CONFRONTI Teoria e pratica ad Alessandria Il pragmatismo romantico di Richard Rorty Geoffrey Hawthom traduzione di Alberto Cristofori La filosofia analitica ha subito da lungo tempo una "svolta linguistica". Le "idee" che avevamo di noi stessi e del mondo ora sono i nostri "linguaggi". Ma i vecchi dubbi, spiega Richard Rorty, sono evide!'}temente rimasti. "Il tramite tra l'io e la realtà li unisce o li tiene separati?" "Dovremmo considerare tale mezzo innanzitutto come strumento di espressione - di articolazione di ciò che giace nelle profondità dell'io? O dovremmo considerarlo innanzitutto uno strumento per la rappresentazione - per mostrare all'io ciò che esiste al suo esterno?" Le teorie idealistiche della conoscenza e la nozione romantica dell'immaginazione si possono ... facilmente trasporre dal gergo della "coscienza" a quello del "linguaggio". Le reazioni moralistiche e realistiche a queste teorie si possono trasporre con altrettanta facilità. Così le ricorrenti battaglie tra romanticismo e moralismo, e tra idealismo e realismo, continueranno finché si spererà di poter dare un senso alla domanda se un dato linguaggio sia adeguato rispetto a un obiettivo - sia questo l'obiettivo di esprimere in maniera corretta la natura della specie umana, o quello di rappresentare in maniera corretta la struttura della realtà non umana. Rorty ci chiede con insistenza di abbandonare tale speranza. In Philosophy and the Mirror of Nature, del 1979, in un susseguirsi di saggi densi, provocatori e sempre eleganti (i più recenti dei quali verranno ripubblicati in primavera dalla Cambridge University Press col titolo Objectivity, Truth, and Relativism e Essays on Heidegger and Others), e ora in Contingency, Irony, and Solidarity (Cambridge 1989, che consiste in gran parte di lezioni da lui tenute allo University College di Londra, al Trinity College di Cambridge e al Bennington College del Vermont nel 1986 e nel 1987), sostiene che non è possibile affermare niente su ciò che le nostre idee o le nostre proposizioni mettono in rapporto. Le nostre idee di un io sottostante alle nostre parole e di un mondo al di là di esse sono idee che faremmo bene ad abbandonare. Possiamo parlare solo delle parole. Il mondo resta lì, naturalmente. E noi con lui. Ma non possiamo formulare regole per di-stinguere un buon discorso su queste due cose da uno cattivo. In verità, afferma Rorty, è un errore pensare che siamo noi a decidere di parlare in un certo modo piuttosto che in un altro. Questo significa reintrodurre il vecchio e cattivo concetto secondo cui, in ciò che diciamo, siamo guidati o dall'io o dal mondo al di fuori di noi. Egli cita Donald Davidson: "non esiste niente di simile al linguaggio, perlomeno se con linguaggio intendiamo ciò che i filosofi hanno .creduto". Secondo lui dovremmo considerarlo, come la mente, non tanto un tramite tra l'io e la realtà, ma solo come qualcosa che indica l'opportunità di usare un certo vocabolario quando si cerca di trattare con certi tipi di organismi. "Dire che un certo organismo - o un certo meccanismo, è lo stesso - possiede una mente significa semplicemente dire che, per certe finalità, sarà conveniente pensare che esso abbia delle convinzioni e dei desideri. Dire che usa un linguaggio significa semplicemente dire che accoppiare i segnali e i rumori che fa lui con quelli che facciamo noi si dimostrerà una tattica utile per predire il suo comportamento futuro.-" Questo è un "comportamentismo non-riduttivo". Esso "accetta come naturali mente e linguaggio trattando tutte le questioni sui rapporti tra l'uno o l'altra e il resto dell'universo alla stregua di questioni sulle cause, in quanto opposte alle questioni sull'adeguatezza della rappresentazione o dell'espressione". La storia positivista della cultura ... considera il linguaggio come qualcosa che si forma gradualmente lungo i confini del mondo fisico. La storia della cultura romantica considera il linguaggio come qualcosa che conduce gradualmente lo Spirito ali' auto-coscienza. La storia nicciana della cultura e la filosofia del linguaggio davidsoniana considerano il linguaggio come noi consideriamo oggi l'evoluzione, come nuove forme di vita che continuamente eliminano le vecchie forme - non per realizzare un progetto superiore, ma ciecamente. I vecchi dubbi possono così essere eliminati. Non c'è accesso al mondo che possa darcene la conoscenza, non c'è io interiore da esprimere. Gli eroi di Rorty non sono gli scienziati, che descrivono il mondo, come pensavamo, in maniera sempre più precisa, né i romantici, che ci portano sempre più vicini al nostro Essere. Sono i poeti, che "formano nuovi linguaggi" e "creano nuovi mondi". Ma tutti i mondi sono contingenti. Il nostro atteggiamento verso di loro, insiste Rorty, può essere soltanto ironico. Se c'è tra di noi una qualche forma di "solidarietà", quindi, una visione comune e uno scopo comune, essa non può essere basata su una conoscenza comune. Sarà semplicemente una questione di "quali somiglianze e quali differenze ci sembrano più importanti, e ... Richard Rorty in una foto di Bruno Monès. tale importanza è una funzione dell'odierno vocabolario storicamente determinato". Non si tratta di un'idea nel complesso eccentrica. Quasi tutti coloro che hanno riflettuto sull'argomento hanno rinunciato alla speranza di mostrare come i nostri discorsi si leghino a ciò di cui crediamo di parlare. Ma pochi si spingeranno fino alle conclusioni di Rorty. Lo stesso Davidson, per esempio, rispondendo alla lettura rortiana delle sue opere in u&O dei saggi critici di Reading Rorty: Critica[ Responses 10 "Philosophy and the Mirror af Nature" (and beyond) (a cura di Alan Malachovski, Blackwell 1990), concorda sul t;atto 13
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