di fronte ai vizi del proprio gregge di anime. 9
IL CONTESTO E vero, De Rita insiste nel disegnare una mappa ottimistica del ·consenso sociale, che si fonderebbe sulla sempre crescente partecipazione associata di numerosi soggetti sociali alla vita collettiva. Qui il sociologo pare vestire i panni dello scienziato neutrale, del tecnico puro, indifferente ai contenuti dell'attivismo in questione. Quasi che un comitato per la cacciata degli immigrati dal quartiere, un consorzio di artigiani o una rete di volontari impegnata nell'assistenza domiciliare agli anziani, dal suo punto di vista fossero la stessa cosa. Tutte manifestazioni, comunque, di vitalità, positivi segnali spontaneistici della società italiana che cresce nonostante le strozzature del suo sistema politico e istituzionale. Temo che in futuro la riduzione della sociologia a dottrina specialistica asettica, restia a sbiJ'anciarsi in giudizi che possano anche lontanamente puzzare di politica, produrrà molta confusione e poca buona informazione. · · Questo pericolo lo avvertono probabilmente anche gli studiosi del Censis, che in realtà non hanno mai disdegnato di fare politica. Tutte le ricerche che hanno presentato lo scorso luglio nell'ambito del cosiddetto "mese del sociale", paiono percorse da uno sforzo di rettifica. Come dire: non vogliamo più apparire quali apologeti del "sommerso", ·visto che sommerso significa anche proliferazione .del lavoro atipico fino a nove milioni di unità, un bel po' delle quali illegali; non vogliamo più apparire quali profeti del "mille fiori fioriscano" nelle diverse realtà locali del paese, visti gli effetti selvaggi che spesso si accompagnano a codesta vitalità. Le nuove parole d'ordine sono quelle del "ricentraggio'\ ovvero della necessità di trovare "un ~quilibrio più sano nei processi di ANTOLOGIA sviluppo" dopo la sbornia egoistica e consumistica degli anni Ottanta; e della "razionalità-ragionevolezza" nei comportamenti dei diversi soggetti sociali. Ho l'impressione che davvero gli studiosi del Censissi siano un po' spaventati della traduzion.e tronfia ed euforica dei loro lavori . resa abitualmente dai media. Già da qualche anno, in questo poco ascoltati, si preoccupavano di richiamare l'esistenza di un'Italia del disagio sociale accanto all'Italia del secondo miracolo economico. In assenza di impossibili interpretazioni forti, d'insieme, della società italiana, e ormai assuefatti invece a un immaginario sociologico fondato sulla suggestione delle parole-chiave, il rischio è di finire ancora una volta tutti preda del luogo comune. Nel nostro caso si tratta del luogo comune, predicato attraverso una infinita raffica di statistiche, delle Due ltalie che si separano. Il Nord ricco e lavoratore, il Sud povero e scroccone. Il Nord europeo, il Sud mafioso. Eccetera. Il successo di tale luogo comune è notariamente enorme, su di esso si fondano strategie politiche e grosse operazioni culturali. Una ricerca che non campasse solo di rielaborazioni statistiche, prodigandosi in un generoso sforzo interpretativo; giungerebbe probabilmente a risultati imbarazzanti ma più vicini al vero: un'Italia sempre più simile, e omogenea anche fra Nord e Sud, nella diffusione dei suoi micro-egioismi, negli intrecci che la reggono fra legalità e illegalità, intraprendenza e ricorso all'assistenza, produzione di ricchezza e produzione di miseria. Una società che · è diventato sempre più difficile.elogiare. La scelta dei compagni Ignazio Sifone Ignazio Silone tenne la conferenza che presentiamoquasi integralmen$e·nel maggio 1954a Torino, Genova, Milano e Roma, in incontri organizzatidall'Associazione italianaper la libertà della cultura, che ne curò immediatamente la pubblicazione in opuscolo. L'opuscolo era il numero 19, e veniva dopo scritti ·di Piovene e Montale, Malraux e T. Mann, N.·Chiaromonte e L. Venturi, Denis de Rougerrtonte Sidney Hook. Di Silone l'Associazione aveva già pubblicato Uscita di sicurezza, mentreavevano già dato fama allo scrittore abruzzese (il vero nome era Secondino Tranquilli, Pescina dei Marsi 1900 - Ginevra 1978) i romanzi Fontamara ( 1930)e Pane e vino ( 1936), la raccolta di novelle Un viaggio a Parigi (1935), il racconto-saggio La scuola dei dittatori (1938), la testimonianza autobiografica apparsa nel libro curata da Richard Crossman Il Dio che èfallito.(1950). Silone era stato uno dei protagonisti del Congresso di Berlin_odel giugno 1950 che aveva dato vita ali' Assoc;iazioneper la libertà della cultura, tenendo una relazione e polemizzando poi (garbatamente, com' era suocostume)conArthurKoestler,l'altra "stella" del congressoed estensoredelManifestoconclusivo.Nel 1951era sorta lasezi:oneitaliana dell'Associazione, con un manifesto scritto da Carlo Antoni e firmato, oltre ctie da Silone, da Chiaromonte, Rossellini, Vittorini, Salvemini, Venturi, Piovene, Montale e Soldati. Nel 1954.ebbeluogo a Roma uno ,dei congressi internazionali organizzati dall'Associazione e dal suo dinamico segretarioNicolas Nabokov,e iniziarono i contatti che avrebbero portatodue anni dopo all'apparizione della rivista "Tempo Presente", diretta da Silone e Chiaromonte. · · È inquestoclima.culturalee politicoche si inserisce,con il consueto distaccodalla polemica immediatae con la solita capacitàdi intrecciare politicae storia, autobiografiae r,!cconto,laconferenzatenutada Silone. Un titoloemblematico che rispòndeva indirettamente-,-e con ben altro 10 acume e intelligenza - alle ripetute invettive che Togliatti aveva scagliatocontroSiIonestessoecontroVittorini,controCucchieMagnani e contro i comunisti jugoslavi, rei tutti di essere rinnegati e traditori. . (M. F.) Nel corso degli ultimi quarant'anni, il fallimento di alcuni grossi miti politico-sociaii, tramandàl:ici dal secolo scorso, ha posto una certa categoria di uomini, che quei miti guardavano come bussola, in una situazione spirituale di incertezza e ambiguità ancora lontana dall'essere chiarita. Essendo la situazione sorta direttamente dalle esperienze, dalle lotte, dai mutamenti avvenuti nella vita collettiva e dali'estinzione dei "lumi" che in precedenza guidavano molti di noi all'azione, essa ripropone daccapo i problemi del comportamento dell'uomo d'oggi, assieme al quesito maggiore sul senso stesso della nostra esistenza. Non si tratta, insòmma, neppure ri.eisuoi aspetti marginali, di un avvertimento o stravaganza letteraria. In ogni epoca no.u mancano uomini, anch'essi rispettabili, i quali a modo loro, interpretano lo · spirito del tempo nel modo di tagliarsi i capellj, o di farsi il nodo alla cravatta, o di pronunziare la r; nia per altri, meno fortunati, le congiunture di crisi hanno spesso conseguenze più gravi. Pur temendo di dare prova di cattivo gusto, per non perdere tempo, preferisco cominciare da questi. · Il numero degli scrittori che nei vari paesi, negli ultimi decenni, si sono dati volontariamente la morte, ha raggiunto una
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