NON-LUOGHI E PAESAGGIO Incontro con Richard Ford a cura di Riccardo Duranti Richard Ford è nato nel 1944 a Jackson, Mississippi, ed è vissuto in varie parti degli Stati Uniti, dal Michigan alla Louisiana, al Montana. Autore di quattro romanzi, A Piece of My Heart, The Ultimate Good Luck (trad. italiana, L'estrema fortuna, Feltrinelli, 1990), The Sportswriter, Wildlife (trad. it. Incendi, Feltrinelli, 1991) e una fortunata raccolta di racconti, Rock Springs (Feltrinelli, 1989), è stato accomunato dalla rivista inglese "Granta" a Raymond Carver e Tobiàs.,Wolf sotto l'etichetta di "Dirty Realism". In realtà questa etichetta è applicabile solo in parte e per i primi romanzi, perché la carriera dello scrittore è andata via via evolvendo verso forme sempre più sottili di indagine psicologica che scava alla ricerca delle tensioni che attraversano la patina della normalità che la società e il linguaggio degli Stati Uniti cercano disperatamente di darsi. L'intervista è stata realizzata nel corso di un incontro di Ford con gli studenti del Dipartimento di Anglistica dell'Università di Roma "La Sapienza" il 19 marzo 1991. La tradizione realista della narrativa americana continua a sorprenderci per il gran numero di voci e stili individuali assunti dagli scrittori che nefanno parte. Uno degli aspetti interessanti di questa varietà è che, per fortuna, rende la vita difficile a quei critici e giornalisti che tentano di affibbiare etichette di movimento a ogni nuova generazione e cercano di imporre un ordine in una situazione che potremmo definire di caos creativo. Personalmente, come ti collochi all'interno di questa tradizione? Be', secondo me la letteratura americana non ha tanto una tradizione quanto una storia. Le considero due. co_sediverse. Secondo me, se mi dovessi collocare in una tradizione, mi sentirei costretto in uno spazio troppo angusto. In fondo, avere una tradizione non è proprio confortante perché si configura come un'imposizione di una serie di limiti. Con questo non voglio dire che questa sia una caratteristica intrinseca della tradizione; è piuttosto una delle funzioni che spesso la tradizione è c_ostrettaa svolgere. Come si sa, in America non è che abbiamo dei critici letterari, abbiamo solo recensori che in genere è gente che non deve far altro che scegliere qualche bella frase e darla in pasto ai giornàli; noi scrittori poi dovremmo adeguarci alle ricette dettate da questi · signori. Comunque, quando ho scritto il mio primo racconto, è ovvio che non l'ho semplicemente scritto dal n.ulla:ho ereditatò la forma del racconto, proprio coine ho ereditato la forma del romanzo, anche se non sono poi forme così chiuse da limitare troppo la libertà dello scrittore. Sono forme che hanno una loro storia, hanno seguito una loro traiettoria nel ventesimo secolo e perciò personalmente sono convinto che scrivo racconti, ad esempio, perché ho letto i racconti degli scrittori che mi hanno preceduto. Forse il primo racconto che ricordo di aver letto con partecipazione e profonda simpatia è quello di Sherwood Anderson intitolato/ want to know why, che forse qualcuno di voi ha letto, un racconto che . Anderson ha scritto verso la fine della sua vita. È la storia, raccontata da un uomo, che narra una sua esperienza di quando era ragazzo e aveva fatto amicizia con un fantino o uno stalliere nero. Insieme a questo suo amico aveva visto suo padre ~ompiere un atto che il ragazzo considera, secondo i canoni morali degli anni Venti in cui era cresciuto lo scrittore, inenarrabile e che nella fatti-specie non era stato altro che lasciare che una ragazza gli si sedesse sulle ginocchia ... In ogni modo, ecco, mi sono messo a scrivere racconti perché un giorno ne ho letto uno e ho pensato: "Voglio farlo anch'io, perché sembra una cosa che a leggerla dà molto piacere." L'arte fa spesso un effetto stimolante del genere, è spesso così generosa, se non addirittura illuminante. A volte penso anche che essere uno scrittore, e particolarmente uno scrittore come piace esserlo a me, immerso nella cultura del paese in cui vivo, nel cuore del paese, senza avere troppi rapporti con New York o con Los Angeles, che essere uno scrittore, sia un po' come essere legato alla testa_di un treno: si-spera di vedere tutto con una prospettiva diversa, ma allo stesso tempo si è spinti da tutto il proprio passato. Ci si rende conto che è una posizione piuttosto precaria, ma allo stesso tempo l'unica cosa che si vuole evitare è quella di cadere. Dunque, chiunque scrive narrativa, in America, scrive spinto da questa storia e perfino quando si attraversano dei periodi, come quello dei primi anni Sessanta in questo paese, o quello a cavallo tra gli anni Sessanta e.Settanta negli Stati · Uniti, in cui la tradizione diciamo neorealista sembra perdere fiato e uno scrittore come Calvino comincia a scrivere cose diverse e poi tutti sj mettono a scrivere secondo i canoni di quella che in genere viene definita la neoavanguardia ... be', questa nuova forma assunta dalla narrativa è una risposta, una reazione, alla forma che si era venuta sviluppando negli anni Quaranta, subito dopo la seconda guerra mondiale. Si era alla rìcerca di un nuovo atteggiamento nei confronti del linguaggio, di una nuova forma narrativa, di correggere la traiettoria fino ad allora seguita dal raccorito, perché si aveva la sensazione che le vecchie forme non riuscivano più a stare al passo dei nuovi avvenimenti. Qui in Italia questo movimento era guidato da intellettuali ed esperti in estetica molto più di quanto lo fosse in America. Secondo me, nella seconda metà degli anni Sessanta, gli scrittori americani sono stati influenzati da quelli europei in misura molto maggiore di quahto non lo siano mai stati da decenni. Però quando noi frequentavamo l'Università e leggevamo i racconti di scrittori come Donald Barthelme, Steve Cats, John Barth, Stanley Elkin, Willia.mGass, William Cotswinkle, be', non sapevamo che diavolo pensarne, perché il metodo di critica formale che ci era stato insegnato e che in sostanza era quello del New Criticism, quello di Brooks e Warren, per intenderci, non ci permetteva di affrontare racconti che non avevano personaggi, non avevano inizio, sviluppo e fine, non avevano ritmi interni di azione 27
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