SAGGI/ AUDIN Ho una brutta balbuzie, dovuta a un conflitto tra la mia ambizione di essere più grande degli altri e la paura di essere solo un mediocre. Non potendo essere più grande, ho preferito essere diverso rendendomi in/ eriore. La funzione religiosa dell'arte è distruggere l'autolatria, cioè la credenza che la fede occorrente per prendere una decisione soggettiva sia fede in se stessi. Dal momento che l'Arte può occuparsi solo di ciò che è evidente, non può affermare che la fede di cui abbiamo bisogno è fede in Dio; può dire solo: "Coloro che confidano in se stessi perdono la capacità di reagire con efficacia alle situazioni concrete e sono sconfitti da tutto quanto gli appare al di fuori del loro controllo". È per questa ragione che l'arte ha a che fare con l'eccezionale e il meraviglioso, con eroi e rovesci di fortuna. · L'eroe tragico ha più fede in se stesso rispetto alla media, cioè al pubblico, ma questa fede gli viene per la maggior parte da circostanze favorevoli che egli scambia per suoi propri meriti. Lui e il pubblico credono all'unisono che la strada per conquistare tanto la felicità quanto il potere è aver fede in se stessi, mentre la differenza tra loro è che il pubblico è invidioso: "Magari fossi fortunato come lui", pensa, "Allora sì avrei fede in me stesso e me ne starei anch'io libero e beato". Ma questa fede sovrumana che il pubblico invidia all'eroe risulterà essere proprio ciò che gli aliena le circostanze fino a distruggerlo.L'eroe stesso muore con la sensazione di essere una vittima sacrificale. Il pubblico sa che non è vero, perché nell'attimo stesso che l'eroe comincia a soffrire, smette d'identificarsi con lui e ritorna obiettivo. L'eroe comico, d'altra parte, ha meno fede in se stesso rispetto al pubblico, è quel genere di persona che il pubblico non vorrebbe essere ma che, com'è e come non è, viene tenuto in pugno dalle circostanze e senza che muova undito gli arriva la bella principessa e il milione di dollari. Aveva cominciato senza comportarsi in nessuna maniera particolare, come se tutto gli venisse naturale, come fa l'eroe tragico quando arriva la buona fortuna, e alla fine è meravigliato del proprio trionfo come l'eroe tragico della rovina. I sentimenti del pubblico stavolta saranno cambiati in modo uguale e contrario; dalla compassione all'invidia. Oggettivamente e soggettivamente, la testimonianza dell'arte rimane la stessa: "È difficile che il ricco entri nel regno dei Cieli, e gli umili erediteranno la terra''. Se io, come pubblico, registro obiettivamente questa morale della favola, dirò: "Fiaba graziosa. Nella vita reale, dove sfortunatamente faccio parte degli umili, le cose non vanno così. Mi_basta aprire gli occhi, e vedo il ricco · prendere la principessa e il milione, l'umile morire povero e disgraziato". Non mi offendo per quello che mi appare un· capovolgimento della verità, perché· si tratta solo di una rappresentazione. Quando l'eroe tragico che ho appena visto . suicidarsi torna al proscenio tra gli applausi, è vivo e sorride; l'eroe comico che ho visto sposare una bella J,>rincipessas'inchina e torna a casa con la sua vera moglie ingrigita. Se è questo che considero arte, vuol dire che cerco false consolazioni, dal momento che m'identifico con i due eroi fintantoché sono felici, e ritorno distaccato appena non lo sono più. L'arte quindi mi danneggia perché mi irretisce in un panteismo estetico nel quale provo piacere a essere un fantoccio del destino e mi consolo credendo che il decidere una qualunque cosa per conto mio mi metterebbe comunque nei guai. Se sono ricco, essa mi istiga all'egoismo; se povero, ad inclinare al rancore e al sogno ad occhi aperti. La testimonianza dell'arte viene recepita talmente spesso in questa maniera da dare solido fondamento alle affermazioni di quei moralisti che attaccano l' "arte buona" sostenendo che infiacchisce coscienza e volontà. Nello stesso tempo, il licenzioso comincerà a capire che la "buona" arte non è ancora abbastanza indulgente, e che per favorire questi sogni ad occhi aperti sono molto più efficaci i combattimenti di tori in cui la sofferenza è reale, ò i varietà pruriginosi dove reale è il sesso. Solo quando tento d'impossessarmi soggettivamente delle indicazioni estetiche, queste cessano _di essere consolanti e diventano una verità che fa male. Comincio ora a intuire perché l'arte rende irreali la sofferenza tragica e la felicità comica, contraddicendo a un tempo la mia esperienza che nella vita è il forte a prendersi la Principessa e jl debole a morire povero in canna.L'arte si prende i miei beni, i beni di questo mondo, e la mia ansia riguardo al raggiungerli e al conservarli, rivelando contraddizioni. L'irrealtà di quella sofferenza sta a testimoniarmi non che l'eroe tragico non soffre per davvero, ma che la sua vera sofferenza non è quella che lui crede; anzi, essa è proprio ciò che egli invoca come la sua felicità, cioè la persuasione di meritare la propria buona fortuna. Per me la verità che fa male sarà: "Questo eroe è ciò che sono, o ciò che vorrei essere nel mio foro interiore, e qui mi sta dicendo che finché vorrò essere un uomo di questa specie, starò morendo vergognosamente senza n~ppure rendermene conto". 3/91 Perry Anderson / · Carlo Ginzburg Esiste la 'natura umana'? Due tra i massimi storici della generazione di mezzo in un confronto polemico e analitico su questioni che vanno oltre il metodo e investono opzioni filosofiche e scientifiche fondamentali. 43
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