Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

NEOREALISMO E TECHNICOLOR Recensioni cinematografiche .19 50-1 9 51 Aldo Palazzeschi Aldo Palazzeschi ha tenuto una rubrica di cinema sul settimanale "Epoca", al tempo della sua fondazione nel 1951 e per un periodo di tempopiuttostobreve. Le recensionichepresentiamo sonolagranparte di quellepubblicate.Ne abbiamotrascuratealcune che ci sonosembrate meno interessanti (sui film Persiane chiuse, Accadde in settembre, La volpe, Corea infiamme, Dio ha bisogno degli uomini, Quartetto, Prima colpa) e accentrato la nostra attenzione su quelle riguardanti i film del neorealismo, in un periodo già di crisi e transizione - con i debutti di Antonioni e Fellini, che aprivano nuove strade e nuovi linguaggi.Non ne risulta che Palazzeschi abbia moltoamato il neorealismo,quello più "spettacolare" e commisto con il melodramma come quello più sentimentale;mentrecontinuava ad amareun cinema decisamentespettacolare, "di evasione", e molto colorato. Come Gadda (che scrisse contro il neorealismo un celebre intervento ne I viaggi, la morte: la vita e il mondo sono barocchi, non neorealisti)o, su altre sponde un tantino più superficiali, come Boris Vian (''abbasso il neorealismo, viva il teknik color!"). Le recensioni a film come Ziegfeld Follies (nel testo di Palazzeschi, Ziegfield) o la difesa di Disney o l'elogio di Totò sono qui a dimostrarlo. II bizzarro e grandissimopoeta e scrittore amava il gioco e la finzione, ma soprattutto sapevacogliere dietro la pretesa di narrare la realtà i clichés e lemaniere. Si soffermavasemmai conpiù attenzione su una realtà molto poetica e insolita come quella dei Fioretti rosselliniani e gli piacque anche molto, come a Bufiuel, Il ritratto di Jennie di Dieterle e Selznick, ma di esso disse solo in una breve risposta aUn lettore. (G. F.) · Francesc,9, giullare di Dio Roberto Rossellini non ha avuto paura di San Francesco, (dico questo perché a me i Santi hanno fatto sempre un po' paura), s'è avvicinato a San Francesco con semplicità, in uno stato di grazia che gli ha permesso di realizzare il suo film che non ci presenta una vita del Santo e nemmeno la sua figura sullo sfondo del tempo. Portando San Francesco e i suoi fratelli sullo schermo, Rossellini ha voluto esprimere l'inesprimibile: la letizia di queste anime invase dallo spirito del Vangelo. Diresti che non esiste il copione, e che il regista ha seguito un raggio luminoso che aveva nella mente. Siamo nell'ora affascinante del Francescanesimo: la gioventù. E abbiamo un San Francesco che è quasi un ragazzo. L'ispirazione è tratta d.ai Fioretti e dai pittori e scultori mistici. Ciò farebbe pensare a un carattere illustrativo, estetizzante: contro il pericolo del quadro troppo bello il regista mette le mani avanti facendoci vedere, a mo' di preludio, qui:tli sono i quadri che l'hanno ispirato. Né ai fatti viene affidata la parte principale, ma al movimento delle persone ammirevolmente inquadrate nel paesaggio. Le corse e le soste sui prati e per le vie della campagna, i corpi hanno leggerezza e felicità di uccelli; i ritorni e le uscite dalla Porziuncola, le irruzioni nei villaggi per comunicare la loro ribellione gioconda. Del tanto che c'era Rossellini ha preso con parsimonia, scartato con gusto; ha individuato nella parola il peggior nemico, (ai tempi del muto il compito sarebbe stato più leggero), e sorvolando su quanto c'era di usato troppo. La vicenda si svolge dal giorno che Francesco torna da Roma dove ha ottenuto da Papa Innocenzo III licenza di predicazione per sé e per i suoi fratelli, fino a quello nel quale, quasi dispersi dal vento, si dividono per recare la parola nel mondo. Una visita di Santa Chiara alla Porziuncola e l'incontro col lebbroso sono scene che non si dimenticano, né quella di frate Ginepro sotto la tende di Niccolajo (è tanto bella che ci ha fatto dimenticare il protagonista). Al centro del film un solo episodio ci dà testimonianza del tempo. Il feroce tiranno Niccolajo ha posto assedio alla città di Viterbo. Frate Ginepro si reca al campo di Niccolajo per supplicarlo di liberare la città. Scambiato per uno che vuole uccidere il Capitano, viene malmenato, battuto,. e legato per le gambe alla coda di un cavallo. Ma venuto a conoscenza del fatto, Niccolajo lo fa condurre sotto la tenda. La dolcezza sovnimana e l'innocenza che emanano dal sùrriso del sanguinante fraticello inaspriscono di più il tiranno, non sa quale morte formulare per lui ma, quasi non credendo ai propri occhi, non si sazia di guardarlo, finché non è assalito da uno smarrimento: ordina di togliere l'assedio. Attori di occasione, meno uno, e ottimi attori, quanto ossigeno la nuova usanza ha portato al nostro cinematografo! Come trovare fra i professionisti il viso ascetico di Francesco e il candore di Frate Ginepro? Quell'unico è Fabrizi che, nascosto in una paradossale armatura, specie di scafandro, e con dei baffi tanto strani, impersona magnificamente la figura del simbolico tiranno. Alla fine ti accorgi d'aver camminato sul filo misterioso della poesia come sul filo di un rasoio. La prova non era facile: si trattava di rendere un profumo, e nel film di Rossellini questo profumo c'è. ("Epoca" n.6, 18-11-50) Stromboli L'esempio di un bizzarro matrimonio di guerra è troppo modesto per il problema che questo film vuole affrontare e che gli rimane come un groppo nel petto. L'impossibilità di capirsi, le infinite, insormontabili e impalpabili barriere che dividono gli uomini. È il problema che assilla e affligge l'umanità e che nel tempo nostro è assurto a malattia allo stato acuto. Neppure l'amore con le sue irresistibili forze, e qui l'esempio modesto tocca il suo punto luminoso, riuscirà a superare e vincere quelle difficoltà. Ragione per cui dobbiamo rimetterci all'autore e al titolo da lui imposto: Stromboli è il protagonista del fùm e lo è tanto che 63

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