Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

SAGGI/PALA%Z:ESCHI carne. Nella lancia di una cancellata infila la mano, scena magnifica, per vedere il proprio corpo sanguinare. Accetta un posto di sorvegliante: aguzzino degli operai e complice degli imprenditori come vuole il pessimismo di Di Donato che fa dire a uno di essi: "Gli italiani lavorano bene, ma a patto che li teniate d'occhio come balie. Appena vi voltate ve ne combinano di tutti i colori. Sono incoscienti come bambini". Il crollo di una parte dell'edifizio seppellirà Geremia sotto una colata di cemento. "Cristo nel cemento'" dice il testo originale. L'anno passato alla Mostra di Venezia tutti insorsero per il finale troppo realistico di Manon, a un anno di distanza è stato accolto, senza fiatare, questo che lo supera di molto. Il corpo di Geremia viene sepolto a poco a poco, e una voltà inghiottito ne risultano gli ultimi moti alla superficie del cemento. Ci si abitua a tutto, o questa volta abbiamo passato il segno? Cosa vera e orribile l'infortunio occorso al padre di Pietro Di Donato, che ci fa socchiudere gli occhi di terrore e di pietà. Purtroppo non possiamo fare altro. Tutti i giorni, per le strade, muoiono persone sfracellate dalle macchine, nessuno, che io sappia, pensa di chiamare in causa la meccanica e proporre la chiusura delle fabbriche d'automobili. In quanto alla miseria americana obbiamo constatare, in questo film, che Geremia bella o brutta ha sempre una casa della quale può chiudere l'uscio, la tovaglia sulla tavola e una bottiglia di vino di simpatica forma e rispettabili dimensioni. · Nunziata non è lacera e i figli sembrano pronti per uscire con l'istitutrice. Ne conosciamo della più nera. . Ottima la regia, ripetiamo, e altrettanto l'interpretazione. Sam Wanamaker e Lea Padovani sono di una efficacia e di un calore affascinanti. Con quanta innocenza e con quale freschez- · za fanno all'amore. (n. 4, 4-11-50) Benvenuto all'atomica (Con La morte è discesa a Hiroshima) ci troviamo con un piede nel film e uno nel documentario. Diremo, anzi, che l'apporto per un film è debole e scarso, e per ciò che riguarda i grandi personaggi che popolano il documentario è così bonario e ingenuo che sembra fatto per i ragazzi. Roosevelt, Truman, Einstein, Fermi ... ci appaiono di una invidiabile familiarità. Che cosa c'è, dunque, c9e interessa tanto a vivo in questo lavoro? La faccia della protagonista. Quella che nell~ prime ore di un mattino dell'anno 1945, scese su Hiroshima. La bomba atomica chiede cittadinanza e lo fa con le dovute cautele per le quali non possiamo che lodarJa. Prima Einstein spiega paternamente ai giovani scienziati come alla sua creazione abbiano collaborato tutti i popoli così detti civili; quindi Roosevelt e Truman ci fanno conoscere il loro stato d'animo e la loro perplessità nella lunga e dura vigilia. E gli scienziati non si stancano di ripeterci che tutto è fatto per il bene del genere umano e di tutti gli animali viventi, anche nel caso dannato che la disgregazione dell'atomo, insofferente dell~ limitazioni tiJ'4 ranniche che le vengono imposte, siamo nel campo della teoria, dovesse prendere l' aire per conto proprio e svilupparsi a catena. A questo modo la bomba atomica ci offre la sua giovane storia: periodo di gestazione e atto di nascita, primo viaggio e debutto sulla terra. E come già abbiamo detto chiede cittadinanza con una lodevole dose di pudore. In modo che è lo spettatore a farle coraggio: "oramai ci sei, vieni avanti, poverina, non vorrai rimanere eternamente sulla porta". Da quanto si poteva giudicare in una sala stracolma, nei suoi lineamenti tanto semplici e sintetici la bomba atomica non riesce antipatica, tutt'altro, aggiungerò, anzi, d'essermi accorto come il mio umorismo sia limitato, mentre tutti ridevano dei tanti inevitabili incidenti equivoci e contrasti che comporta una simile impresa, a me non riusciva di ridere questa volta. Forse perché non si trattava di uno spettacolo da "Grand Guignol", ma di storia fresca fresca: quella creatura dalla faccia semplice e simpatica, fu davvero sganciata sulla cervice durissima degli uominL Sarà riuscita ad ammorbidirla un poco? Gli scienziati potrebbero segnare un punto al loro attivo. O l'ha fatta diventare ancora più dura? E allora: giù! (n. 29, 28-4-~l) Orreo . DÒpo l'esperienza di un'arte cinematografica popolaresca che ottenne il più lusinghiero e pacifico successo, Jean Cocteau ne ha abbastanza degli applausi, vuole di nuovo essere discusso e magari riprovato dalla critica cinematografica ufficiale e dal gran pubblico ritornando a esperimenti sui problemi essenziali del cinematografo. Due cose ci dimostra Cocteau col suo film e delle quali non possiamo che rallegrarci: prima, che lui è ancora giovane, e che con lui è ancora giovanissimo il cinematografo. Il vate della Tracia è divenuto un poetino esistenzialista dei • giorni nostri che frequenta un caffeuccio della periferia dove si danno convegno poeti e artisti e dove, in una rissa, uno di essi vierie ucciso. Uccisione nella quale si trova coinvolto il giovane Orfeo che da quel momento passa nel dominio della morte. Si ascende in un'atmosfera di pura poesia nella quale a un susseguirsi, inseguirsi e accavallarsi di immagini, fantasmagoria vera e propria, viene affidata l'azione del film sostenuto dai più antichi pilastri: amore e morte. Alcune di queste immagini sono riuscite, felicissime, altre così così, altre si perdono addirittura nell'evanescenza. La figura simbolica della morte, bellissima principessa che corre nella sua magnifica Rolls-Royce seminando al tempo stesso distruzioni e resurrezioni, è quella che assume il maggiore rilievo e un certo fascino. • Ma quello che conta è di rispondere alla domanda che questo film ci rivolge: si può fare della pura poesia col cinematografo? E perché no? Tutto si può fare a questo mondo, basta saperlo fare. Il fatto che un poeta ce ne offra un tentativo afferma questa possibilità.· A Jean Marais si può solo rimproverare di avere troppe

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