Linea d'ombra - anno IX - n. 61 - giugno 1991

Rulfo ti ho aspettato abbastanza - Io vivo molto ritirato sempre, molto ritirato. Vado da qui al mio ufficio e fine. Vivo modestamente. Sono un uomo molto solo, solo fra gli altri. Ho rapporti solo con la mia solitudine. Vivo nella solitudine. Lo so che tutti gli uomini sono soli, ma io di più. Mi sono sentito più solo di chiunque altro quando sono arrivato a Città del Messico e nessuno parlava con me, e da allora la solitudine non mi ha mai abbandonato. Mia nonna non parlava con nessuno, questa abitudine di parlare è del Distretto Federale, non della campagna. In casa mia non parlavamo, nessuno parla con nessuno, né io con Clara né lei con me, non si usa, e poi io non voglio confessarmi, quello che voglio è spiegarmi ciò che succede e tutti i giorni dialogo con me stesso, mentre attraverso le strade per andare all'Istituto Nazionale Indigenista, dialogo con me stesso per sfogarmi, parlo dà solo. Non mi piace parlare con nessuno. - Come fai a scrivere un racconto. -È molto che non ne scrivo. - E quando li scrivevi ... - Efrén Hernandez e io lavoravamo all'Immigrazione nel 1936-37. E un giorno mi ha detto: "Cosa sta facendo lì con tutti quei fogli di carta nascosti?" "Questo." E gli feci vedere alcune cartelle. "Male. Quello che sta facendo è molto male. Però, vedere ... mi lasci vedere, qui ci sono alcuni piccoli dettagli ..." Vedi com'era Efrén, oltre che grande narratore ... così mi indicò la strada e mi disse cosa fare. Efrén sembrava un uccellino ma con delle enormi forbici di quelle per potare le siepi, mi tolse tutto il fogliame fino a lasciarmi come mi ha visto nel 1954, in piena Pianura infiamme, un albero isolato. Con la mia lotta per allontanarmi dalie complicazioni verbali credo di aver incontrato la semplicità. Senti solo, per esempio, come parlano i personaggi di Talpa, di Digli che non mi ammazzino! e di È che siamo molto poveri. - Parlano con la vera voce del popolo, proprio come hanno detto i critici. Parlano come se il burrone di Apulco si mettesse a raccontarci le sue storie, con questa voce antica di mattoni crudi, di mais e di tepetate. _ - Non leggo mai quello che dicono i critici, né so quello che dicono. - E non ti interessa? Non ti interessa quello che ha detto Efrén Hernandez? - Ah, lui sì, lui sì, lo tengo molto presente. Posso perfino trovarti il ritaglio in quattro e quattr'otto, lo tengo sottomano. Lui presentò nel 1948 il mio racconto La Cuesta de las Comadres sulla rivista "America". Allora scrisse: "Causa, nello stesso tempo, del mio più persistente sconcerto e della mia più grande fiducia è l'atteggiamento di rigore, la rigorosissima e tremenda aspirazione, l'ansia di superamento artistico di questo scrittore nato. Cose che in verità sono invidiabili, lui, trovandole non abbastanza buone, le ha distrutte, buttate via, se ne è disfatto per tornare a rifarle! Nessuno saprebbe nulla dei suoi tentativi inediti se io un giorno, penso per puro caso, non avessi intuito nel suo aspetto esteriore qualcosa che lo rendeva particolare; e non avessi insistito, perfino troppo ostinatamente, prima perché mi confessasse la sua vocazione e poi perché mi mostrasse i suoi lavori e infine perché non continuasse a distruggere." - E com'era il tuo aspetto esteriore in quegli anni, Juan? - Camminavo rapido per andare al lavoro come cammino SAGGI/PONIATOWSKA adesso perché sono sempre in ritardo, come adesso che mi si incrociano le ore, mi si uniscono in una sola. Non avevo niente e non avevo nessuno. Camminavo verso il lavoro; era un· buon lavoro perché lasciavano in pace e non c'erano intervistatrici polacche. Lì cominciai a leggere molta storia, tutti i cronisti, Torquemada, le relazioni del XVI secolo. Scoprii che nell'archivio dell'Immigrazione non si muoveva niente perché a nessuno interessava stare lì. A ogni cambio di governo spostavano tutti meno quelli dell'Archivio del quale non si ricordavano neppure, e in questo dipartimento in cui non succedeva niente ci mettemmo Jorge Ferretis e io, all'ombra di Efrén Hernandez. Non volevamo che ci vedesse nessuno, per dedi~arci alla nostre cose. Le donne a Juan Sei una calamità Sei ben raffinato Usi tutti i tuoi trucchi proprio tutti Come chi non vuole la cosa. Metti la maschera ma non credere di ingannarle tutte questo proprio no. Vai solo lusingando. Vedi tutto a colori, come affacciandoti alla porta dell'inferno. Ti toglieremo le bruciacchiature a forza di frustate perché impari la lezione della pitaya: Ciò che le donne sono per Juan Vecchie befane Vecchie infelici Vecchie dai mille stracci Vecchie figlie del demonio. Susana San Juan La Arremangada Fiori appassiti Neppure una passabile La Berenjena La Vergine di Talpa Natalia · Vecchie spudorate Vecchie brutte che sono uno spavento Le donne a Juan Mettiti sotto esame, perciò, Juan Nepomuceno Carlos Pérez Rulfo Vizcaino figlio di Maria Vizcafno e 75

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