Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

IL LOGOS DELL'ANSIA Francesco Binni In quello che resta, grosso modo, il decennio cruciale dell'attività audeniana - 1937/1947 - il saggio del '43 che qui si presenta ha modo di coagularsi con lo spartiacque del '39, con il trasferimento americano e con il lavoro su "New Year Letter", e di anticipare la problematica esistenzialista di The Age of Anxiety. In una parola: dal politico al sociologico ali' antropologico sul vettore della triade categorica k.ierkegaardiana, che occupa l' Auden religioso degli anni di guerra. A prima vista, il saggio, forse il più trascurato della produzione audeniana, è abbastanza misterioso: nessuno sembra averlo commissionato a Auden, non ne esiste traccia né nella corrispondenza né nei taccuini. Sembra scritto da Auden nell'ambito del suo tentativo di capire la natura della personalità unica, il centro della responsabilità personale durante gli anni di guerra. È uno scritto che deriva visibilmente dalla lettura di Kierkegaard dei primi anni '40, ma probabilmente solo un professore di filosofia o di religione potrebbe dirci esattamente a quale parte dell'opera di Kierkegaard Auden stesse pensando. Il saggio rimanda anche alle oscure "Notes" che Auden scrisse, con lo pseudonimo di "Didimo" in sei numeri del periodico "Commonwealth" nel novembre - dicembre del '42: di esse conserva il tono misto e "duplice .. ("double talk"), da una parte la meditazione familiare e dall'altra il tentativo di adombrare una qualche idea profonda. Il pronome interrogativo con cui si apre il saggio, e la sua natura di soggetto ansioso rimanda sia al risveglio dell' individuo kafkiano che del soggetto ansioso k.ierkegaardiano: come tale è di casa nella stessa poetica audeniana fi 11 dagli inizi. Ma si tratta di una narrativa personale interessantemente interrotta. e da poco, da un momento di crisi - la delusione politica- frutto di una libera scelta ma anche della forza delle circostanze: il discorso che qui lo spiegher:1 per sommi capi emerge qui giusto al suo tempo più appropriato. La domanda indica le vere basi della coscienza, del conoscere/capire: e anche un dilemma filosofico: in contrasto con i filosofi che iniziano considerando gli oggetti della conoscenza umana, essenze e relazioni. il filosofo esistenziale comincia dal1' esperienza immediata dell'uomo come sogge1ru, cioè essere nel bisogno, essere interessato la cui esistenza è in gioco e in cui non si afferma il primato della volontà sulla ragione ma la oro inseparabilità. Ne consegue che non esiste alcun io atemporale, disinteressato che stia fuori dal sé temporale finito e sappia serenamente ciò che c'è da sapere. La cognizione è sempre un atto storico specifico accompagnato da speranza e paura. Realizzare questo - dirà altrove Auden - non vuol dire abbandonare la ricerca di una verità condivisibile e arrendersi a un relativismo soggettivo: al contrario, è precisamente nell'interesse di questa verità comune che è necessario per l'individuo cominciare a imparare come essere oggettìvo circa la propria soggettività, "come conoscere il proprio posto", come scegliere da essere cosciente in un numero infinito di possibilità. Di più: ogni scelta è irrevocabile, ovvero l'uomo ha, sia individualmente che socialmente, una storia: quello che gli accade non accade nel tempo, ma è il tempo stesso ad accadere in quello che lui fa. Di qui la sua ansia, poiché potrà né garantire né disfare la conseguenza di ogni scelta che fa. Il potere per il quale, senza pure poter cancellare la propria ansia, è purtuttavia in grado di scegliere, è la fede religiosa: senza questa fede non gli resterebbe che un disperare SAGGI/BINNI - essendo perciò incapace di scelta - o diventare un idolatra, cioè inventarsi un'illusione di assoluta certezza con la passione individuale dei suoi stati d'animo immediati (l'Estetico) o con le astrazioni universali del suo intelletto (l'Etico). Tale impresa è tuttavia condannata al fallimento poiché egli non potrà affidarsi all'uno senza escludere l'altro; eppure non gli resterà che reprimere. D'altra parte non potrà liberarsi né dell'uno né dell'altro, né impedire alla metà esclusa della sua natura di esporre le pretese della metà fiduciaria conducendolo così alla disperazione. La lezione primaria, per Auden, è qui quella di Aut/Aut, con una differenza che il saggio in questione si incarica di precisare: che il Kierkegaard ha molto da dire sull'Estetico e sull'Etico, ma poco sul Religioso, così che la distinzione fra quest'ultimo e l'Etico non è così chiara come Auden vorrebbe: per lui, infatti, si tratta di una distinzione vitale, perché se nell'Etico (e nell'Estetico) la sofferenza coinvolta in un atto è accidentale e priva di significanza in sé, per il Religioso è proprio nella sofferenza che sta ogni significanza. · Lo schema di incroci quotidiani, e la stessa forma astratta della croce, con le sue divisioni regolari in opposti contraddittori i, suggerisce - nel saggio- le conseguenze percettuali di un k.ierkegaardiano morire nella paura accettato al posto di "salire sulla croce di ogni giorno e lasciar morire le nostre illusioni": solo quest'ultimo atto, per Kierkegaard, può assicurare una vera rigenerazione. Quello che il saggio non dice, il suo taciuto metafisico, è quello che sta 1·estrema decostruzione di una vita - per la morte - e la necessaria rigenerazione: lo spazio dell'elusiva eternità, il momento in cui il soggetto errante scopre un'origine oltre lo spazio e il tempo. La giustificazione che Auden dà di questa scoperta è che l'idea scolastica che l'inferiore rivela il superiore, così come il superiore realizza l'inferiore: l'uomo non potrebl?e desiderare l'infinito se già non lo possedesse. Ma quello che interessa Auden non sono certo le prove razionali; piuttosto l'assoluto metafisico contenuto nella condi1.ioneumana di "temporali che implorano la vita eterna/ con l'impeto infinito di spiriti ansiosi,/ finiti di ratto ma rifiutando di essere reali/ agendo a modo nostro, ma negando i I Sì / a quel proprio Sé uguale in ogni tempo, / quel Sempre Opposto · che è tutto il sogge110/ del nostro non conoscere." Si parla, nei termini dell'Età dell'ansia, dell'irriducibile agente di conoscenza, l "'Io" come puro soggetto, il finale osservatore presupposto da ogni esperienza. Questo conoscente non va identificato né con gli oggetti o le capacità della coscienza dato che è il mistero della coscienza stessa, o quello che il misticismo occidentale chiama spirito: è un "non sapere" perché il terreno della coscienza non potrà diventare oggetto di coscienza: è "uguale in ogni tempo" perché, come presupposto del tempo e dello spazio, non è toccato dai loro limiti: è "Sempre Opposto" perché l'"Io" come puro soggetto è distaccato rispetto all"'Io" come oggetto dissociato che è l'ordinaria coscienza dell'ego dell'uomo caduto, il dio morente inchiodato ali' albero della morte. Auden non può che concludere un ideale compendio decostruttivo della 'wasteland' del tardo umanesimo con una definizione di un assoluto mistico che lui, generalmente non mistico, vede come l'unica possibilità di riassumere il perduto potere di soggetto della storia. Questo saggio è dunque una tappa significativa nel percorso di un ironista 'liberal' il cui storicismo di fondo si misura con le tentazioni contingenti di una storia naturalizzata. 41

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==