Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

STORIE/COUTO pensiero. Le ragazze! Voleva spiegare i suoi timori, dire che tutto in lui si fermava interiormente. Era come un carcerato che, dopo tanta prigionia, aveva finito per paventare la libertà. - Con le ragazze non ci so fare. Gli altri risero e lo obbligarono a vestirsi. Horacio era solo corpo, sprovvisto di volontà. Gli misero una cravatta rossa, ordinandogli di portarla così, senza giacca. E via via lo addobbarono: occhiali scuri, cinta argentata, colletto rialzato. Gli spiegarono alcuni trucchi, tic e gesti di chi vuol terminare la notte in doppia orizzontale. Horacio si affrontò allo specchio, sembrava un mascherato fuori tempo. · -È ora, Horacio. Va' a prendere Marta. Egli provò ancora a protestare. Magari non è pronta, non sarà troppo presto? Tuttavia si avviò, con gli altri dietro, per assicurarsi che non scappasse appena girato l'angolo. Salì le scale del palazzo di Marta. A ogni piano si liberava di un fronzolo. Al primo piano si levò gli occhiali. Al secondo si tolse la cinta. Al terzo si ravviò i capelli e abbassò il colletto. Solo dopo aver suonato il campanello si accorse della cravatta, quella fettuccia di cattivo gusto che gli pesava tonnellate. Ma non c'era tempo di levarla, stavano già aprendo la porta. Era Marta, chè spiava da una fessura. Horacio, da quello spiraglio, intravvedeva solo una fetta della grassona. - Sono Horacio, sono venuto a prenderla per la festa. Marta rispose che non era ancora pronta. Dall'apertura esaminava il candidato, attenta a ogni suo particolare. -Come si chiama? -Horacio. - Ha una bellissima cravatta, Horacio. Egli entrò e attese nella sala, mentre lei, nella sua stanza, terminava di agghindarsi. Attese, attese e attese. Fu in quel tempo eccessivo che cominciò a sentire un singhiozzo: nella camera a fianco qualcuno stava piangendo. Era un pianto che veniva dal profondo, una tristezza che aveva attraversato gallerie prima di sbocciare in lacrime. Horacio spinse dolcemente la porta della stanza e chiamò: -Marta! Dall'altra parte, il silenzio. Insistette ed entrò ancora un poco. Fu allora che una manina grassa lo agguantò per la cravatta e, con uno strattone vigoroso, lo gettò fragorosamente sopra un letto. Horacio non udì né vide: sentì solo un pianeta che si sdraiava sul suo corpo non prevenuto. Chi fa visita alla coppia, oggi, verifica che sulla parete della sala esiste il più strano dei quadri: inquadrata in una cornice dorata, una cravatta rossa. E ancora adesso, passati tanti anni, nei giorni di umidità, Horacio si lamenta di dolori al collo, conseguenza del trauma del suo primo atterraggio nei domiru dell'amore. 11fiume che bevve l'uomo Quando videro il cadavere che galleggiava, tutti s'interrogarono: - Chi sarà mai questo morto? Guardarono, aguzzarono gli occhi nella distanza. Niente, non si riusciva a distinguere. L'uomo stava bocconi, come se perlustrasse il fondo del fiume. Era un corpo grande, sembrava che la morte si fosse impantanata in lui. Dicono che i naufraghi cr~scono 56 sempre. O sarà che i morti si spostano dalla loro dimensione originale? Sulla sponda una folla seguiva l'annegato. Ammantate nelle capulanas, le donne, nebbiose, sembravano solo una bruma più fitta. Gli uomini, più tenebrosi, camminavano nelle avanguardie. Quelle piangevano, questi imprecavano. Ma tutti ubbidivano a una stessa curiosità: volevano conoscere l'identità del defunto. Alla fin fine, la regola va rispettata: nessun morto deve restare inedito. Nel disabitare la vita, il moribondo deve rendere pubblico il suo volto e dichiarare il suo irrimediabile stato. Solo così la frontiera dei mondi si fa riconoscibile. La folla si acquietava. Decisero di sospingerlo verso l'argine. Adoperarono un lungo bastone. Ma il cadavere accettava soltanto il volere della corrente. Apparteneva all'acqua, in essa aveva fatto il suo tumulo mobile. E, in quel morto dislocarsi, proseguiva nel suo solitario funerale. Moriva con applicazione. Non era un cadavere spensierato: momento per momento esercitava la sua morte. Sul bordo del fiume, gli uomini disperavano. Lanciarono una rete nel tentativo di ripescarlo. Aspettavano che il corpo si irretisse e si consegnasse, arreso, alle maglie. Poi, non sarebbe rimasto che levarlo e districare la sua identità. Ma ecco a quel punto un altro stupore: le braccia del morto risalirono un'incerta salita e si scagliarono contro la rete. Il fiume non disponeva di onde che spiegassero quella furia repentina. Ma le braccia disfecero a colpi sicuri la rete e i pezzi di corda si affrettarono giù per il fiume. Il morto difendeva la sua irriverente solitudine. Mulinò su se stesso e riprese il viaggio. Un altro sentimento cresceva ora nella folla. Quegli uomini non temevano più l'imbarcazione anonima e sinistra. Erano soprattutto gelosi di quella morte che sfilava serenissima, al dispiacere della corrente. E una rabbia prese ad ardere la legna della loro impazienza. Alcuni cominciarono a lanciare insulti. Le donne si fecero immobili: ingiuriare un morto? Li richiamarono, esigendo rispetto. Ma, nella vampata degli uomini, già qualcuno cominciava a lapidare il cadavere. Quando la prima pietra colpì il corpo, ci fu come uno strappo invisibile nello sguardo di tutti. D'improvviso, il corpo si rivoltò e cominciò a transitare in senso inverso a quello delle acque. Faceva rotta verso la sorgente, contravvenendo alle leggi che impongono ai fluttuanti la direzione della foce. Le donne fuggirono. Dinanzi alla funebre sfilata, solo gli uomini restavano. Il corpo proseguiva su per il fiume. Finché giunse a una di quelle anse dove le acque si attardano in un passo quasi felino. Quello era il principio, in quel limpido tappeto il fiume iniziava. E fu in quel liquido ventre che si assistette a ciò di cui, per la grande impressione, cerco di fuggire il ricordo. Il cadavere iniziò una danza soave e prese ad attorcigliarsi, piegandosi in curve di braccia e di gambe. Sembrava volesse nascondersi nei suoi stessi resti. Con un brivido nell'anima, tutti videro che il morto pareva trasfigurarsi in feto. Le mani coprivano il volto, la testa ingigantiva, le ginocchia andarono· a baciargli le guance. Allora, le acque esalarono un gemito profondo, di lamento quasi umano. E nel letto placido si andò aprendo un solco stretto e profondo. Il cadavere sostò all'ingresso della fenditura come se inspirasse l'ultima luce. E, teneramente cullato, come un fazzoletto nel singhiozzo dell'addio, prese ad affondare nel ventre della sorgente.

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