Linea d'ombra - anno IX - n. 62 - lug./ago. 1991

in India che sostenevano di discendere dal Sole e guardavano dall'alto in basso quelli che venivano soltanto dalla Luna, ma non erano tesi per questo e di tanto in tanto sembravano dimenticarlo, e neppure lo ponevano alla base della violenza politica o della crudeltà; è toccato all'Occidente giungere a questo. Dietro il nostro problema degli otto bisnonni si staglia la figura civilizzatrice di Mendel. Vorrei che il nome di Mendel venisse ricordato sui giornali spesso come quelli di Freud o di Einstein. Egli incarna un principio benefico e aiuta a imprimerce- ·10 in testa anche quando lo affrontiamo superficialmente. Ci suggerisce che nessuna stirpe è pura, e che in ogni momento può dar luogo a forme inaspettate, che tuttavia essa eredita dal passato. I suoi notissimi esperimenti avevano a che fare con i semi di pisello; È impossibile studiare gli uomini con la precisione con IL CONTESTO cui si studiano i piselli: vi sono coinvolti troppi fattori. Anch'essi, tuttavia, continuano a diffondere caratteri recessivi e ci costringono a mettere in dubbio il credo della purezza razziale. Mendel non voleva provare nulla. Non era un ricercatore "coraggioso", era soltanto un ricercatore. Tuttavia ha messo inconsapevolmente un'arma preziosa nelle mani della gente civile. Non sappiamo com'erano i nostri antenati, nè come saranno i nostri discendenti. Sappiamo solo che siamo tutti bastardi, tutti con i capelli scuri e tutti con i capelli chiari, e che dobbiamo imparare a non morderci l'un l'altro. Grazie a Mendel e a pochi semplici esperimenti possiamo vedere relativamente chiaro nel problema della razza, se decidiamo di guardarvi dentro, e possiamo fare qualcosa per combattere fa pomposa e pericolosa immondizia che oggigiorno viene prescritta nei luoghi alti della terra. ' Viaggiatori stranieri in Urss dopo la rivoluzione Alfonso Berardinelli Il bello del libro di Marcello Flores L'immagine dell'URSS (Il Saggiatore pp. 420, L. 55.000) è che è difficile parlarne. Non si può usarlo strumentalmente, o sottometterlo a una tesi politica univoca. Credo che, proprio per questo, metterà piuttosto in imbarazzo sia i lettori ancora affezionati alla continuità di una sinistra cresciuta intorno al mito dell'URSS, sia i lettori che immaginano una sinistra asettica, del tutto immune dal suo passato. Il libro;poi, oltre a essere appassionante (racconta con equanimità "epica.", direi, una storia intellettuale e morale straordinaria: il romanzo politico-culturale per eccellenza di questo secolo), è anche "stressante" per la tensione problematica e drammatica che si trova in ogni sua pagina. Si tratta, ovviamente di una vicend_a corale, che trascina con sé gruppi e generazioni di intellettuali, politici, tecnici, giornalisti, operai e militanti. A volte semplici · · osservatori che finiscono per diventare testimoni di primaria importanza. Altre volte, uomini, donne che cercavano nella realtà rivoluzionaria e nella patria del comunismo la soluzione a problemi personali, sociali e di cultura che nel mondo occidentale sembravano insolubili. In ogni caso si trattava di riuscire a vedere, prima ancora che a giudicare, la realizzazione in atto di quello che probabilmente è stato il solo grande mito creato dalla cultura occidentale moderna: il mito della Rivoluzione, cioè di una trasformazione rapida e ràdicale di tutta la società, dall'apparato politico alla vita quotidiana, dal modo di intendere, produrre e consumare cultura, alla re-invenzione teorica e pratica dei processi lavorativi. Ma prima che una creazione dei russi, si potrebbe dire che il mito dell'URSS sia stato una creazione di tutto l'Occidente. Un mito necessario: perché sarà anche bene ricordare ai "razionalisti" che non è possibile liberare l'agire politico da una forte immaginazione progettuale e che, comunque sia, la politica produce mitologia. A volte di qualità migliore, più spesso di qualità scadente o· pessima (i politici si nutrono comynque di un mito: quello secondo cui sia possibile guidare e dererminare la vita di intere società da un luogo eminente, specializzato in decisioni). Nel mito dell'URSS e della rivoluzione c'era, al grado più alto, più concentrato, proprio questa idea della Politica come attività assoluta, privilegiata: quintessenza dell'agire umano. Dirigere efficacemente la Storia manovrando un apparato partitico e statale in cui si incarnasse qualcosa come una "scienza" della storia: cioè coscienza di classe e tecnica di direzione delle masse, arte della lotta e pedagogia capace di creare un "uomo nuovo". Era questo che appassionava l'intero Occidente: e non solo gli oppressi, non solo il movimento operaio e gli intellettuali marxisti o più generalmente anti-borghesi. L'esperimento di trasformazione radicale e accelerata di un paese, la sua tardiva ma concentrata modernizzazione, non potevano che appassionare perfino coloro che credevano nello sviluppo capitalistico come va ore supremo. Controllo delle masse e controllo dei processi produttivi, uso integrale (e inevitabilmente dispotico) delle risorse umane e della forza lavoro: era il mito della forza, della rapidità, del perfetto e ferreo dominio razionale, condiviso da tutta la cultura occidentale per la quale l'industria, la macchina, la modernità e la modernizzazione erano l'imperativo assoluto del XX secolo. Solo quei critici della borghesia e del capitalismo che erano anche critici della modernizzazione forzata e dell'industrializzazione come fine primario, saranno più spesso in grado di non essere travolti e accecati troppo a lungo da una visione ottimistica di quello che accadeva in URSS. Ricordo solo i casi più noti, più esemplari e insieme estremi: quelli di George Orwell e di Simone Weil (che, tra l'altro, riusciMaksim Gorkij saluta Romain Rolland in visita in URSS(foto di M. Ozersky, da URSS. Realtà e poesia nell'immagine, Sytco 1989. 9

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