IL CONTESTO persino da un opinion-maker non certo sovversivo come Alberto Ronchey) non hanno motivato inmolte altre grandi istituzioni una riflessione come quella formulata dal papa a nome della chiesa. A fronte di quei processi, e dentro essi, Wojtyla ha schierato la sua chiesa da una parte ben precisa, quella appunto "delle semplici - leggi di moralità e umanità" citate da Gorbaciov. Ma quanto nel leader sovietico, alla prova dei fatti, cioè delle riforme da attivare dall'alto del governo, si rivela un limite arduo, un vuoto, nel messaggio del papa, destinato a diffondersi dal basso, trova una forza che nel tempo potrebbe dispiegarsi e radicarsi, cioè farsi politica vera, intervento. Massimo Cacciari ha obiettato che l'enciclica se la prende con due nemici ormai inesistenti: il socialismo reale e il capitalismo sregolato. Così, secondo Cacciari, non si capisce a chi siano attribuibili quei mali che il papa denuncia come presenti nelle società industriali sviluppate (appunto: sprechi, residue aree di povertà e ingiustizia, e quella diffusa alienazione che sostituisce il vecchio "sfruttamento" descritto da Karl Marx - per inciso, l'unico autore citato da Wojtyla- con altre forme di sfruttamento "nelle quali gli uomini si strumentalizzano vicendevolmente e, nel soddisfacimento sempre più raffinato dei loro bisogni particolari e secondari, diventano sordi a quelli principali e autentici"). Questo "uomo che si preoccupa solo o prevalentemente dell'avere e del godimento" tuttavia esiste, ed esiste il sistema economico e produttivo che lo blandisce e se ne alirnenta, ed è proprio questa la forma presente del capitalismo, la forma dominante, che è, notoriamente, anche la forma dominante nei rapporti sociali e nelle stesse relazioni tra gli individui (nonché la forma fantastica stessa in cui gli individui si pensano, che rappresenta, per così dire, la variante degradata - o la versione reale se si preferisce - dell'individuo "ricco di bisogni" ipotizzato da Marx come il cittadino ideale della sua ideale società della produzione illimitata). La lingua di Woityla è quella tradizionale della chiesa - anche se qui si presenta più piana del solito e precisa nei riferimenti specialistici al dibattito politico, sociologico ed economico - ma i terni che evoca sono da tempo al centro dell'attenzione dei più avvertiti e radicali .critici delle nostre società (si pensi, per esempio, al dibattito sul narcisismo o, sul versante più economico-sindacale, a quello sui diritti dei lavoratori e sulla loro partecipazione all'impresa, questioni che echeggiano con nitore nell'enciclica). Wojtyla sembra considerare il capitalismo come un sistema che produce forme diverse di sfruttamento e di ingiustizia, che si incarna in forme politiche e istituzionali cangianti, a differenza del socialismo che, nella sua ottica, appare destinato a tradursi sempre in un potere oppressivo. Quest'ultimo commette un fondamentale errore di "carattere antropologico" riducendo l'uomo "a una serie di relazioni sociali" nelle quali "scompare il concetto di persona come soggetto autonomo di decisione morale, il quale costruisce mediante tale decisione l'ordine sociale". Il diritto alla proprietà privata, ali' iniziati va, alla libertà deriva da qu,.estafondamentale "autonomia", che va riconosciuta e che il socialismo, nel suo "errore antropologico", nega. Il sistema capitalistico, sembra dire Wojtyla, non commette questo errore. In un certo senso commette quello opposto, un eccesso di intraprendenza che risulta cieco alle ragioni di "sussidiarietà" e di "solidarietà". A queste ragioni Wojtyla vede ispirata la parte migliore dell'azione storica del movimento operaio quando esso ha esplicato "una vasta attività sindacale riformista, lontana dalle nebbie dell'ideologia e più vicina ai bisogni quotidiani dei lavoratori". L'enciclica traccia un elogio del movimento operaio sicuramente, come dire, fuori moda, se non anacronistico, se lo si rapporta all'attuale dibattito politico nei paesi più sviluppati (e 6 specialmente in un paese neo-ricco e cialtrone come il nostro). Tra l'altro, esso ricorda l'esaltazione del patrimonio riformista del movimento operaio operata lo scorso anno, il primo maggio, da un Cossiga alle soglie della sua stagione più foscamente protàgonistica. Ciò per dire che in sé quest'elogio potrebbe non promettere niente di buono o, quantomeno, configurarsi come un riferimento ormai rituale. Ma la differenza di fondo, che. vale anche per tutta l'analisi del sistema capitalistico e dei suoi "mali", sta nel quadro globale di riferimento dell'enciclica. Wojtyla, a differenza di papa Leone e della sua Rerum Novarum, ha ben chiara la dimensione planetaria dei problemi, l'interconnessione tra sviluppo e sottosviluppo, tra crisi all'Est e ruolo dell'Ovest, tra Nord e Sud. È su questo scenario che si muove. Nata certo dentro la crisi dell'Est, elaborata a contatto della nuova alienazione dei paesi più ricchi, la Centesimus Annus guarda al mondo nel suo insieme. È in questo quadro globale che si ritrova quel capitalismo sregolato che, a parere di Cacciari, sembra non esistere invece più nelle aree sviluppate, di capitalismo e democrazia "maturi", non più "manchesteriani". Su questo punto Wojtyla è chiarissimo. Denuncia le persistenti e profonde contraddizioni del capitalismo sviluppato, tra le quali mette l'espropriazione della "proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere" che determina la ricchezza della Nazioni industrializzate "molto più" che la proprietà di risorse naturali, espropriazione che si somma, nei più poveri, alla mancanza di beni materiali. Ma con più forza e drammaticità denuncia gli esiti planetari di questo capitalismo sregolato, la cui "spietatezza" violenta e sradicante sembra irrefrenabile, nel Terzo e nel Quarto mondo. È a questo proposito che Wojtyla prende con più decisioni le distanze dal sistema; considerando "inaccettabile l'affermazione che la sconfitta del cosiddetto 'socialismo reale', lasci il· capitalismo come unico modello di organizzazione economica". Per Woityla occorre invece "rompere le barriere e i monopoli che lasciano tanti popoli ai margini dello sviluppo, assicurando a tutti - popoli e nazioni - le condizioni di base che consentano di partecipare allo sviluppo". Sta qui la motivazione positiva della "lotta contro un sistema economico, inteso come metodo che assicura l'assoluta prevalenza del capitale, del possesso degli strumenti di produzione e della terra rispetto alla libera soggettività del lavoro dell'uomo". La reiterata condanna della lotta di classe, a differenza che nella Rerum Novarum, che da tale condanna sembrava per lo più motivata, non approda qui a una generica ricerca di equità e conciliazione. C'è la precisa indicazione di un metodo: la lotta sindacale (con una pregnanza anche culturale e politiea). Naturalmente, c'è l'esperienza di Solidamosc dietro, pre e post-'89. Ma vale anche per altrove. L'esperienzà polacca legittima le parole del papa, le rende credibili - ma esse varcano quei confini e ambiscono a un'eco planetaria. È questa la dimensione cui si rivolgono, aldilà del particolare ambito in cui sono state pensate originariamente. Papa venuto dall'Est e dal freddo, ma consapevole di essere il capo di una Chiesa sempre più radicata nei Sud del mondo, assiduo osservatore e frequentatore di quei Sud, Wojtyla, dal cuore del sistema capitalistico più spericolatamente moderno è forse la sola figura di grande autorità in grado oggi di rivolgersi in modo attendibile a una platea così vasta. Alienazione e consumismo, lotta sindacale e lotta per i diritti politici: denuncia delle sperequazioni insopportabili tra Nord e Sud (con particolare accento sul tema del debito estero dei Paesi più poveri: "non si può pretendere che i debiti contratti siano pagati con insopportabili sacrifici"), della "insensata distruzione dell'ambiente naturale" - tutto ciò costituisce, per Woityla, un altro "errore antropologico" tipico del sistema capitalistico: l'uomo pensa "di poter
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