Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

in quel modo, be', la cosa che voglio dirgli è che non lo escluderei a priori. A volte, siruazioni umane piene di dramma e di tensione possono dare il dono dell'eloquenza a chiunque. Come consiglio pratico gli direi: "Non fare ipotesi del genere sugli altri, non assumere un atteggiamento di superiorità e di condiscendenza verso gli altri". E comunque, in termini puramente letterari, bisogna sempre tenere presente che il linguaggio della letteratura è sempre linguaggio privilegiato ed è contiguo alla poesia, perché è portato ai limiti estremi, è selezioriato, è intimo, è importante e parla di cose importanti.· I lettori non dimenticano mai questo; mentre leggono un racconto sanno benissimo che stanno leggendo un racconto e questo concetto del linguaggio privilegiato è sempre ben presente nel loro cervello e, paradossalmente, coinèide con lo sforzo di credere nei personaggi come persone vere, come persone che credono nella loro vita. Si crea quindi una specie di doppio livello di pensiero nella mente del lettore. Il mio tentativo è di estendere per quanto possibile il privilegio di cui godo in quanto scrittore per rendere la storia quanto più convincente, drammatica e rilevante possibile. È questo che io, come tutti i narratori, del resto, cerchiamo di fare: spingere il lettor~ al massimo, anche a rischio di rompere la patina di verosimiglianza neorealista in cui magari il lettore si è immerso con piacere. Ma io dico, se uno si mette a leggere un mio racconto è perché vuole trovarci qualche cosa e perciò devo assumermi anche il rischio di perdere quel lettore, ma devo dargli qualcosa, se non si rischia, non si ottiene niente: bisogna esagerare, bisogna dare il massimo. Incendi riprende ed espande uno dei temi principali di diversi racconti di Rock Springs, quello della testimonianza di un giovane, di un ragazza che assiste a strani cambiamenti attorno a sé e cerca di dare un senso ad avvenimenti èhe sembrano non averne. Egli è contemporaneamente dentro e fuori l'azione e questo gli permette di porsi come narratore. Ci sono forse elementi autobiografici, sia pure indiretti, dietro questo tema? Puoi spiegare in qualche modo la tua vocazione di scrittore di narrativa? Vedi, quando scrivo cerco sempre di fare in modo chele mie storie invitino il lettore a estendere la sua simpatia nei confronti dei personaggi. Perciò penso che nel caso di quei racconti.narrati in prima persona, la mia simpatia si esprime non solo nei confronti delle situazioni ma anche verso queste figure di giovani narratori che hanno un'età in cui sono costretti a lasciarsi l'infanzìa alle spalle e a cominciare a farsi delle domande su cosa significa diventare adulti ... perciò mi sembra di provare un profondo interesse umano nel come la gente riesce a superare questo periodò così critico. Quanto poi al problema se ci sono elementi autobiografici in questi racconti in prima persona, be', sicuramente posso dire che la loro autorità non nasce affatto daUa mia autobiografia, ma solo dalla loro coerenza interna con le situazioni che sviluppano e che è l'unica cosa capace di renderli convincenti. Insomma, non voglio sostenere affatto che siccome una volta ho avuto sedici anni sono più qualificato o riesco a essere più convincente nell'inventare storie che hanno come narratore un ragazzo di sedici anni. Eppure, quando avevo sedici anni mi sono successe molte cose importanti, nessuna delle quali ha niente a che fare con quello che succede a Joe Brinson, il protagonista di Incendi. Mio padre è morto proprio quando io avevo sedici anni e questo fu un evento molto importante per me, anzi più che INCONTRl/fORD importante, perché dopo aver superato l'impatto della perdita di mio padre, cioè dopo aver provato quello che la nostra cultura in un certo senso ci impone di provare quando si perde un genitore, in realtà ho sentito come un senso di liberazione. Volevo molto bene a mio padre e lui ne voleva a me; vengo da una famiglia molto unita, molto dolce: eravamo solo noi tre e stavamo bene insieme. Comunque penso che una delle cose che mi ha spinto a scrivere racconti è che da ragazzo, anche se ero un ragazzo del tutto normale, mi sono trovato a non provare le sensazioni che · pensavo si dovessero_ provare e la cosa mi mise in ansia. Per esempio, quando appunto morì mio padre, non riuscivo a piangere, non mi veniva da piangere e alla fine, dopo due o tre mesi, sentii quello che si può definire come un vero e proprio senso di liberazione e questa sfasatura tra quello che si crede si debba provare e quello che si prova in realtà rappresenta per me una sorta di breccia in cui mi vien voglia di inserire linguaggio per cercare di riconciliare le due cose. Suppongo che l'impulso narrativo provenga ·per me da questa situazione, perlomeno, mi pare di poterlo spiegare così adesso, retrospettivamente. Una delle cose che più mi piacciono nei tuoi libri sono le descrizioni di paesaggi, sia fisici che mentali. La tua scrittura sembra in grado di esprimere in dettaglio la grana delle vite tristi e solitarie dei personaggi creando attorno a loro una particolare atmosfera, semplicemente registrando attentamente ogni modulazione di luce e di temperatura. Da dove ti viene questa particolare sensibilità paesaggistica? Immagino di aver viluppato questa sensibiiità al paesaggio perché sono cresciuto nel Sud dove tutti ti dicono che è importante vivere lì, che è un gran bel posto, un ambiente magnifico, familiare, cordiale; insomma, che il Sud è allo stesso tempo meraviglioso e ineludibile. È ovvio che, dato il tipo di pressione culturale che mi circondava, ho cominciato ben presto a fare molta attenzione al luogo in cui vivevo e quasi subito ho deciso che non era né meraviglioso né ineludibile, anzi quasi neanche molto interessante per i miei gusti. Perdi più quando mi sono laureato e ho deciso di mettermi a fare il romanziere, una delle cose che ho scoperto subito è che l'unico modo di sfruttare letterariamente la mia sensibilità pae-saggistica era di mettermi a scrivere come William Faulkner. Perché per molti di noi cresciuti in Mississippi, il nostro ambiente non era solo il posto dove vivevamo ma anche il posto descritto da Faulkner nei suoi romanzi e il paesaggio, i toponimi, l'aria che respiravamo erano gli stessi: bastava percorrere la strada da Oxford a Taylor, fare il giusto numero di miglià, e si poteva vedere U punto esatto dove Tempie Drake era scesa dal treno nel suo tentativo di andarsene da casa. Questa situazione finì per convincermi che quell'ambiente era ormai troppo sfruttato dal punto di vista letterario, che quello che scrivevo veniva ormai più dalla mia lettura di Faulkner che dalla mia esperienza. E perciò dopo aver scritto il mio primo romanzo, A Piece of my Heart (un romanzo che ancora mi piace, per fortuna), mi sono detto: "Be', ora ho fatto del mio meglio per liberarmi di questo paesaggio; ora è meglio passare ad altro". E dato che, come ho detto prima, scrivo spesso di gente che cerca di adattarsi a nuovi posti, la sensibilità paesaggistica che avevo sviluppato mi ha aiutato molto, perché uno dei modi in cui ci si adatta a un luogo sconosciuto è quello di catturarne dei dettagli che ti piacciono per rendere il luogo il più concreto, il più palpabile possibile, in altre parole renderlo vivibile. Per quanto poi riguarda ( 31

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==