Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

SAGGI/TUNON sempre stati lavoratori e corrotti, da quando arrivarono gli spagnoli: il popolo messicano è sempre stato virtuoso, ma sempre dominato dal criollo, dai nuovi arrivati, dalle classi superiori. Quasi serripre l'intellettuale che aveva studiato si sentiva superiore e ci trattava tutti come bestie, ci malmenavano, ci sfruttavano. Fuggito di prigione, la prima cosa che fece fu di andare a raccogliere le ossa dello zio Fortunato, poi di regolare con una rissa certe pendenze con un compagno della scuola di Aeronautica. Prese quindi un treno verso Ciudad Juétrez e da lì passò la frontiera per installarsi nel paese del Nord. Prima di arrivare negli Usa non avevo imparato niente nella vita, se non a fare il militare. Essere militare mi servì per tutto: tutti abbiamo bisogno di una disciplina, un allenamento militare; per questo sostengo il servizio militare per i giovani; si impara a obbedire, a comandare, a disciplinarsi. Emilio Fernandez assicura che sa obbedire quanto sa comandare. El Indio visse a Los Angeles, Chicago, San Antonio, Dallas. Durante i primi tempi del suo esiliofrequentava una scuola serale di inglese. Abbandonato il progetto di studiare aviazione a Wichita, éhe non poteva realizzare non essendo cittadino americano, passò a condurre una vita completamente caotica,facendo lavori di ogni sorta:fu muratore e sterratore e partecipò fra l'altro alla costruzione (così dice) del Golden Gate, ma per rispetto alla dignità del Messico non servirò mai un piatto a nessuno: non fu mai cameriere. Non aveva neppure una residenza fissa: evitava la stabilità. El Indio ricorda aneddoti della sua vita: a Chicago salvò una donna tedesca che stava per morire annegata, che era la moglie di Baby Face, ilfamoso gangster della banda di Al Capone, tramite il quale conobbe il clan. Ricorda anche con nostalgia quando Rodolfo Valentino, incantato dalla sua abilità di ballerino di tango, lo invitò a llollywood. Accettò troppo tardi, alla morte del divo, e quando il suo corpofu portato in treno a LosAngeles Emilio Fernétndezseguì il corteo nella suafunebre marcia verso la mecca del cinema. A Hollywood, El Indio continuò a svolgere diversi lavori occasionali. Il gruppo di latinoamericani che vivevano in questa terra piena di promesse doveva essere numeroso: Fernétndez afferma di aver vissuto in una grande casa abitata, tra gli altri, da un nicaraguense di nome Augusto Sandino. Un giorno, mentre lavorava' come sterratore, gli giunse la notizia che stavano proiettando unfilm messicano eandò a vederlo di corsa. Erano frammenti di Lampi sul Messico di Serge} Eisenstein. Erano anni che viveva in esilio e decise: studierò cinema. Da questo regista ho imparato il dolore del popolo, la terra, lo sciopero, la lotta per la libertà e la giustizia sociale ... Eisenstein implica, per Fernétndez, una coppiafissa con Tissé, il suo cameraman, e El Indio afferma di aver imparato mo.ltoda loro, nel senso che io sono - più fotografo che regista. Il modo di fare cinema non era predeterminato e sembrava chiaro che si potevano usare stili personali di regia: per El Indio questo era in relazione alla struttura militare: Se non si comanda militarmente è la disorganizzazione più assoluta, perché non c'è controllo, non c'è un sistema di gruppi, ciascuno con il suo responsabile. Soltanto così ho potuto controllare come volevo i 90 tecnici, tutte le comparse, e perfino i produttori: io militarizzavo tutti, mettevo tutti al loro posto, nella posizione in cui li vedevo ... Per El Indio l'importante non è dirigere, ·recitare o collocare i riflettori, ma formare parte di una collettività: è come in una battaglia, no? In guerra non bisogna essere generale, stare dietro e comandare: essere soldati è più difficile e più bello. Per mantenere questa necessaria disciplina, ricorda, a volte gli capitava di alzare la voce, per spronare l'attività, ma non ho mai insultato un attore. Portava alle prove una pistola, perché l'ho .sempre avuta, per difendermi. È meglio avere una pistola e non averne bisogno che averne bisogno ed esserne privi. Per lui la pistola è come le scarpe, è uno strumento necessario alla sua · sicurezza, ma non la faccio mai vedere a nessuno. L'équipe era importante: Emilio Fernétndezpotè scegliere un gruppo di collaboratori con cui lavorare tranquillamente sulla base del rispetto delle competenze specifiche di ciascuno. Di questa équipe El Indio si sentiva il centro: era il gruppo dell'Indio e tutti volevano essere dei nostri. Avevo dei collaboratori magnifici, tutti: attori, attrici, scrittori e musicisti. Tutti con me, tutti facevano quello che volevo io e mi aiutavano, c'era uno spirito di collaborazione meraviglioso che ci permetteva di raggiungere la perfezione. Colonna portante della sua équipe fu Dolores del Rio. La conosceva dai tempi degli Stati Uniti, ma da lontano, non aveva mai osato avvicinarsi neanche per salutarla. Dolores arrivò in Messico con l'aureola di attrice di Hollywood: Julio Bracho, Fernando de Fuentes, erano tutti pazzi di lei, ma lei disse al signor Fink: Don Augustfn, voglio vedere il cinema messicano. E vide dei film, tra cui uno mio, pensi che non so neppure quale, Soy puro mexicano oppure La isla de la pasion. E dice: Voglio questo regista. Chi è? Mi chiamarono e quando mi vide disse, puntando il dito verso di me: Lei sarebbe il regista? e io: No, me ne vado. Mi fermarono e allora le dissi: Vede, Lolita, lei per me è molto importante - l'ammiravo moltissimo-, quando avrò fra le mani una cosa degna di lei la cercherò senza dubbio e le farò vedere il lavoro. Ma questo non va, non è abbastanza buono. Me ne vado. Grazie mille, signor Fink. Non se ne vada. E invece me ne andai. E sua madre, donna Antonia, le· disse: Quest'uomo ti ama, ti rispetta, quello che ti ha detto fa capire che ti ama e i film si fanno con amore. Non lasciarlo andar via. Allora uscì di corsa e mi fece ritornare. In un certo senso fu un'imposizione, ma Fernétndez la sentì come un regalo enorme, un dono tremendo, dato che tutti la temevano, tutti! La personalità di Dolores si imponeva, per noi era una figura enorme, la più grande del cinema messicano. Anche il suo rapporto con Gabriel Figueroa nacque da una sorta di imposizione: entrando a Fil,rnMundiales, il signor Fink gli chiese di lavorare insieme, e benché secondo l'Indio Figueroa nutrisse unaforte antipatia verso di lui, dopo una settimana erano splendidi amici e compagni. Si aiutarono e prendemmo fiducia in noi stessi. Erano entrambi ansiosi di conoscersi edifare conoscenze epresto riuscirono a entrare in contatto con altri esperti. Ricorda don Emilio che diedi a Gabriel una lettera di presentazione per un amico con cui avevo vissuto, Orson' Welles, che aveva già fatto

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==