Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

IL CONTESTO L'India dopo Raiiv Una grande 11finzione colleHiva" alla prova Marco Restelli "Una terra mitica ... un paese che non sarebbe mai esistito senza gli sforzi di una fenomenale volontà collettiva ... un sogno che tutti accettavamo di sognare ... una fantasia di massa condivisa in varia misura da bengalesi e da punjabi, da madrasi e dajat, e che avrebbe avuto periodicamente bisogno di quella santificazione e di quel rinnovamento che possono dare soltanto i rituali di sangue. India, il nuovo mito ... una finzione collettiva in cui tutto era possibile." · È verosimile che l'India all'alba della sua indipendenza, nel 1947, fosse davvero così, come ci è descritta dall'indiano e cittadino del mondo Salman Rushdie nel romanzo I figli della mezzanotte. Nelle parole di Rushdie, dunque, uno stato indiano indipendente e laico, unitario e multietnico, multiculturale e poliglotta, insomma l'India di Nehru, era "un sogno che tutti accettavamo di sognare": ma se confrontiamo quel sogno con la realtà odierna, il risultato è preoccupante sotto molti profili. Basta osservare ciò che è accaduto in occasione delle recenti elezioni politiche. Per rifarci alla parole di Rushdie, abbiamo visto "la santificazione e il rinnovamento" attraverso il "rituale di sangue" nell'omicidio del leader del Congresso-I, Rajiv Gandhi, discendente della "mitica" dinastia di Nehru, simbolo unificante della nazione. Dopo quai-ant' anni di egemonia dei Nehru-Gandhi il Congresso-I (la "I" sta per Indira) e l'India stessa aspettano ora con il fiato sospeso un rinnovamento non più procrastinabile (eppure non è detto che in futuro non vi sia ancora un Gandhi per l'India: non certo il figlio maschio Rahul bensì, probabilmente, l'abile figlia maggiore, Priyanka, che in molti descrivono simile alla nonna Indira). Abbiamo visto poi come la "fantasia di massa" di un'India unitaria non sia più condivisa da certi settori di importanti etnie e comunità religiose. Il più recente e clamoroso esempio è costituito dalle squadre di terroristi sikh che il 15 giugno hanno assaltato due treni massacrando molte decine di persone, allo scopo di non fai-celebrare in Punjab le elezioni (che al momento in cui scriviamo non si sono ancora svolte) e riaffermare così l'ingovernabilità del Punjab stesso da parte di Delhi. La trama di sangue del terrorismo sikh - cui, va ricordato, è complice solo una minoranza della popolazione sikh - si snoda da dieci anni con crescente ferocia al fine di dare vita allo stato indipendente del Khalistan, la "terra dei puri" vagheggiata dai fondamentalisti sikh. Oggi il Punjab, che era lo stato più florido di tutta l'Unione Indiana, il "granaio dell'India", il centro della "Rivoluzione verde", è paralizzato da un'autentica guerra civile fra sikh e hindu, e fra sikh e forze speciali; ma questo dramma sarebbe da tempo terminato se non fosse per la miopia politica dimostrata nei confronti della comunità sikh dai governi di Delhi - sia quelli del Congresso-I sia, più di recente, quello del grande nemico del Congresso-I, V. P. Singh. E gravi errori sono stati commessi in passato dalle autorità di Delhi anche in altri stati oggi al centro di spaventose tensioni, il Kashmir e l' Assam. Si tratta, in questi due casi, di crisi dovute a ragioni storiche assai diverse, ma con un comune denominatore: l'incapacità dimostrata da Delhi di decentrare lo sviluppo. L'India sembra scossa da vortici di forze centrifughe che 4 richiederebbero, per essere domati, politiche dotate di un respiro strategico, di lunga durata, e quindi un "centro" stabile e forte (che non significa autoritario o repressivo). Proprio ciò di cui il Paese non sembra sapersi dotare - come dimostrano i risultati delle ultime elezioni generali. È facile infatti prevedere che la debole vittoria del Congresso-I (che è cresciuto in seggi grazie al sistema uninominale ma è calato in voti e in influenza politica) costringerà il partito ad un governo di coalizione con le sinistre e alcuni partiti regionali come l' Aidrnk, o almeno a cercare l'appoggio esterno di tali forze e dei vari potentati locali che in India controllano i capi-casta e quindi i "pacchetti" dei voti; insomma, l'India già pensa alle prossime elezioni, che vedranno lo scontro decisivo fra il fronte laico e gli integralisti hindu. Nel futuro prossimo del Paese, intanto, c'è ancora un governo debole e puntellato dai compromessi - così com'è stato dalla morte di Indira Gandhi in poi. Esattamente l'esito che tutti gli indiani, di qualsiasi orientamento politico, desideravano evitare. Tornando all'eco delle parole di Rushdie, abbiamo visto inoltre come quella "finzione colletti va in cui tutto era possibile", un'India laica e multiculturale, sia sempre più minacciata dal crescere di un partito integralista e reazionario, il Bharatiya Janata Party (BJP) che seppure non ha vinto le elezioni come sperava ha comunque posto una pesantissima ipoteca sulla vita politica e culturale dell'India, dimostrando non solo di controllare quasi un quarto dell'elettorato indiano ma anche di saper imporre i propri temi, le proprie battaglie e parole d'ordine ali' attenzione dell'intera opinione pubblica del paese. Ma cosa vogliono i seguaci dell'ideologia del neo-induismo? I più estremisti risponderebbero semplicemente: "un'lndiahindu". I più moderati, gli esponenti di quelle caste urbane che da poco si sono rivolte al Bjp, preferirebbero rispondere: "restaurare i diritti calpestati della maggioranza". Cioè di quell'80% di indiani di religione hindu che affermano di sentirsi discriminati da una costituzione laica grazie alla quale il Congresso avrebbe commesso un "duplice delitto": 1) imporre culture estranee alla civiltà indiana, quali appunto il secolarismo, il liberalismo, il marxismo, il femminismo; 2) favorire le minoranze religiose (musulmani, cristiani, parsi, sikh) a discapito dei "veri indiani", gli hindu appunto. In ogni caso, la differenza fra le risposte di estremisti e moderati sarebbe più tattica che sostanziale. L'avanzata del Bjp e delle organizzazioni estremiste che dietro di esso si riparano costituisce sicuramente uno dei problemi più gravi che l'India si troverà ad affrontare nei prossimi anni: dall'affermarsi o meno dell' hindutva dipenderà l'identità stessa della nazione. Contrariamente all'immagine che ne forniscono i mass media occidentali, l'India non è affatto un paese immobile: è soggetto anzi a rapidissimi mutamenti, e soprattutto oggi. Mutamento, modernizzazione, in India significano - da due secoli a questa parte- una violenta occidentalizzazione, e tanto più da quando il paese ha conquistato, nel 1947, l'indipendenza dall'occidente: indipendenza politica, non culturale. Nel 1947 un Paese con 5.000 anni di storia, un Paese frammentato in una miriade di etnie, di lingue e di culture legate fra loro "solo" da un comune sistema sociale e religioso - cioè

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