Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

11 EL INDIO'' FERNANDEZ, MACHO E REGISTA Julia Tuflon traduzione di Alberto Cristofori Diedi laparola a "El Indio", Emilio Fernandezneglianni 1980e 1981 in un 'intervista realizzata per quello che allora era l'Archivio della Parola dell'Istituto Nazionale di Antropologia e Storia. Il risultato fu una registrazione di più di venti ore, farragginosa, complessa, delirante, contraddittoria e barocca ... perché così era Fernandez. Per renderla accessibile dovetti lavorarci sopra, cercando di non travisare l'impasto di contraddizioni e deliri: scegliere nei suoi discorsi esagerati le parti più interessanti, eliminare le frequenti ripetizioni che nascevano dalle sue ossessioni.facendo però notare le ideefisse in cui cadeva inevitabilmente, come quella del suo dolore per la perdita dell'orgoglio nazionalista; cercai di mettere ordine sulla carta, per quanto era possibile, nel caos dei suoi ricordi, espressione naturale di una vita altrettanto disordinata. Durante il nostro primo incontro si mostrò inquieto, credo a causa del peso del suo stesso mito. Alla fine mi chiese a bruciapelo: Lei sa che sono stato in prigione? Sì, don Emilio, (nascosi il mio fastidio e la mia incertezza: la mia curiosità era più grande) a Torre6n, per aver ucciso un contadino. Lei sa che sono violento?Sì, don Emilio, ma so anche che ha fatto un cinema diverso e voglio sapere perché. Respirò e sorrise: sembrava che non cifossero malintesi e potemmo cominciare a lavorare. Nel corso delle nostre conversazioni mifu necessario ripetere molte volte le stesse domande o toccare gli stessi temi, perché mi confondevo nella mitologia strabordante dei suoi ricordi e volevo addomesticarla. Capii presto che non potevo distinguere le menzogne dalle verità con la precisione desiderata, e che non ne valeva neppure la pena. Le sue non erano menzagne nel senso comune della parola, ma piuttosto un segno di . vitalità, quasi come nei bambini, l'espressione di un'immaginazione delirante. Mi resi conto che metterle nella camicia diforza della cosiddetta verità avrebbe travisato l'uomo e l'artista. Se sono le sue verità, mi dissi, quelle che lui ha scelto e si è costruito, chi sono io per sottoporle a giudizio? Allora imparai a ridere con lui e riuscii a penetrare (ma non sempre a capire) alcuni dei suoi labirinti interiori. Le mie amiche mi pronosticavano scene terribili, esplosioni, vanterie. · Almeno, dicevano, lasciati crescere i capelli, tingili di nero. Non sempre scherzando si dicevano preoccupate che io potessi sparire, soprattutto quando i problemi economici lo spinsero a disfarsi delle ultime ragazze che lavoravano nella sua fortezza di Coyoacan e mi riceveva in perfetta solitudine. Mi apriva laporta di persona e non andavamo più nella saletta del primo piano ma nel soggiorno al pianoterra, con i galli e le donne con gli orci dipinti, le bottiglie di tequila e di mezcal coperte da uno spesso strato di polvere. Liberava dalle carte e dai bicchieri sporchi un angolino dell'enorme scrivania, vi posava il mio registratore e si disponeva a ricordare. Non ebbi mai paura. Sapevo che la mia debolezza era la mia forza, che ilfatto di essere una donna sola nella sua grande casa, una che lavora, come diceva lui, per l'educazione del Messico, gli imponeva il dovere e il piacere di mostrarmi rispetto. Mai conobbi l'uomo esplosivo, mai ebbe uno scatto. Non conobbi l'uomo violento. Al contrario, lo vidi commuoversi; lo vidipiangere fin dal primo giorno, quando ricordò John Ford,'e poi molte altre volte: raccontando che quando passa davanti all'Università alle due o alle tre del mattino ci sono le luci accese·perché studiano anche a quell'ora, ricordqndo come si era accorto ~he sua figlia Ade/a aveva bisogno degli occhiali, parlando degli indios e dei poveri del Messico ... El Hondo, municipio di Sabinas, Coahuila, era una regione desertica che dava scarsi prodotti di stagione (cotone, arachidi, mais, grano); i suoi fiumi erano secchi, ma ce n'era uno nascosto che si sentiva scorrere nelle viscere della terra. Questo fu, in un certo senso, il protagonista principale di Rfo Escondido, film che Fern<indez avrebbe diretto anni dopo essere nato lì, in questo 88 minerale che per la mancanza di agricoltura viveva delle miniere di carbone. Oggi, ricorda El Indio Fern<indez,El Hondo non esiste più: alcune esplosioni di grisù provocarono il suo abbandono. Emilio Fern<indez Ramo nacque il 26 marza del 1904. Suo padre, Emilio Fern<indezGarza, era minatore. A sua madre, Sara Ramo, deve il soprannome: era una india kickapu. Fu l'unico figlio di questa unione. In compenso ebbe nove fratellastri da parte di suo padre. El Indio ricorda che dapprima vissero a Monetava, poi a Piedras Negras e, quando già si avvicinava la rivoluzione, a San Antonio del Texas. Nel 1910 suo padre prese le armi e condusse con sé ilfiglio, ancora bambino, di modo che El Indio si fece uomo nella rivoluzione. Sua madre, non la vide mai più. Anni dopo seppe che era morta a San Antonio. Quest'infanzia particolare sembra aver lasciato un segno nell'Indio Fern<indez. Ricorda: Io sono stato il bambino più felice del mondo, non dovevo andare a scuola, avevo un cavallo e un fucile, ero un buon tiratore; mi piaceva molto la caccia ... nel Nord ci piace molto la caccia e sparare era molto bello, romantico ... Come conseguenza di ciò che accadeva a livello nazionale, la famiglia si separò in due partiti, il villista e il carrancista. Emilio Fern<indez si trovò nel primo ·con Fortunato Maycotte, poi con Salvador Hern<indez, nell'esercito di Pancho Villa, per il quale sente ancora una profonda ammirazione. Fern<indez vive circondato di foto del Centauro del Nord e dice: Io sto con il generale Francisco Villa Per Felipe Angeles sentiva ammirazione, benché a distanza: Era il mio ispiratore ... Avrei voluto che fosse mio padre al posto di mio padre. Lo ammirava per la sua cultura, per la grande finezza, rettitudine e valore. Era, evidentemente, il complemento ideale di Villa: emblema questo di dedizione e di onestà,

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