Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

SAGGI/PALAJ:ZESCHI Franq!sco, giullare di Dia di Roberto Rossellini. alla fine ha creduto suo dovere di intervenire con un'eruzione in piena regola, in segno di ringraziamento. La parte documentaria costituisce la bellezza e poesia del lavoro, la vita dei pescatori neHa sua angustia e nella sua grandezza, l'aridità di un suolo bruciato, l'ostilità d'ogni elemento sotto una continua minaccia. Ma anche quella è terra di Dio ed essi la amano allo stesso modo, forse più, di coloro che ebbero la sorte di nascere in luogo favorito dalla fortuna. E avrei voluto che questo attaccamento si sentisse ancor di più, ·lasciando da parte tutte le aspirazioni emigratorie per confermare questa verità. Una volta lontani penseranno sempre alla loro isola come alla cosa più bella del mondo. Roberto Rossellini ha sentito profondamente questa poesia che ha reso con una regia chiara, senza enfasi, senza indugi o compiacimenti, senza preziose o artifiziose ricerche. Le scene marinare culminanti nella pesca dei tonni sono bellissime, le scenette della vita domestica sobriam_entee gustosamente descri tte. Ingrid Bergman impersona la figura di Karin, la giovane nordica capitata in un mondo così inaspettato, così inconcepibile per essa, con quell'arte che tutti le conoscono. Le parole divengono inutili, ella è giunta a esprimere con un impercettibile segno il suo stato d'animo. E vicino a lei, cosa davvero sorprendente, è riuscito a cavarsela il giovane Mario Vitale, un autentico pescatore, nelle vesti del marito. (n.24, 24-3-51) Miracolo a Milano Se Vittorio De Sica si fosse limitato a darci, con questi giullari del tempo nostro, il senso poetico della povertà, l'intima gioia che è nel povero, la sua superiorità davanti al ricco, e invece di mostrarcelo così incerto e sottomesso ce l'avesse mostrato sicuro e fiero di sé, fiero di quella libertà di spirito che forma la sua conquista e che per la sua stessa condizione al ricco viene negata, e fiero di quella fantasia che lo porterà a cavale.ioni di un manico di granata a volare in cielo, Miracolo a Milano sarebbe senz'altro un capolavoro, un messaggio, assolverebbe senza volerlo un compito sociale. Dove trapela, attraverso la caricatura, un presuppost? sociale, il film perde quota, immiserisce, perché tace la poesia. E proprio lo spirito borghese ad inquinarlo. La caricatura è bella quando è fine a se stessa come nella scena dei dottori che contano le pulsazioni al letto della moribonda. Il film si muove con un primo bamboleggiamento di sapore deamicisiano finché Totò, questo "clown" della bontà e volontario della miseria, non uscirà dall'orfanotrofio per entrare nel cÒnsorzio umano dove riunirà i mendicanti coi quali costruirà una città fatta di assi tarlate, rami d'albero e latte mangiate dalla ruggine, e per la quale riuscirà a scovare anche una statua da porsi sulla piazza centrale; colonia felice che con scoppi di gioia verrà inaugurata e percorsa da un .capo all'altro e non appena un temporale l'avrà sconvolta tutti si daranno senza indugio a ricostruirla: qui è la forza. Per tutto il primo tempo le scene incalzano una più bella dell'altra. Nella seconda parte, allorché prende il sopravvento l'elemento surrealistico, e questo film con grande soddisfazione surrealista possiamo classificare, via via decade. Sui prodigi della colomba si insiste troppo e al finale soltanto Totò con Edvige fra lo stupore di tutti dovrebbero volare in cielo, essi che hanno avuto fede nella bontà. La regia di Vittorio De Sica è di prim'ordine e dal punto strettamente cinematografico per due buoni terzi il film riesce a mantenere un ritmo degno di incondizionata ammirazione. Secondo me manca quel raggio che alla fine ce lo faccia vedere nella sua interezza, uscendo lo si pensa ancora nei particolari di cui è straricco. Le masse sono manovrate magistralmente, il regista è nella sua piena maturità. Anche dell'efficacia e spontaneità degli attori dobbiamo rendere a lui il principale merito, e aggiungeremo a questo proposito: quando si prendono attori occasionali sarebbe meglio lo fossero tutti, dal primo all'ultimo, quei rari di professione che vi si mescolano sono proprio quelli che fanno brutta figura. (n. 19, 17-2-51) Non c'è pace tra gli ulivi I film a contenuto sociale sono pericolosi per le sorprese che possono nascondere rivelando, con la gioia del bambino che dice le cose proibite, una sproporzione tra gli effetti e le cause. In Riso amaro, sempre del nostro De Santis, ci accadde di vedere tra le più belle gambe che mai avessimo visto, da dover credere che quel

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