Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

STORIE /RAMIRH tante tue storie affettuosamente sordide, di passione insostenibile, delusa rabbia, aspra comicità o disamore ... Sono popolose borgate tra campagna e città, nate in paraggi scoscesi, imitando un po' le casbah nordafricane. Le case si costruirono all'inizio come capanne, rispettando sentieri di capre o altri animali come strada principale, mentre il resto erano stretti vicoli. Questo è il mondo in cui crebbi, dove vigeva un codice d'onestà abbastanza positivo. Persino tra le prostitute, a quanto leggo. Beh, ne esagero l'importanza, ma in effetti la parte più astuta e impresariale di esse era socialmente avanti nella moda, nel fumare, nel bikini prima e topless poi, e hanno rappresentato una sorta di liberazione femminile. Calcare lamano con certi temi vuol dire poi anche prendersi un po' gioco dei falsi ideali alienanti. La sessualità è comunque onnipresente nelle tue opere ... Perché è la manifestazione più evidente della nostra condizione animale. È l'elemento squisito dell'istinto, che può essere liberatorio oppure usato come arma di ribellione o costituire soltanto il dessert povero di un pasto miserabile che è quello della maggior parte della gente, con la testa schiacciata da molti pesi: il carico familiare, quelio ereditario, quello del lavoro. Si sublima perché è l'unica cosa che può arrivare come piatto prelibato, superfluo. Persino elementi patologici o deformi prendono un' altra luce quando la sessualità li bagna. Come le storie sono ben diverse a seconda del modo in cui si narrano. Mi riferisco alla tua lingua accumulativa, miscuglio di canarismi, espressioni colloquiali, neologismi forgiati per analogia dai tuoi narratori popolari, diminutivi, segnali di gestualità ecc., con una sintassi scardinata e la sgargiante prolissità dei nomi propri ... Il bello della letteratura consiste precisamente nel rivitalizzare il linguaggio, dargli altre possibilità. Raccontare per raccontare non credo valga la pena. Ma ora guarda quel ragazzo coi baffi {Ramirez mi indica un cameriere dietro il bancone del bar "La Madrilena" nella via principale del quartiere di Triana, dove ci troviamo]. Compare nel mio romanzo come muratore e con lui mi permetto persino degli scherzi. Sua madre, a cui manca una gamba, ha avuto solo figli maschi. E lui amava ripetere una battuta fissa: che aveva tina sorella bellissima, e se l'avessimo conosciuta . ne saremmo rimasti affascinati, eccetera. Così io gliel'ho inventata: è la Valeriana Perera del romanzo. Nel libro la loro madre tira la stampella a Perico Socorro, che è esistito anche lui. Era un uomo derelitto, abbattuto, povero, che lavorava in mare e morì di cancro ancora giovane. Ebbene, io mi sono permesso il gesto d'amicizia di farlo amare ed essere amato e rispettato. In un racconto scritto quando lui se n'era già andato, lo ritraggo come uomo di parola e d'onore. Sempre pensando a quel tipo con la barba di tre giorni, ossuto, triste, abbandonato. Volevo che almeno nella letteratura vivesse una vita piena e felice. Anche questo è il bello della letteratura: tutto sulla pagina prende vita. Per questo uno continua a leggere Sofocle o Boccaccio e vive quelle parole, in modo diverso da come le vissero gli autori, ma le vive. · 60 LO SCRlffORE ~ E UNA PAURA IN PIU Vfctor Ramfrez traduzione di Danilo Manera Lo scrittore si è alzato, porta le mani alla cintola. Si stira. È solito scrivere seduto sul suolo freddo, con le gambe incrociate, ali' orientale. E scrive col torso eretto, disciplinatamente, su fogli quadrettati sopra una tavoletta appoggiata sulle cosce. A volte passeggia, guarda meccanicamente il soffitto, guarda lontano, oltre la finestra riflettente, guarda i fogli sparsi sul pavimento. Lo scrittòre sospira a bella posta, si fruga nelle orecchie, è solo in casa. Lala e le bambine, tre, sono andate a messa. Adesso, tra pochi minuti, farà la scelta prevista, implacabile. Rimarrà nuovamente tutto deciso, consumato e irrimediabile. Forse dopo, di notte, mentre pensa, lascerà il letto e, tremando, s'infilerà un'altra volta nel gabinetto a piangere. Aspetterà che Lala dorma profondamente, si illuderà di riuscire a dimenticare quello che ha scritto tra l'altro ieri, ieri e oggi. Deve dimenticarlo. E lo dimenticherà, proprio come ha dimenticato tanti racconti, tante poesie, tanti articoli scritti senza passione, senza fantasia, con molta affettazione, senza indizi di rabbia, eppure impubt,licabili per legge, per paura. Prima sarà la distruzione, poi verrà l'oblio mansueto, docile, . fatale, consolante. .Lo scrittore si china a raccogliere ordinatamente le cartelle, dodici, del racconto appena terminato, limato anche nei dettagli, steso con la definitiva delle sue calligrafie. Scrive a mano, detesta la macchina che gli pare disumana. Le versioni, come al solito, sono state tre. Nella terza, quella approvata, aveva lasciato la narrazione a un testimone, uno che vide, udì, fiutò, inghiottì saliva e sentì. Nessuno dei personaggi parlava con la propria voce, tutti lo facevano per bocca del testimone. Non c'era nessun punto e a capo, le frasi erano lunghe ma taglienti, piene di verbi forti ma molto sentiti. Così risulterà più suggestivo, pensò lo scrittore. E si chiese per chi, vergognandosi un'altra volta. Sputò la sigaretta spenta, aveva ridotto la stanza a uno schifo, poi calpestò la cicca . Nella versione uno c'era molto dialogo. Non lo attirava tanto distanziarsi dal dramma. Ne veniva fuori un racconto molto freddo, incartapecorito. Nella seconda ripartì la parola tra il sergente e l'avvinghiato. Ma non trovò il calore che gli occorreva, soprattutto nel sergente, e la storia non prendeva, risultava saponosa. • Della terza versione si mostrava completamente soddisfatto. Si complimentò persino per il mestiere che aveva acquisito e sorrise senza traumi. Inoltre, le correzioni sarebbero state minime: cambiare l'ordine di un paio di parole, sopprimere qualche aggettivo stridente, aggiungere due o tre avverbi insistenti e forse un pronome che chiarisse un punto ambiguo. Concluso senza appello il racconto, lo scrittore comincia le

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