Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

INCONTRI/RAMIREZ: migliori di me. lo arrivo a qualcuno, altri ad altri, e qualcosa resta. A volte - poche - ho sentito la voglia sotterranea di diventare un professionista della letteratura, dopo essermi messo nelle mani dell'agente letterario adatto. Ma sopraggiungeva subito lo spavento di non poter continuare questa fuga in avanti, quasi alla cieca, in piena libertà, che è la fabulazione. Sopraggiungeva la preoccupazione di fronte all'incatenamento che ogni professionalizzazione comporta. Poi, vedi, io passo molto tempo senza scrivere, ci sono stati anni senza una riga. E sono incapace di programmare: il 90% delle mie pagine era totalmente imprevedibile mezz'ora priina di esistere. L'atto letterario per me è una semplice esperienza o accadimento, alla stessa stregua, almeno a livello esistenziale, che giocare al calcio (mi piace molto e ho smesso solo da poco) o stare con gli amici. Può sicuramente avere un'importanza molto maggiore, ma io non gliel'ho data. Quali son9 gli scrittori che stimi, che hanno contato nella tua formazione? Mi restano ottimi riéordi della lettura di Kazantzakis, Camus, Faulkner ... Ma mi sento vicino in particolare ai latino-americani come Juan Rulfo, José Lezama Lima, José Revueltas, Joao Guimaraes Rosa, Gabriel Garda Marquez. Quanto agli spagnoli, io ho sempre avuto un istinto anticoloniale, un rifiuto della rappresentazione poderosa della Spagna, non soltanto in campo militare o politico, ma anche sportivo, letterario, culturale. Gli spagnoli veramente grandi sono stati sempre emarginati e schiacciati dal potere che si rifiutavano di celebrare, vedi i casi di Cervantes o Quevedo o del canario Pérez Gald6s, la cui attitudine letteraria e politica fu di contestazione permanente. Interviene Rafae] Franquelo: Non è che il panorama contemporaneo della penisola offra poi molto, se escludiamo gente come Antonio Gala o Rafael Sanchez Ferlosio. Qui ci ha interessato parecchio Juan Goytisolo per il suo lavoro a favore della conoscenza ddla cultura araba. · Prosegue Vietar Ramirez: A me piacciono molto le canzoni messicane che ascoltavo già da bambino alla radio o nei film dei cinematografi di quartiere. Uno dei compositori di queste canzoni, José Alfredo Jiménez, continua ad essere per me il primo e • maggior maestro nella magia di unire parole. In generale, rispetto oltremisura coloro che, almeno, non applaudono il potere. Sono d'accordo con Miguel Hernandez, quando dice che il nostro cemento è la terra e il nostro destino nelle mani delpopolo. Se non fosse così, maledirei la mia opera come sterile e traditrice. Per questo amo scrittori come i cosiddetti "fetasiani" delle Canarie, lsaac de Vega, Rafael Arozarena, Leandro Perdomo e con particolare tenerezza Antonio Bermejo, morto da poco, di cui ho sempre apprezzato la parola acuta, precisa, seriamente ironica, per ricordarci che siamo isole prigioniere delle acque e di leggi inumane che ci bacano fino ali' ignominia, isole rese destino triste e sottomesso, lusso di altri, isole in cui persino la rabbia risulta meschina e colonizzata e piena dr paura della libertà. Interviene Antonio Félix Martin Hormiga: Si dice che noi abitanti delle Canarie siamo europei nati in Africa che vivono in 58 Sudamerica. Ali' America latina ci uniscono il destino di colonizzati (la conquista delle Canarie nel XV sec. fu una sorta di prova generale di quella del Nuovo Mondo, e non a caso Colombo salutò qui le ultime terre note), tratti fonetici e lessicali della nostra parlata, molti legami familiari e la presenza di latino-americani sulle isole, nonché'i traffici marittimi. Ma i nostri antenati erano berberi e· il nostro paesaggio naturale è africano. lo mi trovo spiazzato dove ci sono troppi alberi a chiudere l'orizzonte, mentre non sento discontinuità tra Lanzarote e il Maghreb. Fino a un paio di decenni fa, i nostri pescatori si recavano normalmente nei banchi mauritani è marocchini, e dal Marocco venivano a scambiare magri cammelli giovani, usati da noi per i lavori agricoli, con quelli vecchi e grassi, che loro mangiavano. Ancora oggi, il porto mauritano di Nouadhibou ha più legami con Las Palma:sche con la capitale Nouakchott o l'interno del paese. Per non dire che uno dei massimi esperti di letteratura canaria è 11 senegalese El Hadji Amadou NDoye. Franquelo e Martin Hormiga aggiungono altri dati sulla realtà socioeconomica dell'arcipelago: Le attività tradizionali, agricoltura, pesca e artigianato sono state drasticamente ridotte da turismo e commercio, che producono quasi i tre quarti del reddito. Ciò non toglie che, accanto a giganteschi e fornitissimi hotelalveari lungo le spiagge, mancano ancora case per la gente, scuole, ospedali. La popolazione è in continua crescita, la densità nelle isole maggiori è il triplo di quella della penisola e se in passato le Canarie davano emigranti all'America centrale e meridionale, oggi sono, dopo Madrid, la comunità autonoma spagnola che attrae maggior immigrazione. La gente del posto non sa cosa potranno fare i loro figli dopo l'integrazione europea del 1993, quando i proventi del turismo passeranno quasi del tutto nelle mani di tour operators tedeschi e scandinavi. Anche il turismo è una monocultura imposta, come i pomodori, le banane o la canna da zucchero. Con tutti gli svantaggi delle monoculture · . controllate da fuori. Vietar, perché scrivi che il tuo popolo è "o,fano di padre"? I miei compatrioti che vedevo nel quartiere povero dove crebbi erano un sub-popolo codardo, senza radic~ nè istinto di ribellione, senza futuro perchè incapaci di gestire il proprio destino come popolo. Avevano ovviamente una madre, ma non un padre. Intendo per madre, metaforicamente, quella che mette · in vita, ma non dà la vita. Con l'insegnamento, questa sensazione si rafforzò e si chiarì, portandomi all'indipendentismo, all'obbligo morale e sociale di cominciare a rivendicare una paternità che è la libertà. Cosa significa per te essere indipendentista? · Il cantuccio di mondo cui appartengo sono le Canarie. Mi è toccato essere canario e col mio popolo ho patito il dominio di un potere chiamato Spagna. Credo senza alcuna ingenuità, con tutta la fragile fermezza di cui dispongo, nell'indipendenza della mia patria. Ma questo non significa minimamente odiare altri popoli o ritenerli nemici. Al contrario, è un profondo segno di rispetto, una proposta per cercare fraternamente, insieme, la · dignità che un.po' a tutti è stata negata, ma che non abbiamo

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